State tranquilli. Non è la carte des mets. È solo la carta di credito: quella mediante la quale i nemici del contante vorrebbero obbligare baristi, taxisti, pizzaioli, barbieri e stuoli di altri commercianti, artigiani e lavoratori autonomi ad accettare i pagamenti per acquisti anche di infimo ammontare.
Il cliente, coi suoi soldi, può pagare come gli pare. Col contante o con la carta. Fino a prova contraria lo Stato ammette e garantisce la circolazione monetaria. Ma agli esercenti e ai piccoli imprenditori e professionisti non dovrebbe essere consentito rifiutare il pagamento con carta di credito, senza potere – ovviamente – traslare il costo delle commissioni sui clienti. Potrebbe discutersi sulla sussistenza di un simile obbligo se il fornitore del bene o il prestatore del servizio fosse un monopolista, obbligato per legge a contrarre e, per di più, secondo le modalità e alle condizioni stabilite dall’ordinamento. Ma, nella specie, così non è; per cui il cliente che esiga di pagare con moneta elettronica ha agio di recarsi presso qualsiasi altro concorrente, fra quelli presenti in zona, che liberamente accetti tale forma di pagamento.
E poi c’è carta e carta. Tutte hanno un costo. Ma alcune costano di più, altre di meno. Potrebbe considerarsi legittimo il rifiuto di accettare alcune delle carte che vengono presentate? Se l’onere gravasse sul cliente, non ci sarebbe dubbio che dovrebbero essere tutte accettate. Siccome però il costo grava sul percettore (e alla fine dell’anno tale costo può rivelarsi anche assai elevato) parrebbe doversi esprimere contrario avviso. In fondo, è facile fare bella figura, in Italia e in Europa, con i denari degli altri.
E non si venga a dire, per favore, che l’uso del contante a questi livelli fomenta l’evasione fiscale. Tutti sappiamo bene che, nel nostro Paese, circa un terzo del PIL sfugge alla tassazione, ricade nell’economia sommersa, cioè nel “nero”. Si tratta dei proventi delle attività – illecite o solo apparentemente lecite – gestite dalle varie mafie, che nessuno vuole veramente stroncare perché ormai il loro potere non è più concentrato nelle ben note regioni del Sud, ma si è radicato saldamente ovunque, a Roma come a Milano.
E tutti sappiamo altrettanto bene che in Italia, come in molti altri Stati europei, operano taluni colossi multinazionali che non pagano nulla – o quasi nulla – sui redditi prodotti nel Paese.
È lì che bisogna andare a stanare l’evasione. È una pia illusione far mostra di credere che a simili soggetti – mafia e multinazionali dell’etere – possa dare davvero fastidio l’imposizione del pagamento del caffè con moneta elettronica, così come la previsione di un qualsiasi limite all’uso del contante. Da provvedimenti di tal genere i grandi e grandissimi evasori non vengono scalfiti. Essi costituiscono soltanto un intralcio e un onere di non poco conto (non si pensi soltanto alle commissioni sui pagamenti POS, ma anche, ad esempio, alle perdite di opportunità di affari causate dall’obbligo di identificazione dei clienti) per della gente che lavora e che, in un’economia che si regge sulle piccole e piccolissime imprese e sulle professioni individualmente esercitate, costituisce la colonna portante del nostro sistema economico.
Sono dunque provvedimenti che integrano poco più che palliativi nella prospettiva di un reale contrasto all’evasione e alla criminalità organizzata, ma che possono arrecare grave pregiudizio allo sviluppo economico della Nazione, che in questo delicatissimo momento meriterebbe di essere sostenuto e incentivato con ogni mezzo.
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