Tutti gli organi di informazione ci hanno fatto rivivere l’11 luglio 1982, con la vittoria ai Mondiali di calcio in Spagna. Quasi nessuno invece ci ha ricordato l’11 luglio 1992, data che indubbiamente ha tutt’altro sapore, poiché mescola il ricordo amarognolo del prelievo forzoso del 6xmille dai depositi bancari con l’introduzione della tassa straordinaria sugli immobili (poi diventata ICI) e con l’avvio della privatizzazione delle grandi aziende pubbliche italiane, una vicenda allora vissuta in maniera quasi segreta e caotica e tuttora ancora controversa, che mi vide osservatore privilegiato e che voglio velocemente ripercorrere a trenta anni di distanza.
Ma andiamo con ordine. Il primo governo Amato nacque il 28 giugno 1992 ed il professor Guarino assunse in quel governo, con grande autorevolezza, la titolarità sia del ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato (l’attuale ministero per lo Sviluppo Economico) che del ministero delle Partecipazioni Statali (record: l’unico ministro della Repubblica che ha abolito il proprio ministero). Guarino, che conoscevo bene anche per essere stati entrambi nella seconda metà degli anni ’80 dirigenti del Dipartimento Affari Esteri della DC nazionale, lui come responsabile per l’Europa ed io responsabile per la Cooperazione con i Paesi in Via di Sviluppo, mi chiese di lasciare ogni altra mia attività per seguirlo al ministero come capo della segreteria tecnica, offerta che accettai di buon grado come segno di stima personale, intuendo subito che non stava nascendo un governo qualsiasi. Ed in effetti c’erano tutte le premesse per una esperienza unica, dalla personalità carismatica e coinvolgente di Guarino, alle sue ben note doti di maestro in campo giuridico, ai tanti segnali anche drammatici che indicavano un profondo sommovimento in corso nella realtà politica, economica e sociale italiana. Il primo giorno al ministero, coincidendo con la festività, totale a Roma, dei santi Pietro e Paolo, lo passai pressoché da solo. Ma dal secondo giorno fu un seguito travolgente, spesso anche drammatico, di novità e colpi di scena, dove gli arresti ed i suicidi di personaggi di primo piano, catturavano l’attenzione dell’opinione pubblica lasciando in secondo piano la radicale ed incontrollata trasformazione delle Istituzioni nazionali nel loro insieme.
Il racconto della attività del governo Amato con Guarino superministro inizia con il decreto legge adottato dal Consiglio dei Ministri del venerdì 10 luglio 1992: “Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica”. Dentro c’era di tutto, e tutto era già in cottura dalla riunione riservata del C.d.M di venerdì 3 luglio, con un percorso carsico di scrittura del testo che andrà in Gazzetta Ufficiale, che rese quei 10 giorni tra i più incandescenti della storia repubblicana.
La riunione di governo del 3 luglio si era conclusa senza comunicati e senza apparenti decisioni, ma Guarino era uscito da quella riunione molto soddisfatto e con in mano una cartellina “Palazzo Chigi” (foto) che aveva all’interno pochi fogli vergati dalla sua grafia lineare, contenenti ciò che aveva detto senza ricevere obiezioni di sorta, ai suoi colleghi di governo, copertina che risultava abbondantemente scarabocchiata all’esterno con lo schema di un articolato: avevo già sentito prima d’allora parlare di “provvedimento approvato in copertina”, modo di dire che quella sera mi apparve con pieno significato. Il Consiglio dei Ministri aveva approvato formalmente un decreto la cui stesura era demandata al ministro Guarino sulla base di alcune stringate note appuntate sulla copertina: era un pezzo importante e qualificante del decreto legge 333/92 approvato poi complessivamente nella riunione di governo del venerdì successivo. Apparve a tutti noi chiaro come il problema non fosse scrivere il testo dell’articolato, ma garantire sul suo contenuto il necessario assoluto riserbo per la settimana a venire. Tutti gli ingressi del ministero vennero sbarrati (solo il governatore della Banca d’Italia era autorizzato ad entrare, cosa che puntualmente Ciampi fece per molte mattine di seguito, prima di andare nel suo ufficio). Io stesso accompagnato da un colonnello dei carabinieri dovetti fare un sopralluogo al tunnel sotterraneo che collegava il ministero con la allora sede centrale di via Veneto della BNL (oggi destinata a sede di un Hotel) per verificare che non ci fossero possibili vie di fuga o di ingresso, e le poche persone a conoscenza delle decisioni prese dai ministri ricevettero il divieto assoluto di parlarne con chicchessia. Guarino partì per l’Argentario, facendo sosta nella casa estiva di Ciampi a Santa Severa, ed il week end passò apparentemente tranquillo.
