Giorgio Armani ha speso 25 milioni di euro per la squadra di basket di Milano che porta il suo nome. Soldi privati che non devono essere rendicontati al pubblico. Ma la resa? Milano finora ha perso tutto quello che c’era da perdere: Coppa, Supercoppa, Eurolega, con vistosi passi indietro nel ranking europeo, nonostante la messa al bando delle squadre russe. Ha sfrecciato al primo posto nella regular season ma questo traguardo relativo non è certo garanzia per poter mettere le mani sullo scudetto, il traguardo salva-stagione. Cui prodest? C’è da chiederselo nel generale arretramento del basket italiano nelle graduatoria di gradimento italiana e internazionale. Appare evidente che sul piano mediatico questo sport segni dei salti del gambero venendo superato dalla pallavolo in termini di spazio, interesse e personaggi. E a nulla vale il richiamo all’appeal della maglia azzurra, spesso rilanciato demagogicamente dal presidente Petrucci che, nonostante ripetuti propositi di abbandono, cova il progetto di ricandidarsi alla presidenza della Federbasket allungando un curriculum pressoché infinito. Si è rivelato un miraggio di aumentare la cilindrata azzurra con l’innesto di Banchero, giovane fenomeno che sceglierà definitivamente l’America e ben più luminose prospettive. Al generale arretramento della disciplina hanno contribuito nel vecchio continente le meste esibizioni di Trento, Venezia, Brescia e Brindisi oltre che di Bologna, spazzate via da una concorrenza non irresistibile, e quasi mai protagoniste. Milano è l’epitome di questo fallimento pur avendo in panchina il coach più celebrato, Messina che, per uno strano gioco di cariche, è anche presidente di se stesso (quindi mai si auto-licenzierà).
Questa squadra ha una rara particolarità. Deprime la componente italiana (quest’anno è toccato a Datome, Baldasso, Biligha, Tonut, in passato sono quasi diventati ex giocatori Moraschini, Della Valle, Pascolo e persino Fontecchio, oggi saldamente in NBA) ma anche quella straniera. Tutti i giocatori scelti da Milano messi sotto contratto in Lombardia imbroccano la loro peggiore stagione. Al contrario quando emigrano ritrovano umore e rendimento. Non è un caso che con gli scarti di Milano, tipo Nunnally e Punter, il Partizan si sia proiettato tra le migliori otto squadre di Eurolega. Armani si farà una domanda su questo andamento e proverà a darsi delle risposte o il basket è un tenero orticello in cui, a differenza del calcio, all’investimento non deve rispondere un risultato? Per il momento la traballante navicella milanese continua, forte di un budget che non ha pari in Italia e che le ha permesso di mettere sotto contratto 18 giocatori, ovviando quindi con facilità a infortuni e forfeit, a differenza delle altre squadre. Fa persino tenerezza per il movimento cestistico nazionale che si celebri il titolo europeo del 1983 con un festoso ritrovo dei reduci. Visto negativamente sta a significare che in trent’anni il basket italiano non ha più vinto niente.