Il Ministero della Pubblica Istruzione esordì con l’Unità d’Italia e il suo governo Cavour, e rimase con tale denominazione nei lunghissimi periodi 1861-1929 e 1944-2001, e poi nei bienni 2006-2008 e (con il nome Ministero dell’Istruzione) 2020-2022. Nei quindici anni 1929-1944 si ebbe invece, per iniziativa del governo Mussolini, il Ministero dell’Educazione Nazionale. Lo scorporo del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica risale al 1988, e quest’ultimo costituisce un dicastero autonomo e con portafoglio nel periodo 1988-2001, poi 2006-2008, e dal 2020. Negli anni 2001-2006 e 2008-2020 si ha invece il riunificato Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Come ben noto, il governo Meloni ha varato poche settimane fa il nuovo nome Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Ho ricordato questa cronologia per evidenziare due punti. Il primo è che il cambio di nome, ora operato dal governo Meloni, ha una portata molto significativa. Gli unici precedenti sono infatti il Ministero dell’Educazione Nazionale nel 1929 e, a partire dal 1988, l’esigenza di uno spazio specifico all’università e alla ricerca. A ciò si lega il secondo punto di riflessione: scorrendo la cronologia appare che i due dicasteri, dell’istruzione da una parte e dell’università e ricerca dall’altra, furono riaccorpati due volte, nel 2001 (governo Berlusconi II) e nel 2008 (governo Berlusconi IV). Non sorprende dunque che negli ambienti scolastici e accademici si temesse che il governo Meloni volesse attuare il terzo riaccorpamento istruzione/università e ricerca, quanto mai inopportuno anche in considerazione degli ingenti investimenti previsti dal Pnrr per questi settori. Da esplicite dichiarazioni dell’attuale naturale portavoce della ricerca italiana presso le istituzioni, il Premio Nobel Giorgio Parisi, l’istanza di mantenere distinti i due dicasteri è stata preventivamente rappresentata al Presidente Mattarella.
Dunque una prima lecita domanda è se l’inserimento del merito nel nome del Ministero dell’Istruzione sia in qualche misura legato alla mancata riunificazione dell’istruzione con l’università e ricerca. Vale la pena ricordare che l’attuale ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara fu il relatore, nel 2010 e nell’ambito del governo Berlusconi IV, della cosiddetta “riforma Gelmini” della scuola e dell’università, che ha introdotto cospicui e mai recuperati tagli al personale, nonché vari criteri “di merito”, in particolare nella valutazione e negli scatti stipendiali dei docenti universitari.
Vorrei però sottolineare due meriti che il nuovo Ministero dell’Istruzione e del Merito ha già acquisito. Un primo merito è stato riportare in evidenza il tema della scuola, grande assente ingiustificata nel dibattito che ha preceduto le elezioni politiche. Un tema che è ora invece decisamente presente nei giornali, in televisione, nell’attenzione generale. Un secondo merito del nuovo Ministero dell’Istruzione e del Merito riguarda una possibilità offerta a chi non si riconosce nell’area politica espressa del governo. Per il ruolo dell’opposizione politica e di pensiero sono utili la libertà da pregiudizi ideologici e l’accogliere con favore qualche scelta del governo (perché mai il governo Meloni dovrebbe sbagliare tutto?), e il parlare di merito sembra sia stata una buona occasione. Si è giustamente da più parti ricordato l’art. 34 della costituzione, secondo cui “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
Diversi intellettuali e opinionisti non vicini al centro-destra hanno dunque in vario modo sostenuto che accostare istruzione e merito sia oggi una scelta opportuna. Tre esempi che si possono citare al riguardo sono l’editoriale La scuola svalutata e il merito da riscoprire di Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera del 27 ottobre e gli articoli Perché la sinistra deve credere nel merito di Pietro Ichino e Merito al merito di Massimo Recalcati su la Repubblica, rispettivamente del 28 e 31 ottobre. Poi naturalmente non può non essere interessante – anche se qui più area di governo non si può – leggere l’intervista La scuola di oggi è classista. Ora un’alleanza per il merito con studenti e insegnanti al ministro Giuseppe Valditara apparsa sul Corriere della Sera del 31 ottobre.
