In una puntata del programma televisivo Passato e Presente dedicata alla figura di Papa Giovanni XXIII, lo storico del cristianesimo Alberto Melloni ne ha sottolineato il grande talento diplomatico. Le lunghe e complesse esperienze di Angelo Roncalli vescovo, dal 1925 al 1953 prima visitatore apostolico in Bulgaria, poi delegato apostolico a Istanbul, infine nunzio apostolico a Parigi, contribuirono a rendere Giovanni XXIII, secondo lo stesso storico Melloni, il Pontefice del Novecento dalle più spiccate ed efficaci virtù diplomatiche.

Viene spesso ricordato il ruolo di Giovanni XXIII nel superamento della crisi di Cuba nell’ottobre 1962, pochi giorni dopo l’apertura del Concilio Vaticano II. L’ultima sua lettera enciclica, la Pacem in Terris, indirizzata a “tutti gli uomini di buona volontà”, conferma il profondo rinnovamento e cambiamento impresso dal suo Pontificato. La crisi di Cuba ha rappresentato, purtroppo solo fino a un anno fa, il momento storico di massima tensione internazionale dopo la Seconda guerra mondiale.

A un anno dall’inizio della guerra in Ucraina, sappiamo non esservi alcuna pace all’orizzonte. Ci si prepara a una nuova offensiva forse già prima della primavera, e sembrano irrinunciabili nuovi confronti militari prima di poter solo pensare a qualcosa di diverso. Non si riesce peraltro a immaginare che cosa di diverso, anche solo a voler vedere la guerra nel suo aspetto più minimale. Ovvero riguardante l’invasione da parte del rinnovato imperialismo russo del paese che meno di un secolo fa ha già subito da esso il genocidio per fame dell’Holodomor.

Papa Francesco ha recentemente ultimato il suo quarantesimo viaggio, un viaggio in Africa contro le guerre e per la giustizia. Nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan, nel continente del mondo dove oggi sta più crescendo il numero dei cattolici e dove, secondo l’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo, si contano più guerre e conflitti.

Il viaggio in Africa di Francesco non ha certo distolto la sua attenzione dalla guerra in Ucraina, il conflitto che maggiormente minaccia la pace nel mondo. È dello scorso 26 gennaio la giornata di preghiera per la pace in Ucraina promossa dal Papa, che ascoltiamo ogni domenica, nell’Angelus e nella benedizione ai fedeli, ricordare dalla sua finestra il dramma e le sofferenze in Ucraina. Su un sito della Città del Vaticano può essere letto il messaggio del Papa a nove mesi dall’inizio dell’invasione, pubblicato il 24 novembre scorso in nove lingue, incluso naturalmente l’ucraino.

Papa Francesco a Strasburgo interviene al Parlamento europeo
by Palazzochigi, CC BY-NC-SA 2.0

Nell’interessante editoriale “La Chiesa che perde l’Europa” sul Corriere della Sera del 31 gennaio, lo storico Ernesto Galli della Loggia ha voluto evidenziare un apparente allontanamento della Chiesa di Roma dall’Europa, iniziato più di mezzo secolo fa e recentemente accentuato. Un allontanamento dunque dal continente dove sono le radici e l’identità della Chiesa Cattolica, la manifestazione prima e più rilevante della storia del cristianesimo. Favorito naturalmente, oltre che dall’universalismo iscritto nel dna del cristianesimo e nel nome del cattolicesimo, dalla storia del Novecento e di quella del nuovo secolo.

Non più di una lunga parentesi, secondo Galli della Loggia, è stato l’impegno di Giovanni Paolo II nelle vicende dell’est europeo negli ultimi decenni del secolo scorso. A seguire i Pontificati di Papa Benedetto e di Francesco, e, pur riconoscendo al primo la convinzione della centralità storica e teologica dell’Europa, nell’editoriale si arriva ad affermare l’attuale orientamento nella Chiesa di Roma verso una ”predicazione sempre più mirata in generale contro la disuguaglianza e l’oppressione, a favore della pace senza se e senza ma. Ma il tutto perlopiù declinato in una dimensione planetaria intrisa di diffidenza se non peggio per qualunque cosa o potere sapesse di Occidente, e dunque di Europa, e viceversa assai indulgente per qualunque cosa non avesse quell’origine”.

Vorrei cercare di ampliare questa visione del rapporto della Chiesa con l’Europa con qualche elemento relativo alla bimillenaria storia del cristianesimo, e alla luce di un significativo saggio, da poco uscito in italiano. Mi riferisco al libro “Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di cambiare” del teologo e filosofo ceco Tomáš Halík, ed. Vita e Pensiero, dicembre 2022. Il prestigioso premio Templeton, attribuito all’autore nel 2014, è considerato come una sorta di premio Nobel per la teologia.

