Letta punta a sinistra con «Italia 2028». L’addio dei centristi, con la nascita del terzo polo Calenda-Renzi, ha determinato la mossa di «Italia 2028», il programma del Pd da realizzare nella prossima legislatura.
Scatta la caccia ai voti di sinistra dei grillini, dopo lo scontro interno durato tutto Ferragosto su chi e in quale collegio candidare. Enrico Letta a fine luglio ha cominciato con una dichiarazione di principio: «La sinistra è il Pd». Adesso declina il programma elettorale per il voto del 25 settembre: lavoro, diritti, ambiente. La novità della quattordicesima è una bomba: propone «una mensilità in più alla fine dell’anno per tutti i lavoratori». Segue un lungo elenco di obiettivi all’insegna dell’uguaglianza: introduzione del salario minimo, aumento al livello europeo degli stipendi degli insegnanti (tradizionale serbatoio di voti per la sinistra), no all’energia nucleare, ampliamento del diritto della cittadinanza italiana agli immigrati con lo “ius scholae”, allargamento del matrimonio dalle coppie eterosessuali a quelle dei diversi generi, una legge sul fine vita per chi è affetto da gravissime malattie, legalizzazione dell’uso terapeutico della cannabis.
La rottura dell’intesa strategica tra Pd e M5S, causata dalla caduta del governo Draghi innescata da Giuseppe Conte, ha riaperto l’antica guerra tra i due ex alleati. Sono tornati agli insulti scambiandosi reciprocamente l’accusa di “traditori”.
È durissima la competizione per accaparrarsi i voti dell’elettorato di sinistra, compreso quello dei delusi rifugiatisi nell’astensione. Conte intende «difendere famiglie e lavoratori in difficoltà». Il presidente dei cinquestelle persegue la linea «dell’autentica transizione ecologica, della giustizia e dell’inclusione sociale». Rilancia il cavallo di battaglia del reddito di cittadinanza, anzi annuncia la volontà di potenziarlo mentre il centro-destra intende abolirlo e il Pd punta a cambiarlo. Chiede, come Letta, il salario minimo e l’aumento delle retribuzioni degli insegnanti al livello dei colleghi europei. Anche per Conte è una necessità vitale puntare sull’elettorato di sinistra.
Il M5S di Grillo-Di Maio nelle elezioni del 2018 ottenne un trionfale 32% dei voti facendo marciare a pieno ritmo populista due motori: uno di destra (contenimento degli sbarchi dei migranti) e uno di sinistra (reddito di cittadinanza contro la povertà). Ora quel Movimento “né di destra né di sinistra” si è disintegrato dopo la scissione di Di Maio e l’abbandono di Di Battista: il motore di destra si è rotto e il Movimento 5 stelle ha perso una valanga di voti verso Fratelli d’Italia della Meloni e la Lega di Salvini. Il motore di sinistra è lesionato ma ancora funziona. Gran parte dei voti ancora assegnati dai sondaggi elettorali ai pentastellati provengono dal bacino progressista soprattutto meridionale.
La competizione è durissima. Il segretario del Pd (al 22%-23% dei voti nei sondaggi) ha allentato la presa sulla cosiddetta “agenda Draghi” (le riforme strutturali del presidente del Consiglio dimissionario) e ha varato «Italia 2028». Spinge l’acceleratore su aumenti salariali, sviluppo sostenibile, diritti sociali e civili. Il presidente dei cinquestelle, invece, ha messo da parte le misure sulla sicurezza e sui migranti (adottate quando era presidente del Consiglio), e ha accentuato l’impegno in favore dell’ambiente, dei disoccupati e dei precari.
La vittoria del centro-destra a guida Meloni, però, sembra scontata salvo imprevisti. La coalizione tra Meloni, Salvini e Berlusconi viaggerebbe oltre il 45% dei voti. Il centro-sinistra starebbe poco sotto il 30%. Seguirebbero i cinquestelle (10%) e i centristi del terzo polo (5%).