In precedenti articoli avevamo delineato il posizionamento di popolari, socialisti, liberali e verdi in vista delle elezioni europee del giugno 2024. Vi era però sempre un “convitato di pietra”, più o meno da tutti considerato la probabile novità delle prossime consultazioni, ovvero le destre. Dobbiamo usare il plurale, perché questo sembra essere il punto cruciale: “C’è destra e destra …”.
Non è solo una questione di schieramento ideologico ma anche di posizionamento geo-strategico e di identità socio-culturale: finchè si sta all’opposizione, è relativamente facile criticare tutto e tutti e confederarsi in un fronte del rifiuto. Facile e vantaggioso raccogliere scontento, paure, pessimismo, facile e vantaggioso trovare la scusa dell’omologazione globalista che tritura tradizioni e distinzioni, facile e vantaggioso appellarsi al sovranismo ed al populismo. Facile e vantaggioso sinchè qualcuno non reclama: “Avete voluto la bicicletta? E ora pedalate!”.
E’ già stata menzionata la metafora di Monnet su Europa e bicicletta: o si va avanti o si casca. In realtà, come ci ricordano i ciclisti su pista, è possibile il “surplace”, mantenere ferma in equilibrio la bici, con un grande dispendio di energie fisiche e nervose e senza alcun progresso, logorandosi nella difesa di una posizione di attesa.
Peggio ancora, secondo alcuni bizzarri personaggi, sarebbe pure possibile … pedalare all’indietro! Riportare a livello nazionale competenze passate all’Europa, riprendere il controllo del proprio destino, perché ”è finita la pacchia !”.
Lo aveva già detto qualche decennio fa Margareth Thatcher a Bruges e sappiamo com’è andata a finire con la Brexit. Ben al di là dei reali obiettivi dell’euroscetticismo conservatore britannico, che erano quelli di separarsi dal destino di “una sempre più stretta Unione” ma senza perdere i vantaggi del “mercato unico”.
C’è destra e destra … C’erano conservatori britannici (il padre di Boris Johnson) tra gli europarlamentari che si incontrarono nel 1980 con Altiero Spinelli al ristorante “Le Crocodile” di Strasburgo per gettare le basi di un ambizioso e realistico progetto di trattato costituzionale europeo. Non così oggi, purtroppo. Difficile pensare che le destre europee possano fare la campagna elettorale promettendo di far rivivere nella prossima legislatura la speranza di una funzione costituente del Parlamento Europeo. Basta leggere quanto proclama, nel suo sito, il gruppo parlamentare dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR): “Vogliamo proporre l’audace visione alternativa di un’Unione Europea riformata come una comunità di nazioni che cooperano in istituzioni confederali condivise e in aree dove abbiamo alcuni interessi comuni che possano essere meglio perseguiti lavorando insieme. Bisogna quindi puntare ad un nuovo assetto istituzionale che riconosca che la legittimità democratica dell’Unione deriva principalmente dai soli Stati membri e che i concetti di sussidiarietà, proporzionalità e conferimento siano pienamente rispettati”.
Pur con un rimando finale alla sussidiarietà, che offre spazio per accomodamenti all’interno dell’attuale architettura costituzionale dell’Unione (ma ci torneremo più in là), siamo evidentemente ben distanti dal “salto in avanti” generalmente auspicato con la riforma dei Trattati. Invece, il futuro dell’Europa viene concepito fondamentalmente come un … “pedalare all’indietro”!
Ne avevamo già scritto: difficile far coabitare “il diavolo e l’acqua santa”. Ma ci sono i “pontieri” come Manfred Weber o Antonio Tajani che ci stanno provando. Puntando proprio su quelle che potremmo definire le “cinquanta sfumature di destra in Europa”. Alcune ricercate, altre tollerate, alcune escluse.
Scrematura molto complicata, perché se è facile dire un no unanime a Alternativa per la Germania (AfD), non è stato possibile per i popolari spagnoli farsi accettare come alleati di Vox e rimangono nel limbo tanto la Lega quanto la destra polacca, per non parlare di Orban o di Marine Le Pen. Una serie di incompatibilità e veti incrociati che, in luogo dell’attesa spinta propulsiva, potrebbero rivelarsi piombo nelle ali del centro destra europeo.