Conformemente al titolo di queste mie righe, vorrei ora esprimere qualche preoccupazione. Iniziando da un dato di realtà: i numeri della dispersione scolastica esplicita, il complesso e purtroppo silenzioso fenomeno del mancato completamento dell’istruzione obbligatoria. I dati 2021eurostat ci dicono che la dispersione scolastica esplicita riguarda in Italia il 12,7% dei giovani tra i 18 e i 24 anni, che la media europea è del 9,7%, e che l’Italia è ad un triste terzo posto tra i 27 paesi UE. Il nostro paese è peraltro primo nell’Unione Europea per gli abbandoni degli studenti stranieri (cfr. grafico 17 del Rapporto sugli alunni con cittadinanza non italiana dell’Ufficio di Statistica, luglio 2022). Vi è poi una dispersione scolastica implicita di giovani che, pur avendo completato gli obblighi scolastici, sono privi delle competenze fondamentali previste. Ciò contribuisce ad alimentare il numero dei Neet, nella fascia 15-34 anni in Italia al 25,1%, ovvero secondo i dati Eurostat ai massimi europei. Ancora, i dati Eurostat 2022 ci informano che l’Italia è al penultimo posto tra i 27 paesi UE per la percentuale dei laureati nella fascia di età 25-34 anni.
Alla luce di questi dati, mi sembra necessario un approfondimento sul senso da dare al valore merito affinché esso possa servire al miglioramento dell’istruzione in Italia. I rischi di un atteggiamento superficiale sono evidenti. Da una visione del merito come valore perduto durante decenni in cui hanno prevalso concezioni demagogiche dell’inclusione e del garantismo, è facile dedurre che si può e si deve ora operare una più rigorosa valutazione e selezione. Questa strada può anche condurre ad accentuare la già in atto differenziazione dell’istruzione in scuole e classi di serie A, serie B, serie C, … Magari in ultima analisi può condurre anche a qualche altro taglio, o quanto meno al mancato recupero degli enormi tagli già effettuati alla spesa pubblica per l’istruzione. Un altro evidente rischio è la burocratizzazione del merito, in particolare ai fini della valutazione dei docenti e dei dirigenti scolastici e dell’attribuzione di incentivi e retribuzioni differenziate. Burocratizzazione da anni già in atto, a seguito della riforma Gelmini/Valditara del 2010, nel già ricordato contesto degli scatti stipendiali universitari.
Un’interessante analisi della complessità delle varie questioni che si pongono attorno al valore merito, da come riconoscere e incentivare lo sviluppo dei talenti, al ruolo dell’ambiente e delle diverse opportunità nel processo formativo, al riconoscimento dell’impegno e dei risultati ottenuti, è oggetto del commento Come coltivare il merito di Tito Boeri e Roberto Pierotti su la Repubblica del 18 novembre.
In questo auspicabile approfondimento del valore merito può aiutare, come a volte capita, l’etimologia della parola. Basta per questo aprire un vocabolario, ma opportunamente il significato etimologico della parola merito ci è stato comunicato da Roberto Vecchioni. In una recente puntata del programma di Massimo Gramellini “Le Parole” il noto cantautore, per più di trent’anni anche professore di latino e greco nei licei, ci ha segnalato che meritum in latino significa ricompensa, e che il termine latino proviene a sua volta dal greco merismos, che ha significato di distribuzione, elargizione.
Il recupero dell’etimologia di una parola aiuta a riprendere in mano il suo significato più completo, che include aspetti importanti ma che magari nel tempo si sono persi. E l’etimologia di merito mi porta a riferirmi a quella che mi è sembrata la più profonda e realistica riflessione al riguardo che ho letto in queste prime settimane del nuovo governo e del nuovo ministero.
Si tratta dell’articolo Scuola, perché il merito va fatto fiorire di Chiara Saraceno, apparso su la Repubblica del 1 novembre. Il merito è qualcosa che si deve costruire e alimentare, partendo dall’infanzia e dai dati della realtà, e non qualcosa che si deve semplicemente valutare. Per lasciar parlare l’illustre sociologa: “Se il ministero dell’Istruzione vuole davvero dare senso all’aggiunta ‘del merito’ nella propria denominazione dovrà occuparsi di costruire le condizioni perché a tutte le bambine/i, a partire dai più svantaggiati, sia garantito il diritto costituzionale ad avere le risorse per il pieno sviluppo della personalità, capacità incluse. L’Italia è ricca di esperienze in questa direzione, anche se purtroppo finora nessun ministro si è impegnato a farle diventare la modalità normale di fare scuola, creandone le necessarie condizioni organizzative, istituzionali, di formazione degli e delle insegnanti.”
Dunque “occuparsi di costruire”, e va da sé che ogni costruzione richiede il suo tempo, che difficilmente sarà solo quello di un governo che ha cambiato il nome a un ministero. Un tempo non breve ma necessario, come dimostrato dall’esperienza di quei paesi che con coerenza e positività di vedute, e investendo capacità e risorse, hanno realizzato un’istruzione che sa guardare al futuro.
Immagine di copertina di Yan Krukov da Pexels