L’America è ancora la terra delle opportunità? La spinta ideale del sogno americano è tuttora attrattiva?
Secondo una lettura lirica e cruda la fine dell’ideale americano si è realizzata con l’assassinio di Kennedy, ucciso un anno esatto dopo l’esplosione dell’aereo di Enrico Mattei, in quel «luogo dove fede, speranza e misericordia sono morte … addio zio Sam … l’anima di una nazione è stata strappata via e si avvia al suo lento declino» canta Bob Dylan in Murder most foul.
Mattei, da liquidatore a costruttore
Un volume pubblicato nel 2012, a cinquant’anni dalla morte di Mattei, contenente i suoi Scritti e discorsi e una serie di saggi storici, ricostruisce l’antagonistico confronto tra il manager italiano e le Sette Sorelle.
In un rapporto del Consiglio Nazionale di Sicurezza (NSC) del 1958, i consiglieri di Eisenhower apparivano molto preoccupati che l’attivismo del presidente dell’Eni potesse costituire un pericolo per gli interessi degli Stati Uniti.
L’atteggiamento rivoluzionario di Mattei, che era stato chiamato per liquidare il polo energetico italiano e ne intraprese invece la costruzione, fu da un lato l’aver creato un’industria pubblica del petrolio, che per legge non poteva associarsi con partecipazioni azionarie ai privati, dall’altro l’aver avviato accordi che riconoscevano ai Paesi contraenti il 75 per cento degli utili. Questo gli procurò l’ammirazione entusiastica di molti Paesi terzi e l’inizio dei rapporti con URSS e Cina – e molti contratti che dovevano segnare l’esordio dell’Eni come grande azienda petrolifera -, ma una feroce contrapposizione con le Sette Sorelle e il governo degli Stati Uniti d’America.
Questa vera e propria guerra venne combattuta ad un livello non solo politico-diplomatico, ma anche mediatico, tale che, quando Mattei decise di far pubblicare gli articoli scritti dal 1949 al 1956 contro di lui, essi occupavano ben 36 volumi di un’antologia cui venne dato il nome Stampa e oro nero. Ma segnò anche pagine gloriose per l’Italia, dal momento che Mattei decise di contrattaccare con la creazione di un quotidiano («Il Giorno») e di un’agenzia giornalistica (l’AGI), di moderna concezione, e la collaborazione di registi italiani e stranieri (Joris Ivens e Bernardo Bertolucci) e di uomini di cultura come Gabriele De Rosa e Leonardo Sinisgalli. Un confronto che non ebbe mai fine. Nel luglio 1962 anche Montanelli pubblicò sul Corriere della Sera una durissima inchiesta in cinque puntate contro Mattei.
Kennedy e la «nuova frontiera»
I rapporti con gli Stati Uniti iniziarono a modificarsi a partire dal 1961, con l’avvento di Kennedy alla Casa Bianca, il presidente della “nuova frontiera” che avviò la sua azione politica nelle relazioni internazionali in direzione della distensione e del disarmo nucleare, in politica interna con il contrasto alla povertà e alla disoccupazione, la promozione di un benessere più distribuito e leggi a favore dell’istruzione e contro la discriminazione razziale a sostegno del movimento dei diritti civili della popolazione di colore guidato da Martin Luther King.
Kennedy avviò subito la strada del dialogo, inviando nel marzo 1961 Averell W. Harriman, il suo ambasciatore itinerante, ad incontrare Mattei, che in una franca discussione gli espresse le sue convinzioni sulla decolonizzazione e le aspirazioni dei popoli, sull’URSS e sulla Cina, riscuotendo l’attenzione della nuova America in una prospettiva di collaborazione e distensione.
Eppure un rapporto della CIA del 13 giugno 1961 dimostrava che l’intelligence americana non sembrava affatto aver cambiato idea su Mattei, riconfermando ogni possibile giudizio negativo sul presidente dell’ENI.
La presidenza Kennedy, sia in politica estera sia in quella interna avrebbe anch’essa trovato avversari agguerriti nell’establishment, dimostrando tutta la vulnerabilità del potere di fronte a un nemico che si esprimeva nel contrasto parlamentare alle leggi (soprattutto sociali), dove la spinta più innovatrice veniva puntualmente ridotta nell’effettiva portata originaria.
