Il biglietto da visita del Governo Meloni? Certo, il contante “rialzato” a 10.000 euro, l’editto contro i rave party. Ma c’è qualcosa di più strisciante che s’insinua nella terminologia ed è lo specchio di una diversa ideologia e di un tentativo di invertire la tendenza rispetto ai presunti deviazionismi di una sinistra, per la verità mai realmente al potere (neanche ai tempi di Berlinguer).
E allora si riaffaccia subdola e suadente, la parola “merito”. Come se la sua semplice evocazione, anche nella definizione di un Ministero, avesse il potere di cancellare l’abominio della stasi dell’ascensore sociale.
Constatiamo l’immobilità e la stagnazione della società italiana quando sulle scritte di un cantiere in attività troviamo parenti citati in fila o quando apprendiamo che il figlio di un notaio (guarda un po’) ha deciso ripercorrere le orme del padre. Dunque, l’affermazione, diremo quasi l’imposizione del merito, dovrebbe scacciare questa penosa immobilità sociale? La valorizzazione del merito s’impone nella scuola con la nuova definizione del Ministero che fu della Pubblica Istruzione. Ma, attenzione il merito si afferma a scapito della parola “pubblica”. E cosa s’intende per merito nella società dei 12 milioni di poveri che non riescono a rimontare la corrente e che hanno superato persino il problema di pagare le bollette maggiorate a causa delle sanzioni imposte alla Russia? Il merito dovrebbe essere il deterrente che sblocca un’intera generazione di ragazzi dai 25 ai 35 anni che non studiano, che non lavorano e che hanno come massima possibilità quella di farsi mantenere dalle famiglie?
Evidentemente il rilancio del merito cela una demagogia di fondo che era già avvertita ai tempi di Don Milani. Era sua l’idea che dietro la teoria del merito si nascondesse spesso il classismo della scuola e della società. Sarà dunque improvvisamente il merito a sfrecciare primo sul rettilineo battendo i tradizionali rivali della raccomandazione, del carrierismo, del clientelismo, del nepotismo? Ne dubitiamo. Evidentemente occorrerebbe una società del tipo di quella ateniese per imporre, vergine, questo nuovo rilanciato brand. L’articolo 34 della Costituzione è una sorta di contraltare. Contro l’esaltazione dell’individualismo e di “capacità superiori”, sancendo il dovere delle istituzioni di dare un’istruzione a tutti. Questa affermazione per la verità è contraddetta dall’attuale sistema delle altissime e carissime tasse universitarie. Se non si parte tutti alla pari sarà difficile riconoscere il merito. Le classi culturalmente svantaggiate non riusciranno mai a rimontare la corrente con una lettura ex abrupto del merito. Si accettano discussioni a tal proposito. Comprensibile che la coalizione di centro-destra voglia lasciare un segno anche ideologico sulle proprie scelte. Ma è altrettanto comprensibile che sia legittimo contestare questa deriva.
Foto di apertura: Roma, Ministero della Pubblica Istruzione e del merito- CC BY-SA 3.0