Dal primo mattino di lunedì 6 luglio fu però l’inferno, con tutti i maggiori esponenti politici ed i “boiardi” al vertice delle Partecipazioni Statali che cercavano notizie. Inutilmente, trovando non solo i portoni ministeriali chiusi ma le comunicazioni telefoniche disattivate: il segreto doveva essere totale, non solo e non tanto circa il futuro delle aziende pubbliche, comunque segnato, ma soprattutto per quel passaggio del decreto in preparazione, dove si prevedeva il prelievo forzoso, non potendo il Governo correre il rischio di provocare una precipitosa fuga di capitali all’estero.
Il professor Guarino era soddisfatto del risultato raggiunto in Consiglio dei Ministri e sicuro del percorso da proseguire, ma per maggior tranquillità volle convocare nella sala del parlamentino del ministero di via Veneto, una riunione di vertici confindustriali; ad essi disse più o meno ciò che aveva detto in C.d.M. e che era appuntato su alcuni fogli manoscritti dentro la cartellina scarabocchiata, aggiungendo però una frase: «Signori, da oggi avete una opportunità in più, quella di potervi gradualmente impadronire ed a cifre ragionevoli, dei gioielli industriali dello Stato italiano». La platea degli imprenditori reagì a quel discorso con evidente incertezza, che l’avvocato Agnelli riassunse in una sintetica frase, parlando a nome di tutti: «Professore, grazie per la sua esposizione e per la sua offerta, ma dobbiamo dirle con franchezza che qui nessuno c’ha una lira da spendere per ciò che Lei vuol vendere». In quel momento Guarino ebbe chiara la percezione della gravità e della ampiezza della crisi italiana, a dispetto delle statistiche ufficiali che nell’anno 1991 avevano fatto salire il nostro Paese tra le prime quattro potenze economiche mondiali. Ma leggiamo qualche stralcio del testo guariniano: «Il Governo presieduto dal sen. Giulio Andreotti, sotto l’impulso dei Ministri del Bilancio e del Tesoro, on. Paolo Cirino Pomicino e sen. Guido Carli, ha dato avvio ad una coraggiosa azione di privatizzazione delle imprese pubbliche e di quelle del sistema delle partecipazioni statali in particolare. Nella messa a punto dello strumento legislativo (L. 29.1.1992 n.35) data la assoluta novità della materia, si sono incontrate non poche difficoltà che hanno fatto sì che nonostante i fermi propositi del Governo, altamente apprezzati anche in sede comunitaria, le procedure non abbiano potuto ancora perfezionarsi. Di conseguenza anche i previsti apporti, che avrebbero dovuto contribuire in una misura rilevante alla riduzione dell’indebitamento pubblico, non hanno potuto conseguirsi. Non è da sottacere che la mancata immediatezza dei risultati ha generato perplessità sulla idoneità delle procedure e, in qualche ambiente estero e comunitario, persino dubbi sulla serietà degli intenti perseguiti. (…) La manovra economica esige che i risultati in termini finanziari e patrimoniali per la Tesoreria dello Sato si producano in termini rapidi, con caratteristiche di certezza ed in misura possibilmente più ampia. (…) Va adottata pertanto una forma istituzionale che consenta di mobilitare in uno spazio di tempo non superiore ad un anno mezzi finanziari in favore delle imprese in una misura non inferiore ai 10 mila miliardi di lire (…) gli Enti costituiscono organismi complessi la cui configurazione di conseguenza va mantenuta per quanto possibile intatta, evitando interventi a carattere episodico che si rifletterebbero sulla efficienza. A questi vari e concorrenti obiettivi si provvede perseguendo la privatizzazione con l’operare verso l’alto, anziché verso il basso. Il meccanismo giuridico predisposto valorizza il netto patrimoniale degli Enti, che formano oggetto del provvedimento, il quale secondo una stima prudenziale può calcolarsi in un ordine di grandezza non inferiore ai sessanta mila miliardi di lire. La tecnica adottata è piuttosto semplice: gli Enti vengono direttamente trasformati dalla norma con forza di legge in Società, con trasferimento immediato al Tesoro delle azioni rappresentative del patrimonio degli Enti. Il Tesoro, a sua volta, raggruppa le partecipazioni che gli vengono trasferite, unitamente a quelle che sono già in suo possesso, in due società per azioni…etc etc…».
