Può credere nel futuro dell’auto, fosse anche elettrica o Euro 7, solo chi crede a una potenziale crescita a infinito del pianeta. Invece, di pari passo, con il grado zero del cambiamento climatico, abbiamo compreso razionalmente che le risorse stanno finendo e dunque dobbiamo correre ai ripari.
Sembrano perciò trattative di piccolo spessore quelle che vogliano procrastinare la fine dell’auto tradizionale per il 2035. La presenza dell’Italia, accanto a Paesi non proprio all’avanguardia industriale (tipo la Bulgaria) è stata corroborata dal sostegno della Germania. Ma bisogna comprendere che si tratta di battaglie di piccolo cabotaggio. Viene in mente la metafora del malato di tumore a cui il medico ha vaticinato ancora tre anni di vita e che commenta: «Allora ho tempo per cominciare a curarmi!». In realtà nella discussione sul campo le contraddizioni si sprecano. Basta enumerare alcune constatazioni nel merito della questione per capire come ci si addentri in un labirinto quasi inestricabile. L’accusa punta il dito sul parco macchine nostrano. Sostiene l’Europa: «È vecchio, inquinante, va proposto un altro modello!». Già, ma andatelo a dire agli utenti della strada italiani che gestiscono vettura di venti e più anni perché nell’impossibilità materiale di approdare ai nuovi costosi modelli dell’elettrico, entrando nel campo minuto dell’obbligo dell’acquisto a rate, affrontando Taeg, benefici spesso equivoci di Stato, fine del budget statale a disposizione.
L’auto elettrica per questi soggetti è quasi un miraggio irraggiungibile economicamente. E provate a contrastare un lavoratore che vede sostanzialmente fermo il suo stipendio dal 1999! Inoltre l’industria automobilistica italiana (o quello che rimane, per chi ha trasferito la sede in altri paesi europei in modo da pagare meno tasse) è in palese ritardo rispetto al resto dell’Europa e ancora più del mondo. Basti dire che la Romania produce ora più vetture dell’Italia. Marchionne a suo tempo non ha colto il messaggio di rinnovamento. Se la mia vettura ha percorso 398.000 chilometri nel corso di 24 anni e un mese di vita è perché è un modello giapponese targato Toyota. Ha un futuro la Panda? Ad occhio e croce proprio no. E l’Italia si è dotata di un funzionale circuito di ricariche per l’auto elettriche? La risposta è ancora una volta negativa fornendo facile spunto a Crozza che descrive le vicissitudini di un automobilista che arrivato a casa deve cercare la ricarica e poi non trova parcheggio, in un tourbillon di scomodità assortite.
Rimanendo in Italia se siamo d’accordo nel decretare l’obsolescenza delle auto dovremo provvedere con un adeguato servizio pubblico. Roma è l’epitome in questo comparto di tutto quello che non funziona. Eterno cantiere, con strade piene di buche, un servizio autobus fatiscente, una metropolitana che non copre l’enorme territorio metropolitano e che funziona a balzelloni, ondivaga e instabile nel suo funzionamento, con taxisti inaffidabili. Così l’autovettura tradizionale più che una scelta è un inderogabile necessità, almeno finché non sarà messa al bando proprio da chi non ha creato condizioni alternative per spostamenti e comunicazioni. Ancora una volta si sente la mancanza di statisti che programmano il futuro invece di lanciarsi in miserabili difese dell’esistente.
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