«L’insuccesso gli ha dato alla testa» chiosava Flaiano. Citando l’eccezione e non la regola. Perché più spesso succede il contrario. Accomuniamo nell’apologo due campioni veri o presunti dello sport italiano: il velocista Marcell Jacobs e il tennista Matteo Berrettini.
Nel corso dell’ultimo biennio i titoli a nove colonne per questi due protagonisti si sono sprecati. Calate di testi digitali forse superiori ai loro meriti e soprattutto per quanto riguarda l’uomo con la racchetta. Ora i due sono in vistosa impasse. Ma scendiamo nel dettaglio. L’hanno definito un Carneade ma è bastato lo sconosciuto Ceccarelli per imporre al bicampione olimpico ventottenne due delle tre sconfitte della breve stagione indoor sui 60 metri. In un lampo lo scontro esemplare tra Davide e Golia. Dove Golia è Jacobs con il suo staff di otto personaggi lautamente ricompensati (dall’allenatore a tempo pieno Camossi, al fisioterapista, allo psicologo, all’addetto stampa, etc etc). Il simpatico “Davide” Ceccarelli ha invece solo un coach che lo ha fatto risorgere da due anni di infortuni rimpicciolendo il mito dell’altro. Anche i giornali sembrano prendere atto del momento e quindi scrivono tanto di Ceccarelli e un po’ meno di Jacobs che comunque in overdose di benessere e di ricchezza, dopo la sconfitta di Istanbul invece di reimmergersi in proficui allenamenti, ha pensato bene di dedicarsi una vacanza di sei giorni a Miami.
I comportamenti sono lo specchio di un divismo e di un consumismo mediatico. Indietro non si torna ma l’atletica è sport di sacrificio legato a un cronometro che non mente e dunque, per chi ha intuito la fine della storia, il meglio sembra già alle spalle per Jacobs che, fuori dall’Europa, troverà una feroce concorrenza d’oltreoceano. Forse in futuro parleremo più delle sue sconfitte che delle sue vittorie. Persino più svagato di lui sembra in questo momento Berrettini, distratto dalla vita mondana, da un’intensa storia sentimentale, passato dal costante inserimento nei primi dieci della classifica mondiale, con finali in tornei importanti a repentine eliminazioni al primo turno in tornei minori. Qui gli anni sono 27 e la freccia del sorpasso è già stata accesa da altri connazionali come Sinner e forse Sonego. Quello che più ci interessa è l’antropologia dello sportivo italiano di successo. Che non è un Duplantis (atletica) o un Djokovic o Nadal (tennis).
Si fa viziare, sedurre dal successo, non dice mai no per ricevere un premio, un gettone di presenza, un invito televisivo e alla fine non riesce a durare quanto vorrebbe. Naturalmente questo non è un accanimento terapeutico ma un allarme. Non c’è niente di personale in questa piccola denuncia che vorrebbe propiziare in realtà un’inversione di tendenza, un sereno esame della situazione per invertire un trend che potrebbe rivelarsi fatale per la parabola sportiva di questi due personaggi.
Foto di apertura libera da Pixabay