Tomáš Halík, by Petr Novak, Wikipedia
CC BY-SA 2.5

Il titolo del libro che ho menzionato riprende un’immagine proposta da Carl Gustav Jung. Il fondatore della psicologia del profondo paragonò gli stadi della vita umana alle parti di una giornata. Il mattino è tempo della preparazione, della vitalità, dell’azione. Sono queste le ore dell’infanzia, della giovinezza, della prima età adulta. Il periodo in cui si sviluppano i dati fondamentali della personalità, si pongono le basi della vita di lavoro, personale, anche dell’immagine. Ad un’età variabile subentra la crisi del mezzogiorno, momento di pausa, di possibile stanchezza, di perdita di entusiasmo. La crisi può coinvolgere salute, lavoro, la propria immagine, una relazione personale, i figli, ciò in cui si crede.

Come in ogni crisi, si può vivere il mezzogiorno come opportunità. Non per tornare indietro, ma per andare oltre. Si può dare spazio a componenti dell’esistenza trascurate o che non si conoscono. Se si supera la crisi del mezzogiorno, il pomeriggio appare come il momento migliore della giornata: ponderatezza ed esperienza sono elementi essenziali per proseguirla anche meglio di quanto si era progettato. E naturalmente, il pomeriggio della maturità e della vecchiaia è momento della vita interiore, della saggezza, della capacità di controllare l’egocentrismo. Certo si può anche invecchiare male, consolidare rigidità, ansie, sospetti, meschinità, paure. E qui, secondo Jung, ha un peso la vita spirituale, nel senso più ampio che si può dare a questo termine.

Nel libro di cui sto parlando, Tomáš Halík perfeziona una concezione già presente in sue precedenti opere. Ovvero che la metafora di Jung per gli stadi della vita può ben applicarsi alla storia nel cristianesimo, dove però una mezza giornata corrisponde ora a più di un millennio. Quindi un mattino che è immagine del lunghissimo periodo dall’inizio del cristianesimo fino alla fine del medioevo, nel quale la Chiesa ha edificato le sue fondamentali strutture istituzionali, spirituali e dottrinarie.

A seguire una crisi del mezzogiorno, con epicentro appunto in Europa, che ha scosso fortemente le strutture costruite, dalla fine del medioevo alla Riforma e Controriforma all’Illuminismo, all’epoca della critica alle religioni e dell’inizio della diffusione dell’ateismo. Un mezzogiorno di tutta l’età moderna, proseguito nella nostra più che complessa età contemporanea. Incluso il rapporto con il marxismo e la Chiesa del silenzio nei paesi comunisti controllati da Mosca, esperienza vissuta in prima persona dall’autore del libro. Un mezzogiorno accompagnato dalla crescente secolarizzazione, profondo cambiamento del rapporto reciproco tra il mondo e la fede, che diviene nel mondo sempre più marginale.

Un pomeriggio d’estate, by Luciano Rizzello
CC BY-NC-SA 2.0

Coerentemente con il titolo, il testo di Halík è in gran parte dedicato agli attuali cambiamenti ed elementi che evidenziano un affacciarsi al pomeriggio del cristianesimo. L’avvicinamento della Chiesa a tutta l’umanità, preparato con il Concilio Vaticano II e con i due Pontefici della sua epoca, è proseguito con i successivi, con i loro innumerevoli viaggi, con l’apertura ai “non credenti”, con la preghiera condivisa con le altre religioni, fino alla recente enciclica “Fratelli Tutti” di Francesco.

E dunque un’inevitabile ridefinizione del rapporto preferenziale della Chiesa con il continente europeo. Ormai storica è l’affermazione contenuta nel documento congiuntamente sottoscritto ad Abu Dhabi nel 2019 da Papa Francesco e dalla massima autorità islamico-sunnita, il Grande Imam di al-Azhar, secondo cui “il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli essere umani”. Frutto di una fede adulta, matura, cresciuta attraverso un’esperienza millenaria, pagata anche dalle innumerevoli vittime delle guerre di religione del passato.

Questa è oggi la via percorsa dalla Chiesa di Roma per la causa della pace, in Ucraina e in ogni altro paese, una via che tende la mano alle altre chiese e all’umanità in genere. Una via che purtroppo vede l’intransigente opposizione della Chiesa ortodossa di Russia, con la sua recita dell’anacronistica parte di “terza Roma”, che vorrebbe guidare la pretesa restaurazione morale di un mondo dissoluto dalla decadenza della civiltà occidentale.

Dei 266 Pontefici della storia della Chiesa solo 12 non erano europei di nascita. Tra questi naturalmente vi è San Pietro, ma prima di Francesco l’ultimo non nato in Europa è stato il siriano Gregorio III, Papa dal 731 al 741, prima dell’età di Carlo Magno. Ma per il futuro della Chiesa di Roma, nel forse già iniziato pomeriggio del cristianesimo, si può ragionevolmente prevedere una ben maggiore frequenza di Pontefici non europei.

 

Immagine di copertina “Piazza San Pietro” by mariateresa toledo, CC BY-NC-ND 2.0