Afghanistan a rischio di carestia. Come denunciano tutte le Organizzazioni internazionali presenti in Afghanistan, la situazione economica e sociale sta peggiorando al punto che la fame sta diventando il problema principale. I Talebani sono ovviamente preoccupati: un padre che non può nutrire un figlio si rivolta. I Talebani che sono poche decine di migliaia soccomberebbero di fronte alla insurrezione di una popolazione di 40 milioni di abitanti. Essere riconosciuti dalla Comunità internazionale diventa così per i Talebani non solo importante ma determinante per la loro sopravvivenza. Lo sblocco dei fondi in America, la ripresa degli aiuti economici e della cooperazione da parte della Comunità internazionale sono essenziali per rimettere in moto la Amministrazione Pubblica e la economia.
Le donne. Nello scorso ventennio le afgane hanno assaporato il gusto della libertà, della scuola, del lavoro; il tentativo di sottrarre loro queste conquiste è destinato al fallimento, così come fallirà il tentativo degli Ayatollah di negare la indipendenza alle donne iraniane. Non capire che la eguaglianza dei sessi è dirimente e inevitabile, significa non capire da che parte va la storia. Anche in Iran come in Afghanistan la DONNA assurge – aggiungerei finalmente, se così alto non fosse il prezzo che devono pagare- ad un ruolo politico planetario, ad un simbolo della rivolta contro le autocrazie conservatrici, ad una divisione del mondo in due, l’Oriente retrogrado e tirannico, l’Occidente moderno e democratico.
Vecchi e nuovi attori. Alcuni Paesi hanno tenuto aperte le loro Ambasciate a Kabul (Pakistan, Russia, Cina, i Paesi del Golfo e quelli centroasiatici) ma non risulta che abbiano riconosciuto il Governo Talebano. Quindi isolamento totale? Cosi sembra ma probabilmente l’apparenza inganna. Proviamo ad esemplificare con alcuni Paesi importanti.
Usa. Continuano ad inviare milioni di dollari (si parla di 5 milioni ogni settimana) e mantengono una presenza di intelligence per controllare se i Talebani rispettano l’unica concessione che han fatto loro a Doha: impedire la formazione di gruppi terroristici (i quali potrebbero organizzare un altro 11 settembre).
Il terzetto Pakistan-Cina-Russia (per tacere dei paesi centroasiatici). Il Pakistan come al solito è il deus ex machina e ad una recente riunione dei Paesi limitrofi ha esortato a riconoscere i Talebani, cosa cui si oppone tutto l’Occidente. La Russia ha presenziato all’insediamento del nuovo Governo e nei 10 anni di occupazione ha mappato tutto il territorio, di cui conosce bene le risorse. A queste è interessata anche la Cina, che inoltre inquadra il geostrategico Afghanistan nel suo grande programma della via della Seta.
Non è da escludere un patto fra questi tre Paesi nei rispettivi ruoli: il Pakistan nella regia politica, la Russia colla sua conoscenza geologica dell’Afghanistan, la Cina colle sue grandi capacità materiali di investimento.
I Paesi del Golfo e Qatar. Il Qatar, ospite del tristemente famoso negoziato Usa-Talebani (ed ora anche delle ambasciate occidentali competenti per l’Afghanistan collocate a Doha in attesa di trasferirsi a Kabul quando vi fosse il riconoscimento del regime talebano), vuole continuare ad essere il grande mediatore, cosa che probabilmente suscita invidie negli EAU e in Arabia Saudita che vorrebbero anch’essi giocare un ruolo (specialmente quest’ultima date le sue dimensioni economiche cui non corrispondono successi politici nell’arena internazionale). Non escluderei pertanto una mossa di Riad, in grado di “comprarsi” la benedizione di Paesi “bisognosi” (tipo i centroasiatici, ma soprattutto il Pakistan e fors’anche la Russia) per una sua prestigiosa mediazione. Non dimentichiamo che Arabia Saudita e Afghanistan sono accomunati da una triste circostanza: la segregazione delle donne. Chi meglio dei sauditi può convincere i Talebani a qualche concessione, tipo il diritto di guidare? E soprattutto non dimentichiamo che, in caso di un felice esito della mediazione, alla Conferenza che seguirebbe per la ricostruzione dell’Afghanistan la Arabia Saudita sarebbe verosimilmente il primo poderoso Donatore.
Unione Europea (e Italia).
La Unione Europea non sembra molto coinvolta nel gioco diplomatico che dietro le quinte è già in atto per l’Afghanistan. Eppure gli ha dedicato nello scorso ventennio immense risorse. Basti ricordare che subito dopo la risolutiva Conferenza di Bonn si tenne quella di Tokyo dove i quattro Paesi che avevano giocato un ruolo importante si presero la responsabilità di quattro settori strategici; esercito (Usa), polizia (Germania), droga (UK), Giustizia (Italia). Ben tre dei quattro erano membri della Unione Europea; la quale è sempre presente quando si tratta di ricostruire… un po’ meno quando si adottano le grandi scelte politiche.
E l’Italia? Anche grazie alla presenza dell’ex re afgano in Italia dove era in esilio da molti anni, aveva giocato un ruolo importante nell’accordo di pace e nella scelta di Karzai come Presidente. E si potrebbe aggiungere, a proposito dei leads testè nominati, che a giudicare da quanto avvenuto nell’agosto 2021 (né esercito né polizia hanno fermato i Talebani; la droga è la unica fonte di reddito dell’attuale Governo), l’unico settore che ha parzialmente retto è quello affidato all’Italia, la Giustizia, anche se ovviamente le corti islamiche e la sharia assumono maggiore rilievo.
Conclusioni. La questione è estremamente complessa ma i suoi termini sono abbastanza semplici:
- I Talebani, forti del successo dei negoziati di Doha e della riconquista del Paese, presumono di restare al potere anche di fronte all’aggravarsi della crisi economica ed alla conseguente rivolta di tutto il popolo afgano ridotto alla fame. In tal caso l’Afghanistan rischia di inabissarsi di nuovo in una guerra civile dove capi tribali torneranno a combattersi per anni se non lustri.
- I Talebani capiscono che conviene loro fare qualche concessione sul versante dei diritti umani e delle donne per restare al potere. Allora si apre lo spazio per la diplomazia che, come si accennava sopra, sarà verosimilmente condotta dalle Potenze Regionali limitrofe. Agli Usa basterà essere tranquilli sul versante sicurezza; all’Europa toccherà ancora una volta mettere le mani al portafoglio (speriamo insieme ai Paesi del Golfo).
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