Ci sono luoghi e spazi di aggregazione: bar, palestre, negozi, supermarket, circoli culturali e/o ricreativi, cinema, discoteche, night club e, nei casi più problematici, situazioni di sballo da alcool o droghe, ecc. che, soprattutto dopo il ’68 e la Contestazione globale, sono divenuti simboli dei “falsi infiniti”, definibili nel complesso come contesti in cui si coltiva l’illusione di vivere soddisfazioni durature. Che, il più delle volte, durano lo spazio d’un mattino.
Recentemente, il Covid-19, l’aggressione selvaggia dell’Ucraina da parte della Russia, la guerra mondiale a pezzi, secondo l’espressione coniata da papa Francesco, la riflessione personale circa il destino dell’uomo, si sono incaricati di sbriciolare ogni sogno di soddisfazione piena e sconfinata, ingenuamente attribuita ai “falsi infiniti” o, se si vuole, ai “piccoli infiniti”. Gli uni e gli altri, per loro natura, sono perituri e fuggitivi; inoltre, distolgono dal “vero infinito” e lasciano l’amaro in bocca. Siamo entrati, per contrasto, in una nuova epoca, per certi versi inedita, che ha tutti gli elementi di un’occasione propizia per incitarci a levare finalmente gli occhi in direzione del “vero infinito” e di ridimensionare i piccoli piaceri quotidiani che, nella maggior parte, se bene intesi e mantenuti nell’ambito dell’etica umana, di esso sono soltanto segno favorevole. Ogni persona pensante, consapevole dei limiti inesorabili dei “falsi infiniti”, è naturalmente portata a rimandare o anche a rinunciare a piccole soddisfazioni momentanee, a ricompense parziali e poco durature, in vista, al di là degli orizzonti terreni, dell’unico infinito che ci può soddisfare in eterno. Sì, perché ciascun essere umano, quando attiva il proprio pensiero, non può che tendere al tutto, relativizzando i piccoli piaceri sfuggenti del quotidiano. È connaturato all’essenza umana il meraviglioso desiderio-traguardo della Bellezza, dell’Amore, del Bene, della Verità, della Conoscenza, dunque del “vero infinito”. Tutto ciò ha una spiegazione efficacemente descritta nella Parola di Dio: “Facciamo l’uomo secondo la nostra immagine, come nostra immagine […] Così Dio creò gli uomini secondo la sua immagine, a immagine di Dio li creò; maschio e femmina li creò” (Genesi, 1, 26-27). Che siamo fatti a immagine di Dio lo dimostra la realtà della nostra quotidiana tensione-ricerca dell’infinito, di cui ogni nostra cellula è impastata. Joseph Ratzinger, già subito dopo il Concilio Vaticano II, riflettendo sulla natura dei “falsi infiniti”, non ha cessato di evidenziare la loro effimera capacità di soddisfare le persone. L’insopprimibile desiderio di infinito, di eterno, di felicità illimitata, di abbraccio di Dio, ci consente di confinare nel relativo i “falsi infiniti”, che sempre ci deludono lasciandoci insoddisfatti e in debito di speranza.
Un antico adagio assicura che “chi si contenta gode”. Esso vale per le piccole cose a patto di considerarle per quello che sono, cioè precarie e caduche: un pranzetto con familiari e amici, una conversazione impegnata, una scampagnata, la scalata di un picco montano, una nuotata nel mare di smeraldo, la contemplazione del cielo, un bel tramonto di fuoco ecc. Trascorsa l’esperienza, ci si accorge subito che appartiene alle minute gratificazioni della vita, cioè ai fragili “piccoli infiniti”. Questi ultimi, se non assolutizzati, hanno però il potere di farci capire che “l’essere uomo” è strutturalmente vocato a non potersi mai accontentare di alcunché, appunto perché è stato creato a immagine dell’infinito, del “vero infinito” e ad esso tende con tutta la forza del pensiero e del cuore, il quale “ha le sue ragioni che la ragione non conosce” (B. Pascal).
Un messaggio pervenutomi via whatsapp e firmato S. La Rosa, così recita: “La vita spezza i legami e lo fa senza chiederti il permesso; un giorno decide che tuo padre o tua madre, o un’altra persona a te cara ha finito il suo tempo e tu sei lì a chiederti come farai a sopportare quel dolore. Impari a conviverci, ti rassegni, in qualche modo sai che devi andare avanti. Ed impari una grande cosa… La vita ti toglie la presenza, la voce, ma non i ricordi, tutto ciò che non potrai più toccare con mano lo porterai nel cuore, un posto troppo segreto per poter essere scoperto e derubato di ciò che sarà per sempre tuo”.
Nobile e commovente riflessione da parte di un’anima pura, bella e gentile, alla quale ci si inchina con rispetto e gratitudine, perché ha tanto da insegnare nel mantenere viva la memoria dei nostri cari, degli amici, delle persone amate scomparse! Sennonché, allorché l’autore del messaggio conclude affermando che il cuore è un posto troppo segreto per poter essere scoperto e derubato di ciò che sarà per sempre tuo, si auto-confina nel mare magnum dei “falsi infiniti”, che hanno breve vita e sono destinati a svanire inesorabilmente con la morte della persona che, con immenso amore, conserva in cuore il ricordo dei trapassati.
