Dopo il 25 Settembre: un po’ di numeri

Il risultato finale per la tornata di settembre è stato ben anticipato dai sondaggi: il centro-destra ha vinto (43,8%) le elezioni con un vistoso balzo in avanti di Fratelli d’Italia (FdI) a danno dei due maggiori partiti alleati. Deludenti, rispetto alla precedente consultazione, i risultati del Movimento Cinque Stelle (M5S) crollato al 15,4% e del PD ridimensionato al 19%; il centro-sinistra, PD incluso, si è fermato al 26,1%; infine mediocre il risultato del Centro (Calenda e Renzi) fermo al 7,8%. Per meglio interpretare i dati, occorre tener presenti due considerazioni che meglio consentono di valutare quanto è accaduto. Il totale dei cittadini aventi diritto al voto (per la prima volta la platea è identica per Camera e Senato, potendo votare i diciottenni per entrambi i consessi) è di 50,9 milioni (poco meno del 10% vota dall’estero). I votanti sono stati poco meno del 64% e circa l% dei votanti ha consegnato scheda bianca; per cui il “partito del non voto” supera il 37% dei cittadini, affermandosi come l’opzione largamente maggioritaria, tanto più che la percentuale dei non votanti è aumentata del 9% rispetto all’ultima consultazione. Che nostalgia per la partecipazione di massa negli anni Settanta (93,4% nel ’76)! Questo significa che le percentuali guadagnate dai partiti, essendo riferite solo ai “voti validi”, sono ben ridotte rispetto all’insieme dei cittadini.

Il secondo aspetto importante da considerare è relativo alla legge elettorale in vigore che avvantaggia largamente le coalizioni nei collegi uninominali. Alla Camera sui 400 seggi in totale, 147 sono espressi in collegi uninominali (CU) e 253 in quelli plurinominali (CP); al Senato i valori sono 74 per CU e 126 per CP. Per fare un esempio degli effetti di questa legge elettorale insoddisfacente, nella mia Puglia (alla Regione la maggioranza è di centro-sinistra) per la Camera 9 su 10 eletti nei CU sono andati al centro-destra, che ne ha vinti solo 7 sui 17 disponibili per i CP. In conclusione i partiti che hanno avuto l’accortezza di coalizzarsi, pur avendo raccolto solo il consenso di poco più di 1 elettore su 4, hanno ottenuto una schiacciante maggioranza in entrambi i rami del Parlamento grazie ad un “partito del non voto” che rappresenta 1 elettore su 2,5 ed al sistema premiante dei collegi uninominali, dove è la coalizione a decidere il potenziale eletto.

 

Due “misteri” della tornata elettorale

Il sistema elettorale era noto a tutti e considerato, almeno a parole, da tutti insoddisfacente. I partiti del centro-destra da tempo avevano dichiarato di voler competere in coalizione. Il PD ha tentato di dar vita ad una coalizione, prima realizzando un’alleanza con il M5S durante il secondo governo Conte e durante il governo Draghi, poi, vista la scelta (definirla miope è un eufemismo) del M5S di far cadere un governo che stava risolvendo non pochi problemi del Paese in un periodo veramente critico, provando a costruire una nuova coalizione con i Verdi ed il partito di Calenda, ma l’improvvisa giravolta di quest’ultimo, due giorni dopo aver siglato l’accordo, ha fatto naufragare il tentativo di poter competere con qualche chance rispetto alla coalizione di centro-destra. Sia il M5S, sia Calenda hanno scelto di andare alle elezioni svincolati dalla coalizione, valutando così di aumentare di poco i voti del proprio partito, ma così hanno di fatto consegnato la vittoria al centro-destra per il vantaggio della coalizione. Una scelta cinica e suicida.

Ripartizione dei membri del Consiglio dei Ministri per regione di nascita
Di SkyFrank – Opera propria, CC BY-SA 4.0, da commons.wikimedia.org

Il centro-destra di fatto si è riproposto nella stessa configurazione che portò al disastro del governo Berlusconi nel 2011, può essere che un così gran numero di cittadini non abbia memoria di quanto avvenuto dieci anni prima? Inoltre, com’è possibile che nel Meridione ci siano tanti elettori che votano per la Lega e per la coalizione in cui è attore strategico, visto che essa è nata come un partito corporativo per gli interessi delle regioni del Nord, ha spesso operato nei governi a detrimento delle regioni meridionali e, non a caso, ha come primo punto del suo programma la completa autonomia regionale per Veneto e Lombardia, confermando la volontà di disinteressarsi del Meridione.

