I costi della ristorazione
Per fare le cose fatte per bene, cominciamo con qualche informazione sui costi di un ristorante.
Istintivamente si tende a ritenere che il prezzo del ristorante sia principalmente legato alle materie prime consumate: non è così. In realtà, la componente degli acquisti di materie prime alimentari incide non più del 25/30%, con molte eccezioni, ovviamente. Per alcune materie prime, come ad esempio il pesce, tu non paghi tanto quanto mangi quanto, paradossalmente, quello che NON mangi.
Uno dei parametri di valutazione di un ristorante è ovviamente la freschezza dei suoi prodotti, elemento che nel caso del pesce è ancora più importante. Per offrire pesce fresco, il ristoratore deve infatti fare degli acquisti piuttosto massicci: il problema è che se, per un motivo o per l’altro, il prodotto non viene consumato subito, se si vuole evitare di riproporlo anche quando tanto fresco poi questo pesce non è più, oppure, peggio mi sento, congelato, l’unica alternativa è buttarlo. Naturalmente la professionalità del ristoratore sta nel riuscire a fare un acquisto il più possibile commisurato alla richiesta dei clienti: operazione che, come è intuibile, per quanto possa essere ben fatta, nasconde una implicita percentuale di errore
Anzi direi che, in parte, questo errore è inevitabile: non c’è niente di più fastidioso, infatti, di vedere un bellissimo menù per sentirsi dire dal cameriere “Mi perdoni ma l’Orata è finita”, “l’Aragosta è terminata”. Di conseguenza bisognerà comprare un po’ di più per poter avere sempre la disponibilità di tutti i piatti in carta.
Già da questo cominciamo a vedere come in realtà il mestiere del ristoratore sia molto complesso, molto complicato.
In realtà il costo maggiore di un ristorante è quello del personale. Se uno entra nelle cucine di certi ristoranti più a buon mercato, spesso trova un extracomunitario alle prese con 7 od 8 padelle; negli stessi ristoranti in cui per poter ottenere l’attenzione del cameriere bisogna fare le novene a Sant’Antonio. Evidentemente il Ristorante di alto livello avrà un notevole costo del personale: nei ristoranti di livello più elevato ci sarà un commis qualificato (e quindi anche adeguatamente pagato) che seguirà il mio piatto dalla chiamata della comanda fino al pass: è chiaro che questo comporta un aumento dei costi esponenziale.
Stesso dicasi per la sala: in un ristorante di alto livello c’è un numero di camerieri tale da poter seguire adeguatamente ogni tavolo. Esistono poi anche esagerazioni, come posti in cui il cameriere rabbocca vini o l’acqua nei bicchieri o quelli in cui in cucina alcune persone sono dedicate soltanto a fare i “puntini” sui piatti oppure a fare dei veri e propri disegni artistici o magari statue di ghiaccio.
Ci sono anche ristoranti con il “servizio cinguettato” in cui il cameriere sta sempre dietro i clienti, parla sottovoce e magari è di una cortesia che arriva alla stucchevolezza; francamento detesto questi posti: il fatto di vedere qualcheduno che ti scruta in continuazione non è molto piacevole. Vi sono poi altri elementi importantissimi da aggiungere, quali la regolarità dell’inquadramento di tutti i dipendenti, che devono essere tutti quanti inquadrati e pagati regolarmente: questo noi lo diamo per scontato, ma vi assicuro che in moltissimi ristoranti scontato non è per niente.
Sono molti i ristoranti a gestione familiare, magari “allargata”, in cui i figli, i nipoti o anche la nuora non vengono regolarizzati. Anche il ferreo rispetto della normativa obbligatoria (per esempio la normativa igienica HACCP) e a volte anche volontaria, come la sensibilità ambientale, ha dei suoi costi.
Spesso, soprattutto nei centri storici, garantire l’accesso ai disabili comporta investimenti consistenti
Anche la gestione degli allergeni comporta costi la disponibilità e la gestione, ad esempio, di prodotti per celiaci ha dei costi, anche se la richiesta è piuttosto rara. C’è da domandarsi se nei ristoranti in cui si mangia bene e abbondantemente e si paga pochissimo, tutti questi doveri siano garantiti sempre e comunque.
Anche le retribuzioni devono essere correlate alla professionalità, non solo dello chef, ma di tutti i dipendenti.
Ricordiamoci l’impegno di tempo che viene richiesto sia ai dipendenti sia ai titolari del ristorante: aprire un ristorante è una delle attività più pesanti, impegnative e coinvolgenti che oggi possano esistere.
