La prima postazione che incontra il visitatore all’ingresso del MEI, Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana, inaugurato a Genova l’11 maggio scorso, ricorda le più antiche migrazioni della storia. Sono quelle dell’homo sapiens, da cui discende tutto il genere umano. Dall’Africa orientale, a partire da circa 100.000 anni fa, l’homo sapiens si è spostato, oltre che all’interno del continente africano, in Medio Oriente. Poi attorno a 50.000 anni fa in Europa e in Asia, per passare successivamente, attraverso lo stretto di Bering nelle Americhe, e attraverso il sud est asiatico nell’Australia. Tutta l’umanità dei cinque continenti discende dunque da migranti (e in moltissimi casi non solo per discendenza così antica), le migrazioni essendo elemento fondamentale dell’origine, della natura e della storia umana.
Il MEI di Genova è frutto di un lungo lavoro iniziato alcuni anni fa dal Ministero degli Esteri con l’apertura di un piccolo museo a Roma all’interno del Vittoriano dedicato all’emigrazione italiana. Il progetto è stato poi ripreso e ampliato dal Ministero della Cultura. Un ingente investimento ha consentito l’adeguamento funzionale e tecnologico dell’attuale sede, la Commenda di San Giovanni di Prè (edificio del XII secolo cui si riferisce l’immagine di copertina di queste mie righe), per secoli luogo di accoglienza e transito di pellegrini e migranti. A pochi passi dal porto di Genova, luogo di partenza di una parte consistente dell’emigrazione italiana. All’impegno dei due citati ministeri si è dunque aggiunto quello della Regione Liguria e del Comune di Genova, e il MEI è anche per posizione un’estensione del vicino Museo Galata del Mare, e insieme ad esso parte dell’istituzione Mu.Ma-Musei del Mare e della Migrazione, polo culturale che comprende quattro realtà museali.
Il percorso dell’esposizione del MEI è organizzato in tre piani suddivisi in 16 aree e con una superficie di 2800 mq, e l’allestimento è basato su svariate fonti primarie: autobiografie, diari, lettere, fotografie, giornali, canti. Documenti arrivati da enti, archivi, istituzioni statali e locali, archivi, musei, associazioni di emigrati in vari paesi. Alcune delle 200 vicende personali raccontate museo sono per esempio state ricostruite grazie a diari degli emigranti custoditi nell’Archivio Diaristico di Pieve Santo Stefano.
“Forse la più grande operazione di memoria collettiva e popolare del nostro paese” commenta Paolo Masini, Presidente del Comitato d’indirizzo e ora Direttore del MEI, con cui ho avuto occasione di parlare. L’impostazione multimediale del MEI, primo Museo Nazionale ad essere inaugurato dopo il COVID, consentirà con relativa facilità aggiornamenti e modifiche. Un museo in movimento, come suggerisce il tema del viaggio, sia nello spazio che nel tempo.
Dell’emigrazione italiana tutti conosciamo qualche vicenda particolare: è difficile che un italiano non abbia qualche storia di emigrazione trasmessa dai parenti delle precedenti generazioni, o almeno tra quelli delle persone più vicine. I numeri lo confermano: sono circa 29 milioni gli italiani emigrati all’estero nel periodo 1861-1985; di essi circa 19 milioni non hanno fatto ritorno.
Suscitano riflessione nel museo i numeri relativi all’evoluzione dell’emigrazione italiana, in particolare nei 160 anni dall’unificazione nazionale. In parallelo viene raccontata la storia dei provvedimenti dei vari governi italiani in materia di emigrazione. Anche le motivazioni per l’emigrazione hanno la loro storia: da sempre in gran parte economiche, ed emigrazioni di volontari e religiosi. In alcune fasi la scelta dell’esilio di attivisti e intellettuali, a partire dal Risorgimento fino a un secolo dopo di antifascisti ed ebrei in seguito alle leggi razziali; in anni recenti le emigrazioni per studio, specializzazioni e attività di ricerca. Il museo ricorda anche le maggiori tragedie collettive connesse alle emigrazioni: naufragi, incendi, disastri minerari, incidenti sul lavoro, sfruttamento, segregazione.
Come accennavo sopra, il Museo coinvolge il visitatore anche con il racconto di molte vicende personali. Per menzionarne esplicitamente qualcuna, a partire dalla metà dell’Ottocento, la vicenda della piemontese Josèphine Renèe Vincon, sesta figlia di un pastore valdese, emigrata come istitutrice prima a Londra e poi dal 1854 a San Pietroburgo; qui al servizio di un generale, fu introdotta nei circoli dell’aristocrazia zarista, ma dalle lettere scritte alla famiglia è evidente la grande nostalgia. Poi la vicenda della siciliana Anna Sciacchitano, partita con i tre figli da Palermo a New York nel 1908 per raggiungere il marito in Pennsylvania, recidendo del tutto e dolorosamente i legami con i suoi familiari rimasti nel Belice. Ancora, la storia della bambina toscana di otto anni Francesca Pennacchi, partita nel 1937 con la madre e la sorella per raggiungere il padre ad Addis Abeba; la guerra comporterà alla famiglia l’esperienza in un campo di prigionia inglese, fino al rientro in Italia nel 1942. Altra vicenda narrata è quella del bellunese Urbano Ciacci, emigrato a diciotto anni in Belgio nel 1954 e sopravvissuto alla tragedia di Marcinelle in cui persero la vita 136 italiani; trascorrerà il resto della vita ad accompagnare i visitatori nel luogo del disastro, oggi Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO. Infine, come esempio delle più recenti emigrazioni è menzionata la biologa ricercatrice ligure Amedea Perfumo, in Germania dal 2010.
La funzione culturale del MEI è evidente, quanto mai attuale, e naturalmente non riguarda solo l’emigrazione italiana. È naturale per il visitatore passare con il pensiero dagli emigrati italiani agli immigrati presenti e che arrivano nel nostro paese, alle loro motivazioni e alle vicende personali. E più in generale ai migranti nel mondo, che da sempre costituiscono l’umanità in viaggio.
Secondo l’ultimo World migration report, vi sono oggi nel mondo circa 281 milioni di persone che vivono in un paese diverso da quello della nascita. La loro distribuzione tra i continenti vede al primo posto l’Europa con 87 milioni, poi l’Asia con 86 milioni, l’America del Nord con 59 milioni, l’Africa con 25 milioni, l’America Latina con 15 milioni, e infine l’Oceania con 9 milioni. Numeri che ci confermano quanto vi sia bisogno di conoscenza e di cultura delle migrazioni. A tale conoscenza e cultura, importantissime per il futuro dell’Italia e non solo, il Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana di Genova fornisce oggi uno dei più grandi contributi che, come le emigrazioni in esso narrate, sa guardare ben oltre i confini del nostro paese.
Immagine di copertina “Commenda di Pre” by Mario Baldassarri, CC BY-SA 3.0