Urge chiarire, comunque, che di “piccoli infiniti” del genere descritto è giusto e umano impregnarsi ed impegnarsi per tenere aperto il campo sterminato che guida all’unico “vero infinito”. Il problema sorge quando, nella difficoltà di individuare e convergere verso quest’ultimo, in conseguenza della impossibilità di essere “per sempre” soddisfatti dai “falsi infiniti”, si cade nella trappola di perseguire freneticamente altri “piccoli infiniti” di natura distruttiva. Il caso di coloro che, arrendendosi dinanzi alla mancata perenne soddisfazione dei piccoli e meno piccoli piaceri della vita, precipitano nella prigione della tossicodipendenza, del potere inteso soltanto come strumento di sopraffazione e soddisfazione integrale, del denaro come panacea di tutti i mali, dello sballo per dimenticare i problemi della vita, dovrebbe indurci a una riflessione profonda. In tali casi, la via verso l’auto-distruzione e verso ogni forma di alienazione è spianata.
Ecco l’imperativo di impegnarsi con tenacia, come soggetti del genere umano, per trascendere i limiti dei “falsi infiniti”, coltivando l’insopprimibile desiderio di eterno e di abbraccio del Creatore che ci ha creati. Se l’uomo si auto-esclude dall’orizzonte ultimo, diviene scettico e affaticato dal nonsense e finisce per crogiolarsi nel materialismo, nel perituro, nel fugace, nell’indifferenza, nel temporaneo. La scoperta o riscoperta dell’illusorietà dei “falsi infiniti” è allora provvidenziale per riaprire gli scenari del “vero infinito”. Al riguardo papa Benedetto, nella sua enciclica “Spe salvi” (30/11/2007), ci viene incontro sintetizzando da par suo tutto il processo: “L’uomo ha, nel succedersi dei giorni, molte speranze – più piccole o più grandi – diverse nei diversi periodi della sua vita. A volte può sembrare che una di queste speranze lo soddisfi totalmente e che non abbia bisogno di altre speranze. Nella gioventù può essere la speranza del grande e appagante amore; la speranza di una certa posizione nella professione, dell’uno o dell’altro successo determinante per il resto della vita. Quando, però, queste speranze si realizzano, appare con chiarezza che ciò non era, in realtà, il tutto. Si rende evidente che l’uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre. Si rende evidente che può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere. In questo senso, il tempo moderno ha sviluppato la speranza dell’instaurazione di un mondo perfetto che, grazie alle conoscenze della scienza e ad una politica scientificamente fondata, sembrava esser diventata realizzabile. Così la speranza biblica del regno di Dio è stata rimpiazzata dalla speranza del regno dell’uomo, dalla speranza di un mondo migliore che sarebbe il vero «regno di Dio». Questa sembrava finalmente la speranza grande e realistica, di cui l’uomo ha bisogno. Essa era in grado di mobilitare – per un certo tempo – tutte le energie dell’uomo; il grande obiettivo sembrava meritevole di ogni impegno. Ma nel corso del tempo apparve chiaro che questa speranza fugge sempre più lontano”.
Negli anni della Contestazione globale, dal 1968 in poi, la cultura occidentale ha ridefinito, facendo propria la formula del “tutto e subito”, il senso della libertà, che ha assunto l’aspetto di un irresistibile impulso a incassare hic et nunc ogni opportunità di piacere, soddisfazione, guadagno e ricompensa. Per contro, ha guardato il mondo ultraterreno con sempre crescente scetticismo. Il risultato è dinanzi ai nostri occhi: l’insoddisfazione personale e collettiva si è trasformata in alienazione globale, generando disperazione, moltiplicando i casi di suicidio, mentre le tossicodipendenze sono divenute una calamità, che è sempre più difficile controllare e sconfiggere. La formula “Dio è morto” ha moltiplicato la necessità dei “piccoli infiniti” che, a lungo andare, fanno perdere ogni significato alla vita, a meno che non si riesca a trasformarli in piccoli doni, in segni di qualcosa che va oltre, molto oltre. I credenti, tutti coloro che sono impegnati in un percorso di fede e di verità, interiorizzano i piccoli infiniti come piccole promesse che rinviano ad una promessa infinitamente più grande: l’aldilà, la felicità, l’infinito, l’assoluto, Dio Padre. Per l’eternità.
Il greve crollo delle ideologie, i piccoli paradisi formato Amazon, Hot Sale, YouTube, Brand, Grandi Firme ecc. ingannano solo i ciechi volontari, mentre riattualizzano il “vero infinito”, che attende paziente la nostra conversione alla Verità e alla indispensabilità di Dio, nostro Creatore. Dopo avere attraversato tutti i sentieri delle gioie transitorie, è forse arrivato il tempo del recupero della grande promessa di Cristo e della Gioia eterna nel Regno di Dio.
N.B. – Nell’elaborazione del presente saggio dichiaro il mio debito nei confronti di John Waters, pensatore irlandese.
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