Da molti mesi l’Europa discute delle materie prime critiche, essenziali per la transizione energetica. Sono materie, commodities come vengono chiamate, presenti in maniera non uniforme sulla terra, ma fondamentali per le tecnologie a basse emissioni. Si tratta di risorse naturali non-fossili, terre rare, come litio, silicio, palladio, cobalto, nickel. Il loro utilizzo è in crescita e non c’è apparato tecnologico che non ne abbia bisogno. Dagli smartphone alle batterie elettriche, ai sistemi di accumulo per il fotovoltaico, ad una infinità di prodotti di cui facciamo uso. Ognuno contiene parti di queste sostanze. La transizione energetica è sicuramente in atto, nonostante molte volte segni il passo rispetto agli obiettivi cimatici generali. Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia nei prossimi anni la domanda di risorse naturali non-fossili su larga scala crescerà da 4 a 6 volte. In pratica non ci saranno limiti alla richiesta di componenti in ragione dello sviluppo tecnologico, della domanda di apparati e strumenti sempre più evoluti e performanti. D’altra parte abbiamo imparato che se vogliamo salvare il pianeta dobbiamo investire in tecnologie pulite.
Ma ciò che interessa maggiormente sono le strategie per assicurarsi le materie critiche. L’Unione europea ha pubblicato un documento Critical Raw Materials con la lista di quelle essenziali. Siamo davanti a politiche globali per sostenere il passaggio ad un’economia nuova, senza creare altri e devastanti squilibri. Nel recente studio dell’Enea “Il problema delle materie prime critiche per la transizione ecologica ” è scritto che la scommessa della fase storica attuale sta nel garantire un adeguato sistema di approvvigionamento di metalli e minerali che potrebbero rivelarsi disponibili in quantità minori rispetto alla potenziale domanda mondiale. Un ostacolo di cui tenere conto. La ricerca dei posti del mondo dove trovare litio, nichel, cobalto, ecc. è partita molto prima che l’Europa ne prendesse coscienza. Ancora una volta è stata la Cina ad inaugurare un nuovo ciclo di ricerche minerarie su scala mondiale. In molti Paesi dell’Africa le industrie cinesi estraggono materie vendute in tutto il mondo o usate per prodotti “Made in China”. Si prende il litio dalla Nigeria, dal Mali, dalla Namibia; il manganese dalla Costa d’Avorio; il cobalto da Zambia e Congo, l’uranio dal Niger. La manodopera è il costo più basso da sostenere, nonostante si riconosca che il possesso di queste risorse è un capitolo fondamentale della geopolitica in versione green. I Paesi detentori della ricchezza, alla fine, diventano vulnerabili e disponibili allo stesso tempo. Vulnerabili, perché non hanno la forza politica, economica per non consentire che altri Paesi sfruttino le loro risorse. Disponibili, poiché possono strappare accordi con i governi dei Paesi estrattori.
La storia che si ripete ? Un po’ sì, come è accaduto per le miniere di carbone o le riserve di petrolio. Anche la strada imboccata dall’Ue non si allontana molto da queste modalità. Spinge per accordi commerciali con Paesi che hanno (anche acquisito) le materie prime o per la ripresa di ricerche minerarie negli Stati membri. Ad inizio anno la Svezia ha annunciato la più grande scoperta di terre rare nella parte settentrionale del Paese. Un giacimento di oltre un milione di tonnellate di risorse che vedono ora il Paese tra i più dinamici nelle estrazioni. La Francia, che ha il protettorato sulla Nuova Caledonia, pensa di poter importare nichel dalla lontana isola del Pacifico. Entrambi questi esempi vanno incontro all’altra indicazione dell’Ue, di arrivare, cioè, nei prossimi decenni all’autosufficienza. Ma a questo punto credo che si pone il problema dell’esaurimento delle riserve. Diversamente dal gas naturale di cui sono state accertate riserve per circa 150 mila miliardi di metri cubi, delle terre rare si sa ancora poco. Se guardiamo al breve periodo “la disponibilità fisica e il prezzo delle materie prime dipendono da fattori di natura economica e geopolitica” spiega l’economista Marco Compagnoni in un articolo su lavoce.info.
Un dato, comunque, appare certo: le materie prime sono insostituibili per andare verso un nuovo ordine economico. Ma penso dovrebbe essere anche pacifico che l’accaparramento di risorse fuori dai confini nazionali, ovvero nei Paesi in via di sviluppo, per essere chiari, può essere l’occasione per riequilibrare Nord-Sud, Est-Ovest del mondo. Aggiungo. In molti casi le ricerche delle terre rare sono dannose per l’ambiente. Le estrazioni hanno lo svantaggio di peggiorare le condizioni naturali, l’ecosistema. Le proteste delle popolazioni indigene che difendono i territori e gli habitat sono oscurate dai grandi media, ma ci sono. Infine, i prodotti contenenti le materie preziose si possono recuperare ? È una domanda che gli scienziati si sono posti senza trovare una risposta coerente con l’avanzare delle tecnologie, con i costi per il recupero, con l’organizzazione industriale della rigenerazione. Il riciclo e il riuso, tuttavia, sono la speranza per sopravvivere alla transizione energetica ed ecologica, senza generare altre instabilità nel globo. Ma siamo ai primi passi e se qualche governo vuole eccellere ha davanti un futuro straordinario.