 

Dopo il 25 Settembre: una schiacciante maggioranza

Il centro-destra ha stravinto le elezioni ed ha avuto l’onere di gestire la scelta delle maggiori cariche del Parlamento e, ricevuto l’incarico dal Presidente della Repubblica, di formare il nuovo governo. Rispettosi della scelta democratica dei nostri concittadini, ci aspettavamo la scelta di parlamentari che avessero caratteristiche professionali e di storia politica che potessero essere riconosciuti da tutti i cittadini come persone che unissero il Paese e lasciassero alle spalle i veleni della competizione elettorale. Siamo rimasti piuttosto sconcertati dalla scelta, alle massime cariche dello Stato, dopo il Presidente, di due parlamentari con profili molto di parte: un nostalgico del ventennio fascista ed un oltranzista cripto-cristiano che sbaglia anche nello scrivere il suo ruolo lavorativo! La scelta delle maggiori cariche del Parlamento appare dunque non solo divisiva, ma anche provocatoria verso il resto del paese (75%) che nel centro-destra non si riconosce. Può essere che non ci fossero altri colleghi dai partiti della coalizione più moderati, più aperti al dialogo al di là delle barricate? Oppure bisogna proprio leggere queste scelte come l’intenzione precisa di soverchiare le posizioni avversarie?

Il Presidente incaricato Giorgia Meloni legge la lista dei Ministri, al termine del colloquio con il Presidente Sergio Mattarella. (foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

 

Come era ovvio la figura centrale del sistema di potere del centro-destra vincitore è stata quella della Meloni. Una figura che ha due profili, alternati con maestria: l’oratrice reazionaria a volte incendiaria e la politica attenta al contingente, in grado di parlare in modo rassicurante. La vicenda politica di Giorgia Meloni è una storia di successo e di record. Fin da ragazza attiva nel movimento giovanile del M.S.I. (partito di estrema destra), poi segue Fini nella fondazione di Alleanza Nazionale e presto arriva ad essere una dei più giovani parlamentari, vice presidente della Camera e poi ministra per la gioventù a solo 31 anni nel disastroso governo di Berlusconi (2008-11). Con la diaspora della coalizione del Popolo della Libertà decise con pochi colleghi parlamentari di fondare Fratelli d’Italia nel 2012, portandola all’attuale successo e diventando la prima donna in Italia Presidente del Consiglio. La attendiamo alla prova dei fatti concreti, sperando che prevale il profilo rassicurante e che la sua indole ideologica e gli ingombranti compagni di viaggio non la obbligano o inducano a scelte improvvide e dannose per il Paese.

 

 

Il nuovo governo: l’insediamento

La Meloni ha subito mostrato determinazione nel decidere la formazione del suo governo ed il giorno dopo l’incarico ha presentato l’organigramma dei ministri, componendo alcune insoddisfazioni già palesatesi fra i partiti della coalizione. È stato apprezzabile il suo intervento chiaro sulla scelta atlantista del nostro Paese e sulla scelta di supportare l’Ucraina (nonostante le sconcertanti dichiarazioni del suo partner Berlusconi) in questa sciagurata guerra voluta dalla Russia e di contribuire lealmente al rafforzamento dell’Unione Europea. Chiaramente le scelte di effettuare “una riforma costituzionale in senso presidenziale”, una “autonomia differenziata” delle regioni, la frase sibillina “noi vogliamo difendere la natura con l’uomo dentro” sono l’esplicitazione delle idee politiche della maggioranza che esprime il governo. L’impegno sui vari fronti in cui il Paese è in ritardo è stato espresso come lista di cose da fare, ma non vi è stata nessuna spiegazione sul come e con quali risorse quest’impegno sarà realizzato, tanto più che si prevede una flat tax che diminuirebbe ulteriormente il gettito fiscale. Il motto scelto dalla Presidente “non disturbare chi vuole fare” appare veramente preoccupante, tanto più visti gli accadimenti di malavita organizzata, frodi, evasioni fiscali, insicurezza sul posto di lavoro e scempio del patrimonio naturale cui da anni siamo costretti ad assistere, nonostante le leggi e normative esistenti.