Il 27 aprile 1961, in un famoso discorso alla stampa americana, tenuto dopo la fallita invasione della baia dei Porci, Kennedy evocò «una cospirazione monolitica e spietata che si basa principalmente su mezzi segreti per espandere la sua sfera di influenza: infiltrazioni invece di invasioni, sovversione invece di elezioni, intimidazioni invece di libera scelta, guerriglie notturne invece di eserciti di giorno. È un sistema che ha arruolato vaste risorse umane e materiali nella costruzione di una macchina strettamente unita e altamente efficiente che combina operazioni militari, diplomatiche, di intelligence, economiche, scientifiche e politiche».
Nel 1962 inizia in aprile lo scontro tra Kennedy e i magnati dell’industria siderurgica, quindi in ottobre quello con i petrolieri, quando il “Kennedy Act” segna il crollo dei loro profitti sui capitali investiti all’estero dal 30 al 15% e il presidente parla addirittura dell’abolizione dell’esenzione dalle tasse sul reddito oltre il 27% dei loro guadagni a «compensazione dell’esaurimento delle riserve petrolifere».
Il 26 ottobre 1963, tre mesi dopo la firma del primo trattato sulle armi nucleari con l’URSS, richiamando idealmente il famoso monito di Eisenhower contro il complesso militare-industriale e la sua influenza sul potere politico degli Stati Uniti, Kennedy afferma in un discorso all’Amherts College: «Confido in un grande futuro per l’America, un futuro in cui la forza militare del Paese sia pari alla nostra coscienza morale, la sua ricchezza alla nostra saggezza, la sua potenza alla nostra fermezza … Spero in un’America che susciti rispetto in tutto il mondo non solo per la sua forza, ma anche per la sua civiltà …». Lo stesso anno in cui pianifica il ritiro di migliaia di uomini dal Vietnam.
Intanto Robert Kennedy, a capo del dipartimento della Giustizia, trasforma il suo ufficio in un potente strumento di lotta contro l’ingiustizia, disponendo che anche il FBI si unisca al ministero non soltanto nel contrasto alla criminalità organizzata e alla mafia, ma anche nella battaglia per l’applicazione dei diritti civili.
Ce n’era abbastanza per alienarsi l’apparato militare, i gruppi economici, il Sud, il mondo criminale. Un apologo di quel tempo dei magnati dell’acciaio disegnava così la presidenza degli Stati Uniti nella sua subalternità al potere reale: «Roosevelt dimostrò che la presidenza può essere un mestiere da esercitarsi vita natural durante. Truman ha dimostrato che chiunque può fare il presidente. Eisenhower, che non v’è in realtà bisogno di un presidente. Kennedy, che può essere pericoloso avere un presidente …» (Piero Buscaroli, Una nazione in coma).
Oltre il sogno
Due successive inchieste giudiziarie (1962-1966 e 1994-2004) sulla morte di Mattei si conclusero con un nulla di fatto, mentre la sentenza sul caso De Mauro – che si avvalse della ricostruzione documentaria del pm Vincenzo Calia nella seconda inchiesta (riportata nel suo libro Il caso Mattei) – indicò come causale del sequestro quello che il giornalista «aveva scoperto sulla natura dolosa delle cause dell’incidente aereo di Bascapè», ma la ricostruzione storica venne ridimensionata da «certa» a «verosimile» sia in Appello sia in Cassazione.
Allo stesso modo il Rapporto Warren e l’opposta, intelligente ricostruzione di Oliver Stone nel film JFK, Un caso ancora aperto rimangono gli unici documenti di rilievo sull’assassinio di Kennedy e forse, nonostante una legge del 1992, il JFK Records Act, preveda la pubblicazione dei file ancora coperti da segreto e il rilascio di una prima parte dei materiali sia avvenuto nel 2017, non conosceremo mai quanto resta nella sua interezza.
I due uomini avevano certamente più di un tratto comune: innovatori, spavaldi e incuranti del potere che li sovrastava, capaci realmente di trasformare il sogno in realtà, apparentemente sconfitti, lasciarono in eredità il primo una grande azienda pubblica capace di competere con i maggiori gruppi petroliferi privati, il secondo una visione rinnovata del sistema politico americano che negli anni a venire avrebbe esercitato influenza nel riconoscimento dell’importanza dell’iniziativa pubblica a sostegno di quella privata e nell’affermazione dei diritti civili.
Lo stesso sogno di Martin Luther King, che con il famoso discorso I have a dream, pronunciato al Lincoln Memorial di Washington durante la marcia per il lavoro e la libertà del 28 agosto 1963, terminata con un incontro con il presidente Kennedy, incarnò l’aspirazione dei Neri americani alla libertà e all’uguaglianza.
In apertura: residenti neri in coda per i soccorsi, alluvione del 1937 in Kentucky, foto di Margaret Bourke-White, Wikimedia Commons