Per dare significato alle nostre azioni dobbiamo necessariamente relazionarci in maniera dinamica e vitale allo spazio in cui viviamo. Aristotele considerava lo spazio “la somma di tutti i luoghi”, dotato di “direzioni e di qualità”, ma le motivazioni personali fanno percepire ad ognuno di noi un mondo diverso, definito costantemente in maniera differente dalle nostre reazioni ad ogni situazione.
E le “qualità” abitative sono le risultanti della nostra risposta emotiva all’ambiente. Lo spazio è il luogo dell’agire, ma anche delle percezioni, e dei pensieri. E chiunque, nell’eleggere l’ambiente dove stabilirsi come luogo del vivere quotidiano crea una zona di espressione personale, il proprio luogo architettonico diventa la concretizzazione del proprio luogo esistenziale. L’architettura si costruisce in una strutturazione dello spazio attraverso mete e percorsi, e come ha sicuramente dimostrato Piaget, il concetto di un mondo strutturato si sviluppa gradualmente a partire dall’infanzia. Con il tempo le nozioni individuali sullo spazio si evolvono con la crescita personale. Impariamo a costruire il mondo con un sistema di analogie, collegando le cose man mano conosciute a luoghi particolari. Alcuni oggetti sono fissi, altri sono mobili, gli uni agiscono da strutture di riferimento rispetto agli altri. Da bambini ci appropriamo di una collezione di spazi separati, da adulti strutturiamo la nostra esistenza con la capacità di afferrare e utilizzare con più o meno elasticità una serie di rapporti spaziali di vicinanza e separazione, di dentro e fuori, di distacchi e ritorni, di continuità.
Le nostre esperienze di arrivo implicano sempre che si è stabilito un rapporto con ciò che si ha lasciato. La nostra casa è un insieme di attività significative, un luogo strutturato in vani subordinati, una piccola città interconnessa da percorsi di comunicazione in cui si svolgono varie attività. Nel rapportarci agli spazi intorno a noi e alle cose che lo riempiono sperimentiamo vari livelli: Il primo è dato dalla misura della nostra mano e dall’estensione del nostro braccio nelle funzioni di afferrare e gestire gli oggetti. Nel secondo livello è la dimensione del corpo che comanda, nelle sue funzioni di posizione (sedersi, sdraiarsi, voltarsi). E il terzo livello ci rapporta con le estensioni territoriali dell’individuo, determinate fortemente dalle sue interazioni sociali. Partecipare al livello urbano significa proiettare la sfera privata in quella pubblica che è meno “protetta”. E a delimitare il rapporto tra interno e esterno c’è sempre una “porta”, che anche psicologicamente assume significati determinanti. L’apertura può assumere forme diverse, può essere chiusa o aperta, anche psicologicamente può collegare o separare, può comunicare o impedire la comunicazione. E diventa “luogo” architettonico particolarmente significativo.
Foto di apertura dell’autrice: Alassio (SV)