Per un governo in carica sarebbe prezioso avere un’opposizione forte e costruttiva. Anche su questo versante, come diceva Cicerone, mala tempora currunt sed peiora parantur! Ciascun partito dell’opposizione è intervenuto negando ufficialmente il voto al governo, ma ciascuno con motivazioni ed atteggiamenti diversi. In particolare veramente sconcertante, al Senato, l’intervento di Renzi che si è concentrato nel dileggiare PD e M5S, tanto da far sorridere la Meloni che ha espresso con un “bravo” il suo gradimento alle parole del “bastian contrario”. In questo caso non ci sono misteri, ma evidenze: il partitino del duo Renzi e Calenda probabilmente era nato con la speranza di essere indispensabile per il centro-destra per raggiungere la maggioranza o per renderla più digeribile a livello europeo; visto che non sono serviti per questo scopo, sembrerebbe si vogliano proporre come stampella di sicurezza, come già dimostrato nel voto per La Russa al Senato (eletto nonostante l’astensione dei berlusconiani) e poi confermato con quest’intervento infelice e ambiguo. La definitiva conferma che avremo, durante questa legislatura, un’opposizione debole, litigiosa e divisa è venuta dal rifiuto di M5S e di Calenda e Renzi ad una concertazione fra le forze di opposizione proposta più volte dal PD, per contrastare insieme azioni non condivise del governo.

 

Il nuovo governo: se il buongiorno si vede dal mattino…

Questa volta tocca a me confessare di essere nostalgico. Sono nostalgico di Draghi e del suo governo, soprattutto del modus operandi impostato solo su comunicazioni concrete; fatti che conseguono quanto promesso per i cittadini; credibilità assoluta a livello nazionale ed internazionale e nessun effetto speciale, iniziando dall’evitare uso e abuso dei social. Questa modalità è stata davvero una novità assoluta nel panorama politico italiano ed è già rimpianta. Il nuovo governo vede, fra le persone scelte per le cariche di ministro, alcune di buon livello, altre con storia personale meno convincente, molti reduci del fallimento del ’11. Chiaramente non si può esprimere ancora alcun giudizio, lasciamo alcuni mesi al nuovo governo il tempo per operare.

Purtroppo, invece di operare sui gravi problemi del Paese, subito i primi atti compiuti dal governo Meloni rientrano, per usare un termine cortese, nella categoria degli effetti speciali. I più eclatanti: possibilità di effettuare acquisti fino a cinquemila euro in contanti, reintegro immediato dei medici sospesi perché non vaccinati, decreto legge per impedire i rave e si prefigura un ennesimo condono sotto la ridicola denominazione di “pace fiscale”. I primi due ed il quarto dimostrano lo spregio rispetto alle regole ed ai vincoli creati per difendere la società ed impedire l’evasione fiscale e comportamenti contro la salute pubblica; il decreto per i rave, deciso ad horas per dimostrare la rapidità nel reagire ad un fatto contingente, nello specifico il rave effettuato a Modena, con presunta inflessibilità.

Per la stragrande maggioranza dei cittadini sono provvedimenti senza alcuna utilità. Chi gira con tanti soldi nel portafoglio, anzi chi ne tiene tanti a casa propria? Pochi saranno invece felici, per esempio gli evasori e le mafie dediti al riciclaggio di denaro “sporco”. Si inaugura così una politica di distrazione sociale, invece di affrontare davvero i problemi della società nazionale. Il governo, confortato dalle divisioni fra le opposizioni, afferma la propria connotazione reazionaria (purtroppo non conservativa) per impressionare l’opinione pubblica e lasciare un proprio segno marcato e potenzialmente minaccioso e volto all’intimidazione verso chi non condivide il suo operato. In particolare sul decreto anti-rave sono intervenuti con forza i sindacati che hanno intravisto la possibile lesione dei “diritti costituzionalmente garantiti, come quello di manifestare”, costringendo il Ministro degli interni a fare una parziale marcia dietro. Peraltro il testo è così mal scritto che ognuno, della maggioranza, lo ha interpretato a piacere: da chi dice che il decreto servirà ad effettuare lo sgombero di locali occupati, a chi dice che non creerà problemi per gli organizzatori dei rave legali (ma che significa, Salvini?), a chi risponde che non disturberà affollamenti non autorizzati ma tradizionali, come la pellegrinazione a Predappio. Un provvedimento inutile, visto che l’applicazione delle leggi esistenti bastava per contenere l’illegalità di quelle organizzazioni clandestine.

Fabio Rampelli, Vicepresidente della campera dei deputati – Camera dei deputati, licenza CC BY 4.0.

Sono seguite ulteriori scelte infelici nella nomina dei sottosegretari, alcuni subito messi alla berlina per pregresse esternazioni o comportamenti censurabili; nel protagonismo di chi ha chiesto che alla Camera si “usi l’italiano”, esibendosi in una traduzione sbagliata di un termine inglese e facendo subito ricordare le comiche italianizzazioni delle parole straniere codificate dal fascismo (brioscia per brioche, giovanottiera per garconnier, insalata tricolore per insalata russa…) disattese e irrise dalla popolazione, tranne “tramezzino” inventata da D’Annunzio per non usare sandwich.

