Immaginiamo la “Festa della liberazione” con il solito ricettario di polemiche. Sulla presenza nei luoghi istituzionali dei rappresentanti del governo di destra; sulla contestazione alla brigata Ebraica; sulla semplicistica equivalenza tra il ruolo dei partigiani e quello degli interventisti militaristi nella vicina guerra in Ucraina.

Giorgia Meloni – Foto da wikipedia.org – CC BY 3.0 it

Un copione già visto e abbondantemente saccheggiato, ma pur sempre polemicamente valido. In mezzo la domanda più evidente. C’è traccia di fascismo nell’ideologia del governo Meloni? Di sicuro c’è il tentativo nei suoi rappresentanti di mettersi al riparo da nostalgie con una collocazione ibrida. Né fascisti né antifascisti. Diremo, con un neologismo che si affaccia sempre più spesso nel brain storming attuale, “afascisti”. La cultura di destra tenta di rimontare un cronico quanto giustificato complesso di inferiorità rispetto a quella di sinistra. A Canfora, Cacciari, Di Cesare, a una valanga di scrittori e intellettuali che pure non sono riusciti a cambiare il mondo, chi e cosa contrappone? Un piccolo contrappeso con Giordano Bruno Guerri, Marcello Veneziani, Pierangelo Buttafuoco, Alessandro Giuli, forse Luca Ricolfi con le sue eresie. Singoli che fanno poca squadra, individualità scomposte. Il gap è ancora più evidente nel campo specifico dello spettacolo dal vivo. Pino Insegno contro tutti? Ecco perciò il tentativo di rimonta con singoli mirati interventi per invertire i rapporti di forza, condizionando l’opinione pubblica. Componendo il puzzle delle dichiarazioni degli ultimi tre mesi il progetto appare evidente. Il ministro della Cultura Sangiuliano che recupera Dante come soggetto di destra. Il ministro dell’Istruzione Valditara che si diffonde sul concetto salvifico di umiliazione e poi il più estremo di tutti, La Russa, che si cimenta in una revisionistica rilettura dell’attentato di via Rasella.

«L’Italia Libera» del 28 aprile 1945.-Foto pubblico dominio da wikipedia.org

Nel tentativo di riscrivere le coordinate del linguaggio Fabio Rampelli propone maxi-multe per chi utilizza parole di derivazione anglosassone. Come si può intuire una maglia larga che cerca di comporre la ragnatela di una possibile inversione di tendenza. Un puzzle in cui ognuno cerca di fare la sua parte per il risultato finale.

Rileggere la “Liberazione” come una rivincita italiana in cui i colori rosso e nero si fanno indistinti. Non ci sono più i partigiani, i liberatori americani, gli aderenti alla repubblica di Salò, i fascisti in fuga. Ma solo gli italiani, sovranisti ante litteram, che improvvisamente si sono ribellati al nazismo e hanno liberato il Paese. Una rilettura primitiva e banale, persino grottesca, che però può far presa sui giovani e su anime candide. Il progetto revisionistico è smaccato e non passa più per dichiarazioni esplicite di consenso, tipo “Anche Mussolini ha fatto cose buone” ma per una trama più maliziosa e insinuante che va a toccare nel profondo perlomeno quel 30% di italiani che secondo votazioni e sondaggi si riconoscono nel partito di maggioranza relativa. Un virus? Più che altro un tentativo di manipolazione antropologica che si svilupperà nei probabilissimi cinque anni di governo.

Foto di apertura: Foto da commons.wikimedia.org – Quirinale.it