Natale Barca ha presentato al pubblico “Roman Aquileia” (“Aquileia Romana”), casa editrice Oxbow Books, il suo ultimo libro in inglese di storia romana. La conferenza di presentazione si é svolta il 16 marzo a Parigi, Hotel Gallifet, presso l’Istituto Italiano di Cultura. Qui di seguito pubblichiamo un articolo dell’autore del libro, già uscito su “Sfoglia Roma”, nel quale parla del suo volume.
È bella e ricca, è potentemente fortificata: si chiama Aquileia ed è soprannominata la “Fortezza Vergine” perché non è mai stata conquistata.
Ezio, il comandante supremo dell’esercito dell’Impero romano d’Occidente sotto il regno di Valentiniano III (425-455), ne ha fatto il principale caposaldo romano del Nord-Est d’Italia, per sbarrare il passo ad Attila. Il re degli Unni, infatti, è calato dalle Alpi Carniche e Giulie con 40.000 uomini armati, provenendo dai Carpazi. Quell’orda, spinta dalla sete di saccheggio, di sangue e di violenza, avanza in Friuli, preceduta da una fama di distruzione, di terrore, e di disperazione. All’avvicinarsi dei “diavoli della steppa”, Aquileia ha chiuso le porte, ha suonato l’allarme e si è preparata all’impatto, in posizione di difesa. Un’offerta di capitolazione viene respinta. Seguono i primi bombardamenti, poi i primi assalti, ciascuno dei quali è una bolgia infernale, fatta di urla, di polvere, di sudore, e di sangue. Ma dopo tre mesi d’assedio, davanti alla resistenza dei difensori e all’assenza del minimo risultato concreto, il malcontento comincia a serpeggiare tra un numero crescente di assedianti.
Dinanzi alle critiche, che circolano anche tra i suoi collaboratori più stretti, Attila vede la propria autorità indebolirsi, ma esita a togliere l’assedio. Teme di deludere l’aspettativa di preda dei suoi uomini; ma soprattutto vuole impadronirsi di quella città-simbolo, e vuole raderla al suolo, per creare un’ondata di panico, che, spandendosi tra le popolazioni della regione, faciliti la sua avanzata.
Inaspettatamente, una piccola cosa ordinaria acquista un’importanza straordinaria. Un mattino scuro e grigio, una colonia di cicogne, con i loro piccoli, prende il volo dai tetti di Aquileia e si dirige verso la campagna. Attila proclama che quegli uccelli hanno lasciato la città perché prevedevano la sua caduta imminente, e ravvisa in quell’episodio un segno divino che annuncia che la sorte funesta di Aquileia è segnata, e che la vittoria è prossima! I bombardamenti e gli assalti alle mura riprendono con rinnovato vigore. In breve un bastione crolla, trascinando con sè un tratto di muraglia. I “demoni” si precipitano nella breccia, travolgono i difensori e penetrano in città, come una furia incontenibile. I saccheggi e le devastazioni si accompagnano a orribili massacri. I superstiti sono ridotti in schiavitù.
Fortunatamente, non tutti. Molti altri, tra cui donne e bambini, hanno lasciato la città prima dell’attacco finale, sotto la guida del vescovo di Aquileia, e hanno raggiunto Grado, un luogo fortificato, dove hanno cominciato una nuova vita (da lì, in un momento indeterminato, comunque nel Tardo Antico, alcuni di loro, o dei loro discendenti, si trasferiranno nella vicina laguna veneta e contribuiranno al popolamento iniziale di Venezia). Aquileia, nel luglio 452, cade dunque nelle mani degli Unni. 42 anni prima, Roma è stata saccheggiata da Alarico, re dei Visigoti. Per la prima volta in 800 anni, il “centro del mondo”, la “patria comune a tutta la terra”, era stata sfregiata dal barbaro invasore. Questo ha suscitato un’enorme impressione, che si è diffusa in tutto l’Impero come una sensazione di fine del mondo.
Allo stesso modo, la caduta della Fortezza Vergine semina il panico tra i Romani. Lasciandosi alle spalle le rovine fumanti di Aquileia, Attila si addentra nella Pianura Padana, in direzione di Milano, appesantito da una quantità crescente di bottino.
Ma lungo la strada — e non per caso — egli incontra il papa!
Immaginate la scena: il papa e Attila faccia a faccia. Incredibile a dirsi, Leone I, il sommo pontefice, forse facendo leva sulla superstizione del re degli Unni, riesce a convincerlo a fare marcia indietro e a ritornare da dove è venuto.
Vade retro satanas…
Sono stati riferiti dei miracoli meno spettacolari. Attila, soprannominato “flagello di Dio”, accompagnato dalla sua orda invitta, riprende il suo cammino verso il Danubio. Ma l’ombra della vendetta di Aquileia — la vergine violata — si spande sul violentatore. Attila scomparirà un anno dopo, inghiottito dalle tenebre della sua storia sanguinaria. Muore durante la sua prima notte di nozze con la giovane Ildiko, asfissiato, annegato nel proprio sangue, a causa di un violento colpo di tosse emorragica, mentre giace nel suo letto in stato di semi-coscienza, dovuto all’ebbrezza. Ecco, dunque, il racconto della fine di Aquileia, che è stata seguita poco dopo da quella di Attila.
