Forse questo argomento potrà non piacere, ma è un fatto storico che questa canzone, questa lettera accorata e malinconica, divenne in pochi anni l’inno dell’antimilitarismo e del pacifismo e di tutti i movimenti che seguirono.

Joan Baez alla marcia per i diritti civili a Washington (1963) – Foto pubblico dominio da wikipedia.org

Joan Baez la fece diventare, in inglese ma anche nella versione originale francese, l’inno contro la guerra in Vietnam, poi tanti artisti la fecero loro, in adattamenti nelle varie lingue e in varie versioni in italiano: Serge Reggiani, Richard Anthony, Johnny Hallyday, Peter, Paul and Mary, in Italia è stata incisa da Ornella Vanoni, ancora da Serge Reggiani, da Ivano Fossati, Luca Barbarossa. Oggi, in questi sei mesi di guerra, ma con tutte le guerre che opprimono i popoli di aree magari meno vicine a noi, torna a essere un appello al pacifismo. E’ di queste settimane la notizia che in Russia si stia ricorrendo a una coscrizione forzata, Vladimir Putin ha deciso un forte aumento delle forze armate russe, con il reclutamento di circa 140.000 unità in più: “le richiede” l’intervento in Ucraina. E così altri giovani, magari adolescenti, senza preparazione e forse cognizione alcuna partiranno e altre famiglie dovranno soffrire.

E allora oggi più che mai questa canzone, questo grido disperato, bisognerebbe farlo ascoltare a tanti dittatori e guerrafondai nel mondo.

Boris Vian nel 1948 – Foto pubblico dominio da wikipedia.org

Il brano “Le Déserteur” (‘il disertore’) fu scritto da Boris Vian nel 1954 e pubblicato nell’esecuzione di Marcel Mouloudji, all’epoca un famoso cantante franco-algerino, il 27 maggio di quello stesso anno, giorno della disfatta della Francia nella Battaglia di Dien Bien Phu, che segna la fine della guerra d’Indocina, mentre un’altra, sempre con protagonista la Francia, stava per cominciare ovvero la guerra d’Algeria. Ma pensa te come la storia si prende gioco degli uomini…. Boris Vian (Ville-d’Avray, 10/3/1920 – Parigi, 23/6/1959), è stato uno scrittore, paroliere, drammaturgo, poeta, trombettista e traduttore francese, una vita breve, malata e travagliata. Dichiarerà, nello stesso momento in cui, ovviamente, la sua canzone veniva censurata, fino al 1962, perdendo così anche visibilità, almeno in Francia: “La mia canzone non è per nulla antimilitarista ma, lo riconosco, violentemente filo-civile”. Il Presidente francese, al quale indirizzò la lettera era René Coty, fino al 1959, quando fu eletto Charles de Gaulle.

E allora gentile lettore, leggiamola, ma vi invito a sentire la versione originale, qui nella fedele traduzione di Alessio Lega:

Signor Presidente,

le scrivo una lettera, che leggerà, forse,

se avrà tempo.

Ho appena ricevuto la cartolina militare

per andare alla guerra entro mercoledì sera.

Signor Presidente, non voglio farlo

non sono sulla terra per uccidere povera gente.

Non per farvi arrabbiare, ma devo dirlo

ho preso la mia decisone: diserterò.

Dacchè sono nato ho visto partire i miei fratelli

ho visto morire mio padre e piangere i miei figli

mia madre ha tanto sofferto che è nella sua tomba

e se ne fotte delle bombe come se ne fotte dei vermi.

Quand’ero in prigionia hanno rubato la mia anima,

hanno rubato la mia donna

con tutto il mio passato.

Domani uscirò sbattendo la porta

in faccia agli anni morti: vivrò sulla via.

Mendicherò la vita sulle strade di Francia

dalla Bretagna alla Provenza e dirò alla gente

“Rifiutate d’obbedire, non fatelo, non andate in guerra,

rifiutate di morire”.

Se si deve versare sangue vada a versare il Suo

caro “buon apostolo”, signor Presidente.

Se mi fa perseguire avverta i suoi gendarmi

che non ho armi e che possono sparare.

Foto di apertura libera da Pixabay