Bastano le prime frasi del ragionamento fatto dal ministro Guarino ai suoi colleghi per smentire i tanti complottisti che da allora in poi hanno fatto discendere la stagione delle privatizzazioni da una volontà espressa dai “poteri forti” nel corso della crociera del 2 giugno 1992 sul panfilo Britannia. In realtà la scelta di privatizzare era già stata presa e codificata dal governo Andreotti nel 1991, per obiettive esigenze di debito pubblico e per impegni assunti a livello comunitario. Semmai l’agitare lo spettro del “complotto ordito sul panfilo Britannia” serviva a nascondere il vero obiettivo dei “poteri marci”: cedere a prezzi da fallimento i gioielli pubblici a gruppi imprenditoriali italiani non dotati di mezzi finanziari adeguati o più facilmente a gruppi stranieri, obiettivo che si poteva raggiungere con il metodo dello “spezzatino” anziché confrontandosi con due Super Holding governate dal Tesoro, con l’attivazione di un meccanismo pure previsto da Guarino, per il quale si doveva avviare una gigantesca operazione di trasformazione del debito pubblico italiano, in grandissima parte allora detenuto dai privati cittadini italiani, in azionariato diffuso. Poiché il problema non era che della vicenda si occupassero grandi banche e grandi Società di consulenza internazionali, bensì la intervenuta volontà di svendere, forse anche per la pressione psicologica causata dai continui assalti finanziari alla lira, ed anche, occorre aggiungere con sincerità, la pressoché generale non consapevolezza, nelle sue componenti politica, imprenditoriale, finanziaria, sociale, del baratro in cui il Paese stava per precipitare.
E le varie ricostruzioni di parte che in questi trenta anni si sono succedute hanno badato ad evidenziare le resistenze dei ministri Barucci e Reviglio al piano Guarino, trascurando il danno procurato dal mancato ricorso al meccanismo finanziario inventato dallo stesso, quasi si trattasse di una battaglia navale giocata a tavolino. Ci ha provato in parte Angelo Polimeno Bottai, a svelare qualche squarcio di verità, con un pamphlet intitolato “Alto Tradimento – Le carte segrete di Giuseppe Guarino” -Rubbettino Editore 2019, dove il valore del racconto dei fatti da parte del principale protagonista, peraltro non avvalorato da pubblicazione di carte o documenti, è pregiudicato dalle sbadataggini che non ci si aspetterebbero da un “giornalista esperto di politica italiana ed internazionale ed ex vice direttore del TG1”.
Come si può dare piena credibilità a chi attesta che Guarino «fu eletto alla Camera come indipendente nelle file della DC alle consultazioni politiche del 5 e 6 aprile 1992», quando invece Guarino fu eletto una sola volta deputato, ma nelle elezioni del 1987? Come si fa a credergli quando scrive che Guarino fu eurodeputato, cosa mai avvenuta? O quando scrive che sul Britannia c’era «il dirigente ENI Beniamino Andreatta»? E così via.
