Una canzone di oltre cinquanta anni fa iniziava con queste parole, il testo si intitola “Proposta” de I Giganti, un gruppo formatosi a Milano nel 1964 e una delle più importanti espressioni del beat italiano e anche portavoce dei movimenti di protesta contro la guerra del Vietnam e contro poi gli USA, che sfoceranno in Italia e in Europa nelle proteste studentesche del ’68.

La cosa curiosa è che il brano fu presentato al Festival di Sanremo del 1967, 3° posto e buon successo nelle classifiche di vendita, in un Festival normalmente molto ingessato ed estraneo a certi temi, diciamo “del mondo che è lì fuori”.

E allora sentiamoli:

Mettete dei fiori nei vostri cannoni
era scritto in un cartello
sulla schiena di ragazzi
che senza conoscersi
di città diverse
socialmente differenti
in giro per le strade della loro città
cantavano la loro proposta
ora pare che ci sarà un’inchiesta

Inchiesta? Sì perché Enrico Maria Papes, la voce che fa’ da conduttore chiede agli altri componenti di presentarsi: si susseguono un giovane operaio disilluso, un pittore di scarso successo che si guadagna la vita vendendo giornali e un ragazzo di famiglia ricca oppresso dal padre e dal suo futuro obbligato. Tutti prima convinti e poi illusi che la vita avrebbe dato loro qualcosa di più. In più, nella piattezza delle loro vite, arrivano ondate di notizie di guerra, distruzione e morte. Fa male dirlo, ma sembra oggi.

Foto libera da Pixabay

Ragazzi diversissimi tra loro, ma che condividono un malessere verso la società che si esprime in un sentimento di protesta contro le guerre e l’ordine costituito. Come si capisce dal ritornello, è marcata l’influenza dei testi pacifisti che arrivava dai cantanti americani, ma c’è qualche altra cosa: attraverso i discorsi dei ragazzi che cantano, ma sembrano interrogati, si iniziano a intravedere i difetti della società italiana che, dopo la “botta” del boom economico, cominciava ad andare verso l’autunno caldo del 1969, con lo sfogare poi negli anni di piombo.

 

Tornando all’oggi, ma era ieri, cinquanta e oltre anni fa, il ritornello parlava di un buio futuro e di un aria, non solo atmosferica, malata:

Mettete dei fiori nei vostri cannoni
perché non vogliamo mai nel cielo
molecole malate, ma note musicali
che formino gli accordi per
una ballata di pace
di pace, di pace …

Marc Riboud -“Jeune fille à la fleur”
Public Domain Mark 1.0.

Di pacifismo ed antimilitarismo loro, e non solo loro, ne avevano parlato in tempi non sospetti, un occhio di riguardo per l’ambiente e la natura, il mondo, la terra, la nostra casa. Ricordiamo allora anche uno scatto passato alla storia, del fotografo francese Marc Riboud, che in uno scatto ha racchiuso il simbolo del pacifismo e dell’antimilitarismo, ovvero “Jeune fille à la fleur”. C’è tutto lì: è il 21 ottobre del 1967 quando, a Washington, l’artista blocca in una immagina una ragazza con un fiore in mano davanti a tanti fucili. Una 17enne, poi si seppe che si chiamava Jan Rose Kasmir, di fronte al Pentagono, durante una manifestazione di pacifisti contro il coinvolgimento degli Stati Uniti nella Guerra del Vietnam.  Da un lato la leggerezza e la fragilità di un fiore, dall’altra la violenza delle armi puntate. A guardar bene sembra che abbiano più paura i militari della ragazza che il contrario. Un’immagine che arrivò anche ai soldati in Vietnam. Erano appunto gli anni del Flower Power, dei fiori nei cannoni. Anni in cui i giovani alzavano la voce contro la follia della guerra. Non solo, si cominciava a vedere, nelle manifestazioni un simbolo nuovo, quasi non comprensibile a prima vista, ovvero quello della pace, quel cerchio con una specie di Y rovesciata.

Foto libera da Pixabay

Un cerchio con all’interno una linea verticale da cui si diramano verso il basso altre due linee. Quel simbolo in realtà era nato per simboleggiare la campagna per il disarmo nucleare e fu creato nel 1958 da Gerard Holtom, tra gli organizzatori di una delle prime marce antinucleari in Inghilterra. L’autore affermò poi che era stato ispirato da una opera di Francisco Goya, in cui si vedono dei popolani madrileni fucilati dalle truppe di Napoleone e dalla posizione delle loro braccia. L’autore confermò anche di essersi ispirato alle comunicazioni a distanza con le bandierine usate dai marinai, ovvero dalla lettera “N” di nuclear, che era indicata da una linea verticale, la “D” di disarmament che corrisponde alle linee oblique, il cerchio rappresenta la parola ‘global’. Da quel momento quel simbolo, tra i ragazzi chiamato poi “zampa di passero”, inizia ad apparire, cucito, segnato, sulle giacche e sui giubbotti degli studenti, sulle bandiere, sui muri, sugli eskimo, indumento di uso comune in quegli anni, ma purtroppo anche quello, la sorte si beffa degli umani, era un indumento dei soldati americani residuo della guerra di Corea….

E siamo a oggi, il 2022, ancora con una guerra in atto, fra le mille che hanno insanguinato il mondo, dall’Africa alla America Latina, passando per il Medio Oriente e ancora non c’è verso di far comprendere a tutti di “mettete dei fiori nei vostri cannoni”.

Fotocomposizione di apertura dell’autore