Ho conosciuto ristoratori che si svegliano la mattina alle sei per andare a fare la spesa, acquistando i prodotti migliori al mercato del pesce, ma anche al mercato delle verdure, che girano fornitori, che cercano nuovi fornitori: tutto questo naturalmente costa molto di più di coloro che fanno la spesa dai grandi grossisti.
Esiste poi la possibilità di erogare una serie di servizi aggiuntivi: il sommelier, per esempio, non è presente in tutti i ristoranti, così come il pastry chef. Alcuni ristoranti addirittura hanno degli esperti di formaggi o di olio che si occupano specificatamente di questi segmenti, molto graditi ad un buongustaio. In ultimo c’è da considerare il costo dell’immobile, che incide soprattutto nel centro delle grandi città.
È chiaro che il classico ristorantino con pochi tavoli con lei in cucina e lui in sala potrà garantire un livello gastronomico e di servizio piuttosto elevato a prezzi ragionevoli: francamente è il tipo di ristoranti che personalmente preferisco e di gran lunga.
Spero con ciò di aver dato un’idea anche se molto grossolana e sommaria della grande complessità del fenomeno dei costi di un ristorante.
I DEFAULT ECCELLENTI
Il marito di Cristina Bowermann (quella coi capelli viola) una volta mi disse: “Faccio molti più soldi io con la pizzeria a Trastevere che Cristina con il ristorante stellato (sempre a Trastevere)”.
In effetti ho visto fallire diversi grandi ristoranti e poche pizzerie. Un esempio è il ristorante che Gianfranco Vissani aprì a Roma diversi anni fa e che chiuse dopo poco, perché aveva immobilizzato troppi soldi nella cantina.
Anche uno dei ristoranti che io ho preferito in assoluto nella mia vita, ha fatto la stessa medesima fine: si tratta dell’Altra Bottiglia di Civita Castellana, un ristorante che era molto noto negli anni 90.
Ricordo che quando arrivavo io, Ermanno apriva e mi offriva alcune bottiglie pregiatissime, perché il loro prezzo era estremamente elevato e non solo nessuno era disposto a comprarle, ma nessuno era neanche in grado di apprezzarle adeguatamente. Anche lui scivolò sulla buccia di banana della cantina.
Carlo Cracco, il cui principale merito è quello di chiamarsi Carlo ed essere nato l’otto ottobre del 1965 (io, oltre a chiamarmi Carlo, sono nato l’otto ottobre del 1956: una semplice inversione di cifre), Cracco, dicevo, nonostante questi dati anagrafici così promettenti, si dice abbia aperto e chiuso più locali che cassetti della cucina: “Al Naviglio” (Il target di incassi non è stato raggiunto), ” “Garage Italia”, “Super Cracco” in Galleria a Milano con, pare, oltre 7 milioni di debiti; qualcosa del genere si vocifera anche per il ristorante a Portofino , anche se ancora aperto. Qualcuno dice che Carletto stia in piedi grazie alla marchetta delle patatine San Carlo. Sia ben chiaro: non mi fanno nessuna pena! È evidente che tutti costoro hanno fatto passi più lunghi della gamba e commesso una serie di errori. E gli errori si pagano.
I grandi ristoratori sono pur sempre degli imprenditori, guadagnano molto bene, ma il fallimento, peraltro molto raramente totale, è sempre in agguato.
E questo perché i ristoranti di altissimo livello hanno, come abbiamo visto, costi estremamente elevati e anche immobilizzazioni importanti. Non è sempre detto che i costi elevati (per esempio molto personale qualificato) permettano di ottenere automaticamente livelli qualitativi del medesimo livello.
Un caso di scuola è il ristorante che Niko Romito (tre stelle Michelin vicino a Roccaraso, da me personalmente scoperto appena aperto e soprattutto di gran lunga il mio chef preferito) nel ristorante che ha recentemente aperto dentro il Bulgari Hotel di Roma pare che, a fronte di prezzi inavvicinabili, offra una cucina molto mediocre.
La critica lo ha stroncato: dimostrazione che tutto sommato la critica gastronomica funziona.
Ora, io non so perché un grandissimo chef di sicura abilità ed esperienza abbia fatto un tonfo del genere. La mia sensazione è che sia stato frutto di una precisa scelta: la cucina “iconica”, cioè la cucina che i ricchi e spendaccioni stranieri si aspettano dalla cucina italiana.
Insomma, una sorta di “cucina turistica di gran lusso”: fenomeno che va assolutamente combattuto. Ovunque anche a Dubai, figurati a Roma.
Staremo a vedere.