E’ probabile peraltro che la partita non si giochi tanto sul versante ideologico-istituzionale quanto su quello programmatico. Non per parlare più o meno astrattamente di “Stati Uniti d’Europa” contrapposti al “riprendere controllo del proprio destino” ma per decidere concretamente il prezzo da pagare per dare sostanza ad una visione del futuro “verde, solidale e strategicamente autonoma”.
Sono al riguardo tre le grandi aree del confronto: clima, migrazioni, sicurezza.
Vedremo innanzitutto come evolverà il dossier del “Green Deal”. La manovra di Weber per affossare la legislazione in materia di protezione della natura è per ora fallita ma resta ancora aperta la definitiva approvazione di un programma all’altezza delle aspettative “verdi”. Sapranno le destre approfittare di questo dibattito per accantonare i loro distinguo interni ed infliggere insieme un colpo mortale alle prospettive di conferma della “maggioranza Ursula”? O sarà invece l’ennesimo patteggiare agevolazioni straordinarie o attenuazioni di norme ambientali troppo severe in cambio di un profilo basso e di sostanziale acquiescenza con il “main stream” continuista europeo? Una precaria via d’uscita potrebbe offrirla una qualche rilettura dei già menzionati principi di “sussidiarietà, proporzionalità e conferimento”, presenti nei Trattati in vigore, per giustificare frastagliati e sofferti compromessi sulla gestione delle responsabilità ambientali intergenerazionali.
Egualmente, sulle migrazioni e sull’accoglienza, nonostante il recente attivismo di Giorgia Meloni e la sua stretta collaborazione con la Presidente della Commissione Europea, siamo di fronte ad un cambio di passo nelle politiche comunitarie o si riaprirà il “vaso di Pandora” di egoismi e fobie per le presunte “invasioni barbariche”?
Ci sono, infine, l’aggressione russa dell’Ucraina e le prospettive inquietanti che si aprono per la sicurezza internazionale e per lo stesso motivo ispiratore dell’Unione: “Mai più guerra in Europa”. In teoria, la convergenza è qui molto ampia, ma ci sono, tanto a destra quanto a sinistra, sponde “filo-putiniane” che possono intorpidire le acque e bloccare il consenso europeo. Sapranno i “sovranisti” rivedere le proprie posizioni ed adoperarsi per il voto a maggioranza qualificata per le decisioni di politica estera europea?
Tre temi da seguire, perché tante saranno le sfumature che emergeranno ed i distinguo che si imporranno anche tra partiti aderenti a famiglie politiche europee alleate o convergenti. Sarà, per esempio, interessante vedere come andranno in ottobre le elezioni in Polonia, se la destra di Morawiecki (sostenitore dei Conservatori e Riformisti Europei) riuscirà a resistere all’assalto della Piattaforma Civica di Donald Tusk (che si riconosce nel Partito Popolare Europeo), con più di mezza Europa preoccupata per l’involuzione autoritaria di Varsavia. A questa forte preoccupazione mi permetto di aggiungere la mia personale delusione per il mancato ingresso della Polonia nell’”euro”, sinora incomprensibilmente ritardato nonostante la buona salute dell’economia polacca e l’ingente drenaggio di fondi europei, soprattutto in agricoltura. A differenza di Londra e Stoccolma, Varsavia entrò nella UE dopo l’Unione Monetaria e non può quindi esercitare nessun “opt out” in materia.
Tornando al tema delle destre europee, credo che verosimilmente, solo dopo il significativo test polacco, sarà possibile valutare se la campagna elettorale del giugno prossimo sarà effettivamente dominata dall’aspettativa di una sostanziale svolta a destra in Europa o se, invece, l’importanza delle sfide correnti giocherà a favore della continuità in una gestione largamente condivisa delle istituzioni europee.
Foto di apertura: Di Mastergrafic1 – Opera propria, CC BY-SA 3.0, da commons.wikimedia.org