Soprattutto si è ripreso l’approccio imposto da Salvini durante il governo Conte1 di blocco dei porti per le navi stracolme di migranti. A prescindere dalle considerazioni etiche e di diritto, chiaramente non è la strada giusta, tanto più che poi il blocco occorre risolverlo. Bisognerebbe da una parte comprendere che un certo numero di migranti sono utili per il Paese, viste la preoccupante denatalità e la grande emigrazione dei nostri giovani in altri paesi e dall’altra che il problema non si risolve unilateralmente violando le normative internazionali, ma solo con una paziente e diplomatica opera di mediazione con gli altri paesi dell’UE. Il colmo dell’insipienza si è avuto quando Macron si è offerto di risolvere l’accoglienza dei migranti della Ocean Viking, con l’improvvido tweet di Salvini e la nota non concordata della Meloni che hanno ottenuto il catastrofico risultato di una crisi diplomatica con la Francia (la quale non ha perso l’occasione di dimostrare il suo sciovinismo), che già si ripercuote negativamente sui delicati equilibri europei. È stato preannunciata la volontà di rivedere l’impianto dei PNRR, un’idea che, se condotta con dilettantismo e arroganza come la gestione dei migranti, potrebbe portare alla perdita dei vantaggi garantitici dall’UE con un grave ed immediato scotto per il Paese.

 

 Speranze e perplessità per il futuro

Dunque le prime manifestazioni concrete fanno comprendere che la volontà della Meloni è di impostare un governo di destra che utilizza situazioni critiche contingenti per creare un problema e dimostrare di saperlo subito affrontare e risolvere (rave) o che dimostra la forza in situazioni drammatiche come quelle degli extracomunitari salvati in mare o che lancia provvedimenti ispirati ad un laissez-faire settecentesco utile soprattutto a potenti, furbi, disonesti e criminali. Insomma un governo che è forte ed inflessibile con i deboli e compiacente o distratto con i forti e gli approfittatori, favorendo un individualismo asociale e menefreghista. In aggiunta il dilettantismo e la spasmodica voglia di protagonismo sui social dei nuovi governanti stanno dimostrando come, piuttosto che dedicarsi a realizzare attività di interesse dei cittadini, continuano a baloccarsi con operazioni di identità e vetrina, per giunta mal realizzate.

Questo governo con una grande maggioranza che lo rende stabile, non dovrebbe lasciar sfuggire l’opportunità di incidere in maniera costruttiva sullo sviluppo del Paese e nessuno ha voglia di criticarlo solo per ragioni ideologiche. I fatti contano, non gli effetti speciali o l’esibizione dei muscoli; essendo ottimista non ho abbandonato la speranza che, finita l’ebbrezza dei brindisi iniziali e meglio registrate le manie di esternazioni, una parte delle future attività governative siano concepite e realizzate nell’interesse dei cittadini e del Paese. L’ottimismo non mi fa ignorare varie perplessità. La prima riguarda la possibile volontà di modificare in senso illiberale la Costituzione e/o l’ordinamento dello Stato come è successo in Ungheria ed in Polonia; sarebbe una grande sciagura che potrebbe creare danni irreversibili per il Paese e ci allontanerebbe nei fatti dall’Europa, che è la prima garanzia per l’Italia. La seconda perplessità riguarda i possibili tentativi volti a limitare i diritti civili e le possibilità di esprimere il dissenso, se mai con il ricorso della forza per intimidire i cittadini. Anche questa è un’eventualità non impossibile, come quella di intraprendere o supportare azioni che impediscano in futuro un ordinato ricambio democratico (esempi clamorosi recenti li abbiamo visti in USA con l’attacco del Campidoglio e, nei giorni scorsi, con il blocco delle strade in Brasile all’indomani della vittoria di Lula, fallito grazie alla pronta risposta popolare). L’augurio per il Paese è che queste perplessità ed altre, come quella sulla capacità di ben interpretare i fabbisogni del sistema sociale e produttivo, possano essere attenuate o cancellate da un operare saggio del governo. Ci auguriamo, in proposito, che siano ben meditate le parole pronunciate dal nostro Presidente Mattarella a Maastricht: “Se tutti daremo prova di responsabilità, capacità di visione, di rispetto e di lealtà reciproca, aumenteremo il senso di appartenenza nell’Unione”.

 

Foto di apertura: Foto ufficiale scattata dopo la cerimonia di giuramento – Presidenza della Repubblica