“SI MANGIA POCO E SI PAGA TANTO”
A questo punto ci inoltriamo nel discorso che sento pure troppo spesso, per fortuna sempre di meno: “Ah, in certi ristoranti, si mangia poco e si paga tanto”.
Questo è un luogo comune che nel 99,99% dei casi è assolutamente ridicolo. Considerate che nei quarant’anni durante i quali ho girato ristoranti come buongustaio, ma anche come critico gastronomico e come ispettore della guida Gambero Rosso, penso di aver visitato qualche migliaio di ristoranti, di questi quelli in cui mi sono alzato con la fame sono stati 3 (me li ricordo uno per uno: uno in Costa Azzurra, uno a Roma e uno vicino Milano).
Chiarisco! Io evito i ristoranti dal costo eccessivo, vado a cercare e segnalo soltanto ristoranti i con un buon rapporto qualità prezzo, e prevalentemente con un conto che non superi i € 50 o € 60.
Se andate a vedere tutte le recensioni pubblicate noterete moltissimi ristoranti di cucina della tradizione, alcuni anche molto economici e pochi ristoranti carissimi.
Se andate a riperticare il mio pezzo su Caino a Montemerano, troverete una mia asperrima critica per una ex trattoria di paese, che grazie alle recensioni di alcuni gastronomi, ego quorum, dagli anni ’90 ha spiccato il volo, per diventare un ristorante dal conto carissimo, perdendo l’anima maremmana (e il suggestivo caminetto) che lo contraddistingueva. Insomma, non sono io quello che ama ristoranti da 300 € a persona e non ci andrei neppure se li avessi questi soldi (Oh, Signore! Signore! Mettimi alla prova!)
Ciò nonostante, mi rendo perfettamente conto che molti di essi sono ottimi ristoranti con prezzi perfettamente adeguati al livello gastronomico ed ai costi che quel livello inesorabilmente comporta; nonostante ciò li frequento poco, semplicemente preferisco altro.
Per quanto riguarda le porzioni dobbiamo chiarire subito e stabilire una volta per tutte che un vero buongustaio ama assaggiare molti piatti: è la curiosità e la ricerca di sensazioni nuove, anche nella cucina di tradizione, ciò che muove un Buongustaio. Se nel piatto viene messo poco cibo, non è per risparmiare, visto che la materia prima, come abbiamo visto, incide in maniera secondaria sui costi. Mentre per preparare, e bene, 10 piatti ci vuole tempo, cura, professionalità e materie prime eccellenti. E abbiamo visto come sia il personale il costo principale di un ristorante.
Semplicemente se si offre una degustazione che complessivamente, dal benvenuto dello chef, le sorprese dalla cucina, il predessert e la Petit Four, può arrivare a proporre sette, otto, dieci anche tredici portate diverse, per quanto io sia uno stomaco decisamente pugnace, più di tanto non riuscirò mai a mangiare. Questo è il motivo per il quale, salvo quei tre casi che ancora ricordo, nella mia vita, mi sono sempre alzato sazio. Avrete notato che nelle mie recensioni do un punteggio anche alla “digeribilità”: il pranzo o la cena devono essere esperienze positive. Comprese le ore successive.
Dato che oggi tutti mangiamo bene e in quantità adeguata nelle nostre case, il ristorante come l’occasione per sfondarsi, non mi pare abbia molto senso, mentre poteva essere ragionevole in periodi in cui la gente aveva nella vita di ogni giorno poco cibo a disposizione,
Oh, chiaramente ognuno è liberissimo di farlo: ci sono sempre gli “all can you eat”!
L’impostazione dei ristoranti per Buongustai è quella di offrire numerosi assaggi, numerosi piatti: andare in un ristorante per Buongustai (scusate io non uso mai la parola gourmet perché esiste l’italiano “Buongustaio”) e poi pretendere di applicare lo stile di ristorazione al quale si è abituati, è paragonabile ad una persona che vada in una pizzeria per chiedere una zuppa di pesce oppure andare in un “all can you eat” e pretendere un impiattamento perfetto.
Essere Buongustai non è un dovere. Molta gente ama mangiare solo le cose cui è abituato: NON vada nei ristoranti per Buongustai. Invocare la chiusura di un ristorante semplicemente perché ha una impostazione non a sé gradita è una forma di “fascismo”, del tutto paragonabile a chi, essendo eterosessuale, non ammette le unioni tra omosessuali: “non è il tipo di ristorante per me”.
Io non amo la musica da camera, ma non mi permetto di criticarla, ridicolizzarla scandalizzarmi: semplicemente non ci vado. Semplice no?
Tutte le foto sono di Classe & Gusto