L’ultimo film dell’attivissimo Walter Veltroni è l’ennesimo nostalgico sguardo rivolto al passato. Non intendiamo addentrarci in una recensione cinematografica e tanto meno sul versante estetico per “Quando”. Togliamo qualche lettera e ci limitiamo all’aspetto etico, con l’unico rilievo sull’imitazione/plagio. “Goodbye Berlin” è l’originale: il protagonista si risveglia quando il muro non c’è più e per evitargli choc gli rappresentano un mondo ancora pieno di Trabant, Honecker, Vopos etc.
Veltroni quando non scrive gialli disimpegnati, disegna una sorta di epitaffio del proprio fallimento politico. Un autocompiacimento onanistico che non è masochistico perché sono prodotti che piacciono alla gente che piace. È il mondo auto-depressivo e autoreferenziale proprio a molti film delle Archibugi e delle Comencini. “Confesso che la mia generazione ha perso ma ci costruisco su un successo perché molti si riconosceranno in queste situazioni”. Potremo riassumere in questo riassuntino la filosofia di tendenza.
E’ sempre quel Veltroni che in passato dichiarò di non essere mai stato comunista e che, come del resto Berlinguer, disse di nutrire più fiducia nella Nato che nel Patto di Varsavia. E’ quello stesso Veltroni che in un recente dibattito televisivo, chiamato ad esprimere un parere sul futuro del Pd, stupì l’interlocutore, rispondendo così: “Perché lo chiede a me? Io non ho nessuna partecipazione diretta nel partito”. Lui che era stato uno dei fondatori e promotori del Pd. Il ritiro dalla politica attiva ora lo costringe a una sorta di autodafé militante che è un po’ la nostra condanna di utenti. Cui prodest questo indefesso sentimento fintamente auto-distruttivo?
Quanto ammiriamo quell’alto dirigente Rai (Filiberto Guala) che, schifato dalla vita pubblica, si ritirò in convento. O quell’alto dirigente sindacale chiamato Pierre Carniti che, a differenza di tanti suoi colleghi (Cofferati, Bertinotti, Del Turco, Camusso, si fa prima a dire quasi tutti) non si fece sedurre dalla facile prospettiva di una carriera politica. Veltroni ha fallito come politico e non smette di ricordarcelo ma in maniera subdola, velenosa, infliggente. E ha tali capacità di recupero che alla prima del suo ultimo film ha invitato persino il “nemico” D’Alema, un altro affossatore della pur minima idea di sinistra. Ma del resto il vecchio Partito comunista è pieno di eversori ideologici. Da Minniti, autore di uno dei più severi diktat sulla questione migranti, a Violante, mite revisionista sulla Repubblica di Salò, per non dire dei transfughi come Sansonetti e Adornato. E che dire di Bertinotti, puntualmente citato dalle cronache mondane per la costante partecipazione con consorte a tutte le celebrazioni della vita romana. Todo cambia con questa gauche caviar, sinistra al caviale. Del resto la stessa parabola del quotidiano “l’Unità”, definitivamente affossato dalla cura Renzi sta a testimoniare come “i tempi siano cambiati”. Purtroppo non nel senso agognato dalla celebre canzone di Bob Dylan.
Foto di apertura: Walter Veltroni. Foto di Franco Grillini., Attribution, via Wikimedia Commons