Ma oggi, per noi, che cosa resta dell’antica Aquileia?
La moderna Aquileia è una cittadina situata nell’estremo nord-est dell’Italia, a circa 10 km da una stazione balneare e termale di rinomanza internazionale, che si chiama Grado ed è propagandata come “l’Isola del Sole”. Vi vivono 3mila abitanti, che si basano principalmente sull’agricoltura e sul turismo. I fabbricati si addensano attorno a un’imponente basilica medievale, che racchiude una vasta cripta ed è affiancata da un battistero ottogonale. Questo complesso è l’ultima di cinque ricostruzioni di una delle chiese cattoliche più antiche del mondo, edificata subito dopo l’editto di Costantino il Grande, che aveva posto fine alle persecuzioni dei cristiani (313 a.C.). Si presenta, nel complesso, in forme romanico-gotiche. È stato eretto nell’XI secolo e rimaneggiato nel XIII.
Un antico portale immette in una sala maestosa e solenne, divisa da due file di colonne in tre navate dalle absidi affrescate. Il pavimento è costituito dal più grande mosaico paleocristiano del mondo occidentale (760 m²), risalente al IV secolo. L’elegante soffitto ligneo, carenato, risale al XV secolo. La cripta — una vera foresta di colonne — è decorata da affreschi. Il battistero, a sua volta, è decorato con mosaici del IV secolo. La grande basilica non è l’unica attrazione del luogo. Vi sono anche un museo archeologico, recentemente rinnovato, e un museo paleocristiano. Inoltre, l’area urbana copre un’area di interesse archeologico più ampia, che ha restituito un’abbondante quantità di resti antichi, e ne nasconde molti altri. Da numerose fonti archeologiche e scritte sappiamo che, prima di oggi, il sito di Aquileia è già occupato stabilmente, a più riprese: dapprima da insediamenti preistorici, poi da una città che si è evoluta in tre fasi: romana, medievale, patriarcale. La tappa più importante della storia locale è quella romana. La città medievale e quella patriarcale non sono mai riuscite a eguagliare la città romana, nè in termini di dimensioni, nè in termini di importanza politica, economica e strategica, tantomeno in magnificenza e prestigio. Il sito archeologico di Aquileia è stato riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio dell’Umanità.
Ma Aquileia non è solo un bene culturale di primordine, è anche un luogo dove la storia, l’archeologia, la fede, l’economia, e la cultura si mescolano. Ed è un valore che emerge dalle profondità del substrato latino della civiltà di più stati nazionali. Ciò emergerà con evidenza ove si consideri che Aquileia era un punto di riferimento importante per le popolazioni del Nord-Est d’Italia e per quelle dei Balcani Occidentali, fino al Danubio, quando queste erano riunite sotto l’impero di Roma.
Per molti secoli, Aquileia è stata un faro che irradiava la civiltà latina in quei territori, mentre la Chiesa di Aquileia è stata un importante organismo pastorale, che promuoveva, animava e coordinava l’evangelizzazione e la promozione umana tra quelle popolazioni, e attivava la cooperazione tra le Chiese.
Va messa in rilievo, oltre la rilevanza di Aquileia come centro missionario nei primi secoli del Cristianesimo, anche l’importanza politica e religiosa della fase patriarcale della storia di Aquileia, che iniziò nel 1027 e proseguì senza soluzione di continuità fino al 1751. In quei 674 anni, il Patriarcato di Aquileia — inteso come l’ambito spaziale di esercizio dell’autorità spirituale e del potere temporale del principe vescovo — fu la Patria del Friuli, e non solo. Si estendeva dal Friuli alla regione delle Dolomiti, all’Istria, e alle regioni meridionali dell’odierna Austria.
Se si considera che Aquileia è stata fondata nel 181 a.C., e che il Patriarcato di Aquileia è cessato nel 1751, risulterà che, per quasi duemila anni, Aquileia è stata vista come qualcosa di molto importante dalle popolazioni che vivevano di qua e di là del confine politico nord-orientale d’Italia. Alla luce della grande storia di Aquileia — romana, medievale e patriarcale —, non è forse ingiustificato riconoscere oggi a questo luogo il possesso di un formidabile potenziale di mediazione culturale per quanto riguarda i rapporti tra l’Europa Occidentale e i Balcani Occidentali. La moderna Aquileia sembra naturalmente predisposta — si direbbe, vocata — a diventare un luogo d’incontro, di riflessione, di studio, di dialogo tra portatori di idee ed esperienze diverse, dove ci si può confrontare nel rispetto delle diversità. È possibile che l’eredità più preziosa dell’antica Aquileia consista in questo.
Foto di apertura: Area del Foro romano di Aquileia – pubblico dominio