Sarà perché sono passati appunto trenta anni, ma le ricostruzioni fantasiose o complottiste continuano, fino a farci credere (vedasi sul ‘Sole 24 Ore’ pag. 6 del 10 luglio 2022: «La riunione segreta del governo Amato, così Eni ed Iri divennero Spa») che la necessità di allontanare dai consigli di amministrazione i rappresentanti dei partiti fosse il primo obiettivo. «Scrive Amato in una dettagliata relazione: nel più assoluto segreto, io ed i ministri Barucci, Guarino e Reviglio decidemmo (…) tre soli componenti fra i quali un amministratore unico, tutti estranei ai partiti».
Mah! E Franco Nobili e Gabriele Cagliari nominati alla guida delle nuove Spa Iri ed Eni erano dei tecnici reperiti sul mercato? Le carte ci sono tutte, alcune ancora manoscritte, anche nel mio archivio, se qualcuno si vorrà prendere la briga di scrivere la storia di quel 1992, la storia però, non la cronaca di bottega. La verità è che tutti arrivammo impreparati a quel drammatico incrocio di eventi che fu l’anno 1992, ognuno cercò di fare la sua parte con maggiore o minore competenza, con maggiore o minore disinteresse di parte. Ricordo ancora nitidamente l’espressione stralunata di autorevoli parlamentari che chiedevano a me, quasi che io potessi essere in grado di dare una risposta rassicurante: «Ma è vero che lo Stato italiano sta per fare default?». Voglio raccontare uno solo degli episodi incredibili che in quelle settimane mi accadde di vivere. L’amministratore delegato di Italimpianti, società del gruppo IRI, chiedeva di essere ricevuto dal ministro per parlargli di argomento urgente ed importante, ed essendo Guarino impossibilitato a riceverlo, fu portato da me. «Italimpianti ha vinto in ATI con la società di ingegneria Techint una gara per un lavoro di grande rilevanza a Bandar Abbas, ma Italimpianti non ha denaro sufficiente per pagare la cauzione da presentare, né ce l’ha l’Iri, quindi dovremo rinunciare a questa grande realizzazione» disse l’ing. Tornich a me che lo ascoltavo incredulo e che per puro scrupolo chiesi al centralino di rintracciarmi l’ing. Rocca di Techint.
Quando me lo passarono al telefono gli dissi senza troppi preamboli: «Scusami se approfitto della nostra conoscenza personale di lunga data, ma potresti pagare la fidejussione per conto di Italimpianti tua socia nella gara di Bandar Abbas?». La risposta per fortuna fu positiva e la commessa non saltò, ma è di tutta evidenza che la soluzione all’italiana che in quel momento escogitai, non era replicabile e non poteva risolvere problemi giganteschi di debito, di “mala gestio”, di mancata programmazione, di inadeguatezza della classe dirigente, che in quei mesi divennero ingestibili perché sommati alla speculazione di Soros e compagnia contro la lira, alla caduta di credibilità di una classe politica corrotta e colpita da Tangentopoli, con l’opinione pubblica traumatizzata dagli attentati mafiosi.
Forse fu tutto questo insieme che convinse il Governo dell’epoca e con esso la classe dirigente del Paese, ad optare per la soluzione più a portata di mano e meno impegnativa, cioè la svendita dello spezzatino di Stato, anziché intraprendere la via virtuosa ma impegnativa, immaginata dalla grande fantasia giuridica di Giuseppe Guarino. E non sarebbe male fare una seria riflessione su quel periodo e sulla vicenda privatizzazioni in particolare, proprio oggi quando eventi di grandissima e pericolosa rilevanza stanno mettendo a repentaglio convivenza pacifica, equilibrio sociale, crescita economica; e non a caso si guarda di nuovo alla mano pubblica, nazionale o europea, a sostegno dell’economia e spesso della sopravvivenza. Ma un Governo, autorevole e libero da conati populistici, accreditato sul piano internazionale e rispettato sui mercati mondiali, bisogna averlo.
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