La concezione della politica estera di Berlusconi prescindeva dai canoni tradizionali, dalle analisi degli addetti ai lavori, dai riti felpati della diplomazia. La sua azione in campo internazionale si ispirava quasi esclusivamente alle sue convinzioni personali maturate soprattutto nel suo percorso imprenditoriale e nelle sue esperienze giovanili.
Per Berlusconi erano chiari alcuni parametri fondamentali. Bisognava andare d’accordo con gli americani, che avevano liberato l’Europa dal nazifascismo e dal comunismo, e con la NATO senza se e senza ma.
Con la Russia c’erano in palio grandi interessi economici soprattutto in campo energetico e si doveva quindi avere un atteggiamento amichevole e cercare di coinvolgerla in un processo di partenariato con l’Occidente. Molto diverso il rapporto con l’Europa. Berlusconi mal sopportava le regole dettate dall’eurocrazia guidata per altro per un quinquennio dal suo tradizionale avversario Romano Prodi che lo aveva battuto nel 1996 e lo avrebbe battuto ancora nel 2006 nel confronto elettorale. Non credeva alle reali possibilità dell’Unità europea né tollerava l’egemonia franco tedesca e preferiva coltivare rapporti più stretti con le nuove democrazie e il gruppo di Visegrad.
Ma la sua concezione delle relazioni internazionali si basava quasi esclusivamente sui rapporti personali. Ricercava strette amicizie e rapporti esclusivi con i principali leader.
Riuscì a stabilire un canale privilegiato con George W. Bush, al quale, nonostante una opinione pubblica italiana contraria, non negò uomini e mezzi per la sciagurata impresa irachena. Meno empatici i rapporti con Obama ma sempre ispirati al rispetto del Grande fratello americano. Leggendaria la sua amicizia con Putin con il quale condivideva il piacere del lusso e della bella vita, ma soprattutto interessi economici di cui beneficiavano numerose imprese italiane del nord. Di qui il suo sforzo di conciliare i rapporti Usa e Russia che culminò con l’accordo di Pratica di Mare che avviò il partenariato Russia-Nato. Anche la sua politica mediterranea si ispirava ai rapporti personali. Era un grande amico di Erdogan che difendeva di fronte ai colleghi europei sostenendo il processo di adesione della Turchia alla UE. Era un grande sostenitore di Israele e delle sue politiche mediorientali. Riuscì a creare solide relazioni con Gheddafi e subì di mala voglia la decisione di seguire l’intervento militare contro la Libia provocato dalla Francia di Sarkozy.
Molto difficili i rapporti con Angela Merkel nei confronti della quale avrebbe pronunciato anche apprezzamenti pesanti. Amava il pragmatismo di Tony Blair e aveva un solido rapporto con il presidente spagnolo Aznar. Non credette al progetto del Trattato Costituzionale e lasciò fare alla diplomazia senza impegnarsi personalmente nel negoziato con i colleghi del Consiglio europeo.
La presidenza di turno dell’UE che spettava all’Italia a partire dal 1 luglio 2003 poteva essere una grande occasione per il nostro Paese e per l’Europa se fosse stata condotta con il massimo impegno anche da Palazzo Chigi. Ma Berlusconi aveva un approccio molto disincantato sulle possibilità di riuscita del Trattato Costituzionale e non padroneggiando il dossier evitava di parlarne a fondo con i suoi colleghi del Consiglio europeo.
All’inizio della Presidenza italiana di fronte a un Parlamento ben disposto a sostenere il programma delle riforme costituzionali preferì privilegiare la polemica politica rispondendo provocatoriamente alle critiche del social-democratico Martin Schulz, definito Kapò, che lo aveva attaccato sul conflitto di interessi.
Non perdonò a Verhofstadt di aver guidato la fronda nel Consiglio europeo di dicembre 2003 contro le proposte di mediazione messe sul tavolo dalla delegazione italiana e fece fallire la sua candidatura, appoggiata da Francia e Germania, alla Presidenza della Commissione UE nel 2004, favorendo una coalizione di popolari e conservatori che portò all’affermazione di Manuel Barroso.
Questa operazione gli valse l’apprezzamento nel PPE dove continuò a svolgere un ruolo importante nonostante le vicende giudiziarie che avevano appannato la sua immagine. In effetti la falsariga lungo la quale Berlusconi si è mosso in Europa è stata l’adesione di Forza Italia al Partito Popolare Europeo. Ciò gli ha consentito di metabolizzare le conflittualità e le turbolenze dei suoi rapporti con i vertici delle Istituzioni europee.
Negli anni a seguire la politica europea di Berlusconi fu essenzialmente tesa a difendersi dalle procedure di infrazione che Commissione e Consiglio minacciavano di aprire nei confronti dell’Italia per deficit e debito eccessivi e per lo spread che stava raggiungendo livelli insostenibili. Aveva lanciato il rifiuto dell’austerità come linea guida dell’agenda economica europea e nel 2003 volle dare, durante la presidenza di turno del Consiglio Europeo, da parte dell’Italia un messaggio distensivo contro l’applicazione rigida delle regole di bilancio graziando la Germania, che sforava eccessivamente il rapporto debito/Pil rispetto ai target della sua manovra, dalla promozione di una procedura d’infrazione. Cortesia non ricambiata otto anni dopo durante la tempesta dello spread, quando il lancio della linea dura da parte della Germania di Angela Merkel e della Banca centrale europea targata Jean-Claude Trichet, che aumentò i tassi, colpì ai fianchi l’ultimo esecutivo del Cavaliere, provocandone la caduta.
Nel 2011 dovette subire l’umiliazione della lettera della BCE che impose all’Italia drastiche riforme e fu costretto a cedere il passo a Monti. Risultò decisiva per le sorti dell’ultimo Governo a guida Berlusconi la lettera strettamente confidenziale dall’allora presidente della Bce Jean-Claude Trichet e dal governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, che nemmeno tre mesi dopo sarebbe succeduto allo stesso Trichet. In sostanza si richiedeva al Governo italiano di effettuare” le riforme necessarie “perché il Paese riacquistasse “credibilità sui mercati” ed evitasse di destabilizzare l’intera area Euro”. Il board della BCE chiedeva interventi urgenti, alcuni da assumere “per decreto”: anticipare il pareggio del bilancio, ridurre deficit e spread, riformare il diritto del lavoro, riformare la contrattazione collettiva, innalzare l’età pensionabile, introdurre l’obbligo in Costituzione della sostenibilità di bilancio, liberalizzare mercati e professioni, riformare l’assetto istituzionale della Repubblica.
Berlusconi e il suo ministro delle Finanze dovettero dichiarare la resa e impegnarsi a riscrivere la legge di bilancio. Ma tutto questo non bastò a tranquillizzare i mercati e l’otto novembre mentre lo spread toccava i 552 punti base, Berlusconi fu costretto a dare le sue dimissioni. Si concludeva così il ciclo della politica berlusconiana in Europa e si apriva un periodo di lacrime e sangue per riparare, sotto la guida di Mario Monti, i gravi danni provocati da una politica disinvolta incurante delle regole comunitarie e degli ammonimenti provenienti dai mercati. Si può dire che da quel momento l’influenza di Berlusconi in Europa, vuoi per il drastico ridimensionamento elettorale, sia per la perdita di fiducia nei confronti del suo leader, andò gradualmente riducendosi fino a divenire del tutto marginale nel contesto generale della politica europea, salvo per alcune operazioni elettorali all’interno del PPE che gli valsero nel 2017 la nomina di Antonio Tajani alla Presidenza dell’Europarlamento.
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