L’Occidente ha svolto un ruolo significativo nella promozione e nello sviluppo della globalizzazione durante gli ultimi decenni. I Paesi occidentali, in particolare gli Stati Uniti e quelli dell’Unione Europea, hanno messo a profitto le opportunità offerte dalla globalizzazione per espandere i propri mercati, promuovere gli scambi commerciali e sfruttare le risorse a livello internazionale.
Liberalizzazione commerciale, innovazione tecnologica, investimenti esteri, promozione di un complesso sistema di valori che ha preteso di affermare un modello più avanzato di democrazia, la globalizzazione è un processo che ha coinvolto ad un tempo l’integrazione economica, politica e culturale tra Nazioni e regioni in tutto il mondo, con il supporto non soltanto di organismi internazionali come G7 e G20 ma della stessa Organizzazione delle Nazioni Unite (Agenda 2030).
Eppure nel corso degli ultimi anni, sempre più spesso, alcuni sviluppi hanno portato a una percezione di crisi o rallentamento della globalizzazione. Ecco alcune delle ragioni principali:
– crisi finanziarie: la maggiore interconnessione tra i mercati finanziari di tutto il mondo ha reso i Paesi più vulnerabili alle crisi, a cominciare da quella del 2008, che ha evidenziato i rischi sistemici che ne possono derivare e ha minato la fiducia nel pensiero economico neoliberista;
– ritorno del protezionismo: l’accentuarsi degli elementi di crisi ha conosciuto un progressivo irrigidimento dell’Occidente con il moltiplicarsi della conflittualità commerciale e la messa in discussione dell’apertura economica precedente;
– tensioni geopolitiche: la contrapposizione crescente tra le principali potenze come Stati Uniti, Unione Europea e Cina, dapprima utilizzata per la capacità produttiva a basso prezzo, di fatto ostacolata nel momento di massima ascesa come potenza economica mondiale in grado di contrastare l’ordine occidentale;
– insoddisfazione sociale e politica: la sfiducia nelle istituzioni e nelle élites politiche ed economiche riguardo ai costi della globalizzazione (perdita di posti di lavoro, riduzione dei salari e precarizzazione), percepiti come maggiori dei benefici derivanti dalla partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione;
– ambiente e sanità: l’aumento della produzione e del consumo su vasta scala ha avuto impatti significativi sull’ambiente, mentre la rapidità delle comunicazioni ha messo in luce la vulnerabilità di una rete globale complessa nei confronti della recente epidemia di Covid-19.
Tutto quanto precede ha sollevato dubbi sulla sostenibilità del modello di globalizzazione attuale, anche se tale processo continua ad essere un elemento significativo nel contesto economico e sociale mondiale.
È importante sottolineare che la revisione della globalizzazione è stata avviata da quello stesso Occidente che aveva dato inizio alla sua affermazione.
Iniziata con Obama («Riportare il lavoro in America»), proseguita con Trump e la politica dei dazi sulle importazioni dalla Cina, ha segnato con Biden un vero e proprio attacco alla cooperazione tecnologica con l’approvazione, nel luglio 2022, del Chips and Science Act, grazie al quale lo Stato fornisce un sostegno di oltre 50 miliardi di dollari alle imprese americane produttrici di semiconduttori.
Una serie di sconvolgimenti – shock economico-finanziari, emergenza climatica, guerre commerciali e valutarie, pandemia, terrorismo e conflitto russo-ucraino – hanno quindi segnato, con la crisi del processo di globalizzazione, la difficoltà di risposte coerenti a livello internazionale.
L’assetto del secondo dopoguerra si fondava sul multilateralismo a guida essenzialmente americana. Con l’indebolimento del ruolo globale degli Stati Uniti e l’affermazione di nuovi attori continentali – alcuni con regimi autocratici – si è innescata una contrapposizione tra Occidente e nuove potenze, che costituiscono di fatto l’immagine di un mondo multipolare.
La cooperazione si è trasformata in conflitto, le tensioni politiche ed economiche tra i Paesi riguardo al commercio internazionale si sono approfondite, l’affermazione di nuove potenti economie proprio nei Paesi scelti come «fabbriche del mondo» dall’Occidente e di nuove organizzazioni di cooperazione tra Stati non occidentali (BRICS, SCO, OPEC+) hanno disegnato una sorta di contro-globalizzazione.
Uno scenario che non fa dormire sonni tranquilli a chi ancora crede in un mondo basato sulle regole uscite dalla seconda guerra mondiale ma ancor più dalla crisi del comunismo sovietico.
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