Quando ebbi dieci anni tormentai per un’intera settimana i miei genitori perché desideravo assolutamente una cosa. Non ero solita richiedere attenzioni o regali particolari, perciò mi ascoltarono ben disposti, ma il mio desiderio era abbastanza irrealizzabile.
La mia richiesta era davvero particolare: volevo un gemello, non un fratellino qualsiasi da crescere da zero, ma proprio un gemello già della mia età con cui confrontarmi, giocare al mio livello, condividere giochi e studi in una costante correlazione alla pari. All’inizio i miei genitori presero la cosa come uno scherzo divertente, poi si preoccuparono della mia insistenza, e visto che non mi riportavano alla ragione nemmeno con approcci scientifici e con nozioni di biologia e fisiologia (sempre adeguate alla mia età) mio padre mi affrontò con decisione, mi fece salire in macchina e dopo un viaggio misterioso ma di pochi chilometri si fermò davanti ad una Chiesa con un campanile che allora mi sembrò gigantesco, a Costa Volpino (BG). Mio padre era un Architetto, e mi spiegò che gli Alpini, tornati dalla Seconda guerra mondiale e grati alla Madonna della Mercede per aver avuto salva la pelle gli avevano commissionato alcuni anni addietro il progetto e la costruzione della bella Chiesa in pietra che stavo osservando, ma non avendo abbastanza disponibilità al momento avevano procrastinato la commessa del campanile. Così successe che nella notte in cui stavo nascendo, anzi nello stesso momento in cui l’ostetrica era andata da lui a comunicargli la mia nascita (io sono nata in casa, come molti della mia generazione, e mio padre aveva lo studio in un’altra ala dell’abitazione) lui stava appunto “sgommando” cioè ripulendo dai tratti a matita il disegno su carta da lucido del progetto del Campanile appena ultimato. Quindi la costruzione era nata negli stessi minuti in cui ero nata io, era dunque il mio gemello, e sarei potuta andare a parlare con lui ogni volta ne avessi sentito la necessità. Seguirono alcuni minuti di silenzio, in cui studiai il campanile nei minimi dettagli (sotto gli occhi vigili di mio padre che studiava me), e imparai subito a conoscere il mio “gemello” instaurando con lui un rapporto “affettivo” che ha subito avuto un effetto rassicurante.
Per alcuni anni, quando ero assalita dai dubbi amletici degli adolescenti, salivo sulla bicicletta, andavo sotto il campanile e silenziosamente dialogavo con lui, e confortata dal fatto che non mi rispondeva, per la legge del “chi tace acconsente” ne deducevo che la ragione stava dalla mia parte. Persino mia madre, quando le dicevo dov’ero stata, annuiva comprensivamente compiaciuta. Da molto ormai non vado a parlarci, ma gli passo spesso vicino girando per lavoro e lo saluto sempre. E a distanza di tanti anni ho capito perché mio padre teneva la foto del campanile dietro la sua scrivania e ammiro ancora la sua intelligenza e la sua sensibilità e gli sono molto grata per la lezione di vita che mi ha dato e per il messaggio che mi ha trasferito. Ho imparato che per ognuno di noi esistono luoghi del cuore, luoghi di elezione, che portiamo con noi anche quando siamo lontani, e che fanno parte della nostra costruzione personale, luoghi in cui ci identifichiamo e con cui abbiamo esperienze intime e singolari.
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