La Francia ha vissuto più di una settimana di violenze in tutto il paese. Macchine bruciate, distruzioni, saccheggi, assalti a sedi istituzionali, violenze nei confronti delle forze dell’ordine. La risposta scontata e più banale è la condanna delle violenze e il ripristino della legalità. Tutti siamo d’accordo con questa affermazione ma purtroppo qualsiasi affermazione non risolve il problema. Non si può pensare che migliaia di persone si ribellino senza un motivo profondo, un sentimento vasto e consolidato.
Gli organi di informazione e la politica non mi sembra si dedichino a una qualche analisi più o meno approfondita, si limitano alla cronaca giornaliera.
Credo invece che dopo avere fermato le violenze è necessario andare al di là della cronaca e rimuovere gli ostacoli che non permettono una civile convivenza.
Anche qui è corretta la distinzione tra uomini di Stato e politicanti; i primi cercheranno le ragioni di tanto malcontento, i secondi tenteranno di trasformare le proteste della società in consenso e voti.
La Francia è stata un grande impero coloniale ma anche dopo le dichiarazioni di indipendenza non ha cessato di esercitare la sua influenza su molti Stati africani e imposto la moneta che si stampa in Francia per i paesi africani, ha regolato l’economia e sfruttato le grandi miniere e le ricchezze dei paesi africani.
Da quei paesi si fugge per povertà e fame e molti tentano di emigrare in Europa e in Francia. Sono popolazioni che non amano l’Europa, non sono amate dagli europei e sono costrette a vivere in ghetti suburbani e ai margini della collettività europea. Questo è un primo problema la cui soluzione non è certo semplice ma rappresenta una ferita non rimarginata.
Il caso di Nahel è emblematico di questa situazione. Poi ci sono le condizioni di vita di queste collettività fatte di emarginazione, di pregiudizi e razzismo da parte di coloro che credono che alzando muri si risolvano i problemi.
Ecco, questo è uno dei punti fondamentali che caratterizzano il presente. Da un lato, dietro casa abbiamo intere popolazioni vittime di povertà, di fame, di guerre, di violenze e a casa nostra lo sfavillio della ricchezza e dell’agiatezza. È ovvio che fino a quando questa sarà la situazione i fenomeni migratori non cesseranno.
E la nostra politica ha smesso di fare il suo mestiere, quello di affrontare i problemi e dare soluzioni, e preferisce vivere di proclami spiattellati giornalmente sui social o sbandierati sulla stampa anche lei incapace di esercitare il suo mestiere.
Le nostre città sono costruite a misura del pensiero dominante e i migranti tenuti ai bordi delle città in periferie degradate. Anche le politiche urbanistiche potrebbero e dovrebbero sviluppare una idea della città priva di ghetti per poveri e immigrati e ricca di multiculturalità che favorirebbe l’integrazione a vantaggio di tutta la società.
Sicuramente ci sono altre ragioni alla base di un così grande disagio che sfocia nella rabbia e nella violenza ma quello che mi colpisce è la quasi totale assenza di analisi ristretta a una sterile condanna. È in gioco la democrazia, l’uso delle forze di polizia, la sfiducia di una parte della società, un crescente autoritarismo; quanto basta per farci delle domande e cercare di dare risposte.
Foto di apertura di Florian Olivo su Unsplash