Nel 2022 l’Europa ha registrato il terzo autunno più caldo con temperature superiori di 1°C rispetto alla norma. L’anno si chiude, quindi, con un deficit continentale pesantissimo che ripropone l’urgenza di rivedere piani e strategie contro il cambiamento climatico. I dati diffusi pochi giorni fa dal Copernicus Climate Change Service – C3S dell’Unione europea, ci riportano alle conclusioni della Cop 27 di novembre a Sharm el-Sheikh. Di cosa hanno discusso i leader mondiali e cosa ci hanno lasciato in eredità (o almeno) fino alla prossima Cop 28 di Dubai ? Principalmente di come mantenere sotto la soglia di 1,5 °C l’innalzamento della temperatura del pianeta rispetto ai livelli preindustriali. Si dirà: non è un tema nuovo. Certo che no e non è nemmeno un’ opzione politica nel senso che cambia secondo le stagioni della politica nei singoli Stati. È dalla conferenza sul clima di Parigi del 2015 che il mondo discute di questo. Sta scritto nel trattato internazionale stipulato tra gli Stati membri delle Nazioni Unite dopo quella conferenza. Il documento uscito dall’assise in Egitto, tranne qualche utile novità, ha rimandato alla Conferenza di Dubai le decisioni da prendere per non raggiungere picchi nelle emissioni nocive. La delusione per le conclusioni è stata palese.
Il 2023 dovrebbe essere l’anno in cui gli obiettivi dei Paesi industrializzati dovrebbero migliorare e non di poco. Se non si spinge sulla decarbonizzazione con l’abbandono graduale dei sostegni statali alle fonti fossili, sarà difficile raggiungere i traguardi prefissati per il 2040. Per restare sotto il fatidico 1,5 °C< è necessario abbassare le emissioni del 43% nei prossimi 7 anni. Ma il taglio di quelle globali attualmente è modesto: sotto l’1% rispetto al 2019, anno di riferimento. Quanto alle novità giunte da Sharm el-Sheikh, c’è l’adozione del fondo Perdite e Danni (Loss & Damage) causato dai cambiamenti climatici. E’ stata inaugurata una fase nuova nelle relazioni internazionali. Se il fondo verrà veramente applicato porterà ad una maggiore responsabilità dei Paesi che hanno i livelli di inquinamento più alti. Il dato oggettivo è che i paesi industrializzati sono a metà del guado. Le loro economie hanno ancora molto bisogno delle fonti fossili. Per quanto i governi accelerino sulle riforme e sugli investimenti green la meta di “zero emissioni” ci appare abbastanza sbiadita. L’Europa è sicuramente protagonista della transizione ecologica, ma attenzione- avverte il Copernicus Climate Change- la temperatura media globale a novembre 2022 è stata superiore di quasi 0.2°C rispetto allo stesso mese tra il 1991 e il 2020. Questo nonostante “le temperature in molte regioni oceaniche siano state miti, mentre altre aree marine hanno registrato una temperatura superficiale dell’aria superiore alla media, come il Mediterraneo” ha detto Carlo Buontempo, Direttore di C3S.
Davanti a questi scenari pensare positivo è quasi un obbligo. Le fonti rinnovabili sono l’unica prospettiva per salvare il pianeta. I nodi da sciogliere sono ancora tanti, però, e alcuni davvero complicati in un mondo sbilanciato e iniquo. Se l’Europa ha affrontato un anno terribile in campo energetico per le conseguenze della guerra in Ucraina, negli Usa- che hanno appena sperimentato la fusione nucleare- sullo sviluppo sostenibile ci sono contraddizioni e trucchi. Secondo un gruppo di lavoro della Camera dei Deputati le grandi compagnie energetiche stanno sabotando gli impegni sul clima. Non fanno abbastanza per prevenire gli effetti del cambiamento climatico, nonostante le promesse pubbliche di combattere il problema. I deputati americani hanno consultato documenti delle società nei quali hanno scoperto che per ridurre le proprie emissioni le big company hanno pensato di vendere i giacimenti di petrolio a compagnie più piccole. Evidentemente la sostenibilità ambientale non è nel loro core business. Noi di qua dell’oceano cerchiamo di non trasformare la battaglia per il clima in un’ opzione politica secondo i governi e le convenienze.
Foto di apertura: Il mar Caspio – da Unsplash