Ventitré chili di esplosivo, cinque di tritolo e diciotto di nitroglicerina in una valigia, esplodono alle 10:25 del mattino in stazione a Bologna.
In Italia si fece notte. Persero la vita 85 persone e i feriti, anche gravissimi furono 200, mentre l’ala ovest della stazione crollava su tutto. Una povera ragazza ventenne, sicuramente vicina alla valigia, non venne mai ritrovata. La strage di Bologna fu il più grave attentato terroristico nel secondo dopoguerra italiano, pur considerando gli altri attentati su piazze e treni che avevano funestato l’Italia qualche anno prima. Sin da subito si rivelò la “mano” di bande di neofascisti, come in attentati già effettuati in quegli anni che ricordiamo come “anni di piombo”, la strategia della tensione, incluse, dagli atti processuali, l’Organizzazione Gladio e la Loggia massonica P2, oltre a mai chiariti collegamenti con la criminalità organizzata e i servizi segreti deviati. Attorno a questa strage, come era già avvenuto per la strage di piazza Fontana nel 1969, si sviluppò un insieme di affermazioni, controaffermazioni, depistaggi, piste vere e false, tipiche di altri tragici avvenimenti della cosiddetta strategia della tensione. Per quanto riguarda i colpevoli, a 42 anni dal fatto sono stati condannati alcuni esecutori, ma la vera verità non è dato di saperla. Nel frattempo chi sapeva e non ha mai parlato è morto.
L’esplosivo, analizzato poi come di fabbricazione militare, era in una valigia posta a circa mezzo metro d’altezza su un tavolino portabagagli sotto il muro portante dell’ala Ovest, con la finalità di aumentarne l’effetto. L’onda d’urto, insieme ai detriti provocati dallo scoppio, colpì anche il treno Ancona-Basilea, che al momento si trovava fermo sul primo binario, distruggendo praticamente tutto, anche parte del piazzale antistante. I soccorsi si attivarono subito e tanti cittadini, con i viaggiatori presenti, prestarono i primi soccorsi alle vittime e contribuirono a estrarre le persone sepolte dalle macerie; fu usato, nella disperazione del momento, anche un autobus della linea 37, che poi diventò un altro simbolo del dramma, come l’orologio. Analogamente i medici e il personale ospedaliero rientrarono in servizio, anche se in ferie.
Nel settembre dello stesso anno esce “Balla balla ballerino” di Lucio Dalla. Il cantante bolognese, indimenticato, nel suo muto dolore, dedicò questa canzone proprio alla strage avvenuta un mese prima. Il brano inizia con una melodia dolce, quasi rilassante, ma continua in crescendo, con l’aggiunta del basso e della batteria. Sembra l’inizio di un film spensierato, visionario quasi, con il protagonista, il “ballerino”, che fa immaginare una favola, può ballare all’infinito, ballando sul mondo. In effetti “ballerino” era il soprannome del treno, datogli dagli stessi utenti nel tempo, magari migranti italiani, per gli scossoni dovuti al percorso e alla velocità. Ma forse siamo tutti noi ballerini, presi dalla frenesia della vita, ballare, muoversi senza fine e spesso senza un fine, andare più veloci della realtà, sia in notti buie ma anche sotto luci improvvise, come quando la “luna ti illumina a giorno” e dobbiamo essere pronti. Lucio lo incita a non fermarsi mai, sembra una situazione al limite, ma con un accenno già amaro e disperato:
Balla balla ballerino tutta la notte e al mattino
Non fermarti balla su una tavola fra due montagne
E se balli sulle onde del mare io ti vengo a cercare
Prendi il cielo con le mani vola in alto più degli aeroplani
Non fermarti sono pochi gli anni forse sono solo giorni
E stan finendo tutti in fretta e in fila
Non ce n’è uno che ritorni
Poi, entrando nel dramma, Dalla sembra addirittura pregare il ballerino, sapendo già come andrà a finire:
Balla alla luce di mille sigarette e di una luna
Che ti illumina a giorno balla il mistero
Di questo mondo che brucia in fretta quello che ieri era vero
Dammi retta Non sarà vero domani
Ferma con quelle tue mani il treno Palermo-Francoforte
Per la mia commozione c’è una ragazza al finestrino
Gli occhi verdi che sembrano di vetro
Corri e ferma quel treno fallo tornare indietro
La confusione e il dolore contengono poi un messaggio di speranza: l’uomo riesce a vivere comunque e “amare davvero”, nonostante, o forse grazie, a tutta la crudeltà di cui è vittima e magari anche autore.
Morti da sempre anche se possono respirare
Vola e balla sul cuore malato illuso sconfitto poi abbandonato
Senza amore dell’uomo che confonde la luna con il sole
Senza avere coltelli in mano ma nel suo povero cuore
Allora vieni angelo benedetto prova a mettere i piedi sul suo petto
E stancarti a ballare al ritmo del motore ed alle grandi parole
Di una canzone canzone d’amore Ecco il mistero
Sotto un cielo di ferro e di gesso l’uomo riesce ad amare lo stesso
Ama davvero senza nessuna certezza
Che commozione che tenerezza
Un brano che ci porta a riflettere, anche se non sappiamo ballare, cerchiamo sempre con tutto il nostro animo di essere attivi, ballare anche senza coordinazione, per noi e per aiutare gli altri a risollevarsi, magari per la perdita di un affetto o di un amore. Il mistero della vita, come dice Dalla, eccolo: sotto un cielo che contiene dolori e ingiustizie, la vita è la opportunità che ci è stata data e l’animo umano vive di passioni e pulsioni, anche se tutto “tra-balla”. Davvero, magari senza vere certezze, come dice Dalla, ma aprendoci agli altri, senza però dimenticare i patimenti e gli strazi che ci hanno portato fin lì.
Foto di apertura “BOLOGNA” orologio Di Prof.Quatermass – Opera propria, CC BY 3.0