Durante la lunga permanenza nel carcere, due cose sono risultate difficilissime da mantenere ed entrambe fondamentali: mantenere una relazione positiva con la propria moglie e i propri figli, e mantenere la lucidità nei momenti più duri, come la morte di un genitore.
Io, come molti dei miei compagni di sventura, ho preferito raccontare all’inizio della carcerazione di fare un lavoro particolare, che non potevo tornare a casa perché era importante che rimanessi lì, altri raccontavano che erano partiti per lavorare all’estero, facendo in modo che neppure riuscivano a vederli, per mantenere il racconto fatto. Ora posso dirlo, questo mi faceva stare male, ogni volta che vedevo i miei figli piangere per il distacco era come se una parte di me stava morendo. Mi sono sempre domandato come vivevano questa condizione i miei figli, se le persone fuori che sapevano avevano dei pregiudizi nei loro confronti. Ci sono stati momenti difficili, e momenti dove il cuore era gonfio di gioia; certo la maggior parte dei colloqui viene fatta in ambienti inadeguati, e questo non aiuta. Racconterò alcuni episodi che ho vissuto con loro per cercare di farvi capire che difficoltà ci sono ad essere padre in carcere.
Erano passati pochi mesi dal mio arresto, e con la mia ex moglie avevamo deciso che fino a quando non era fissato il processo, loro non venivano a trovarmi in carcere, telefonavo una volta alla settimana per sentire la loro voce e rassicurarli che non li avevo abbandonati. Diciamo che erano ancora piccoli e non davano tanto peso a cosa stava succedendo, per mia fortuna i nonni sono stati sempre presenti. Una volta fatto il processo e visto che la condanna era molto lunga, abbiamo deciso di portarli a colloquio. Io immagino che non sia stato facile spiegare dove stavo andando, ma mi sono ricordato che quando la mia ex moglie era stata operata ed io ero solo con i bimbi, avevo fatto un gioco, li portavo sotto l’ospedale gli dicevo quale era la finestra e loro guardavano in su, una volta tranquillizzati andavamo a mangiare dal Mc.
Io non ho mai domandato come abbia fatto, so solo che un giorno si presentarono i miei figli, mio fratello e la mia ex, mi fecero mille domande, non finivo di rispondere al maschietto che incalzava la femmina. Dalle loro domande capivo che si sentivano abbandonati dal padre, che io non gli volevo più bene. Mi sono sentito una nullità: io amo profondamente i miei figli, non sono mai stato lontano da loro, ma ora cosa potevo rispondere. Così con dolcezza ho spiegato del lavoro importante che facevo in quel posto e che presto sarei tornato da loro, e che li avrei chiamati e gli promisi che ogni giorno avrei scritto una lettera per raccontargli la mia giornata, e facendo domande sulla loro.
Da quel giorno non ho mai smesso di scrivere una lettera al giorno a loro, mi dissero che quando arrivava la posta, il maschietto che era più grande e già leggeva, doveva leggerla almeno due volte alla femminuccia. In questo modo sono stato vicino a loro, certo non è stato molto, almeno non si sono sentiti abbandonati. Voglio fare una premessa, per far comprendere la crudeltà delle leggi, al momento del mio arresto in Italia la sala colloqui era divisa da un bancone, da una parte i detenuti e dall’altra i familiari, compresi i bambini, siamo stati tutti bambini, cosa pensate che fa un bambino quando lo metti sul bancone? Scavalca per andare da suo padre o sua madre, credo che sia un gesto naturale, ogni volta che questo accadeva, l’agente chiamava per farlo scendere (a volte non si riesce). Per fortuna questo è superato, ma quante volte ho dovuto discutere per far comprendere che un bambino non può entrare in un regime di restrizione, lui non deve pagare le colpe del padre.
Altro episodio: ad un colloquio mia figlia viene tutta arrabbiata ed io gli domando cosa è successo, lei mi risponde con un tono molto strano che la maestra gli ha detto che lei non ha un padre. Io le domando perché le ha detto questo, cosa era accaduto. Lei con il suo sguardo da impunita, mi risponde, perché tu non vieni mai a parlare con lei. Io mi informo tramite la mia ex moglie se la maestra fosse a conoscenza della mia situazione lei mi risponde di no, mi spiazza non so che dire. Certo uno non va normalmente in giro dicendo che il marito è in carcere, ma cavolo alla maestra forse sarebbe stato il caso. Comunque rassicuro la piccola dicendole che la mamma sarebbe andata a parlare con la maestra spiegando la situazione. Certo sarebbe stato più facile se lo Stato permettesse ai genitori che sono in carcere, che hanno bambini in età scolare, di fare delle videochiamate con le maestre per sapere come va il bambino, sarebbe un gesto bellissimo, questo permetterebbe anche al genitore impossibilitato di essere partecipe alla vita scolastica del figlio, ma stiamo parlando di un modello extraterrestre di carcere, forse pure più umano di quello esistente.
Ne avrei mille di episodi, mi fermo qui, sono stato un papà sospeso per molto tempo, per fortuna non ho mai perso l’amore dei miei figli che mi sono stati vicini tutto questo tempo, senza di loro ora non sarei qui, perché sono stati la mia ragione di vita, ed oggi il maschietto è diventato uno chef e lavora in Olanda, la mia bambina lavora in ospedale e sono un padre orgoglioso di come sono, e tra non molto un nonno felice.
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