È in arrivo l’autunno e in particolare la data del 28 novembre quando si saprà chi sarà scelto per organizzare l’Expo 2030. Roma, come noto, è una delle tre candidate insieme a Busan (Corea del Sud) e Ryad (Arabia).
Roma ce la farà a vincere? A leggere i giornali ultimamente iniziano a sorgere dubbi e interrogativi specialmente a causa della concorrente araba Ryad che è spinta e promossa da investimenti di immagine e di risorse che rasentano l’infinito sia direttamente sia come indotti in moltissimi settori industriali e geopolitici.
In attesa dell’esito alcune considerazioni che sono utili ora e non a novembre.
Il ruolo che a Roma hanno avuto i grandi eventi dal dopo guerra in poi è sempre stato sia per mole di investimenti sia per l’impatto sulle infrastrutture e sull’economia cittadina. A iniziare dalle Olimpiadi del 1960 che dotarono la città di una grande mole di impianti sportivi di residenze e di infrastrutture, anche se molto discusse (Palazzo e Palazzetto dello Sport, Velodromo, Stadio Flaminio, Villaggio Olimpico, l’Olimpica, ecc.). Era la città del boom edilizio ed economico, della dolce vita e le servivano infrastrutture di base. Poi tra i vari eventi mondiali non si possono dimenticare i mondiali di calcio del 1990 (stadio Olimpico ristrutturato pesantemente, stazione ferroviaria Ostiense, Vigna Clara e Farneto poi di fatto abbandonate o comunque rifunzionalizzate (Eataly a Ostiense) e a seguire il Giubileo del 2000 (l’autostrada per l’aeroporto di Fiumicino, il sottopasso di Castel Sant’Angelo e il parcheggio al Gianicolo). Adesso arriverà a breve il Giubileo del 2025 con 1,8 miliardi di investimenti e poi, forse l’Expo 2030 con 10 miliardi di investimenti.
Ogni volta è stata l’occasione (persa per esempio nel caso dei mondiali di nuoto del 2008 quando l’impianto a Tor Vergata progettato da Calatrava non fu terminato e il suo scheletro sta ancora lì e gridare la sua presenza nella pianura sotto le colline dei Castelli) per fare infrastrutture fondamentali per la città così come per proclamare significativi impatti sullo sviluppo economico. I bilanci da questo punto di vista sarebbero stati scarni a quanto scrisse nel 2019 a stessa Banca d’Italia riferendosi al Giubileo del 2000 (“a lungo termine i benefici economici sono incerti e raramente superano i costi di organizzazione”), sostenendo peraltro che addirittura la città si era impoverita causa la valorizzazione di lavori a basso valore aggiunto e quindi a minore produttività.
Ma sebbene i bilanci economicamente siano risultati non in particolare attivo, comunque, sono state le occasioni per realizzare a Roma infrastrutture fondamentali e dare una scossa alla frammentaria e troppo spesso particolarmente lenta attuazione di interventi significativi e per promuovere meglio e di più l’immagine della Capitale nel mondo.
E allora ecco che l’Expo del 2030 potrebbe essere un’altra importante occasione per raggiungere entrambi gli obbiettivi materiali e immateriali, un ipotetico passo avanti nello sviluppo. Investimenti per circa 10 miliardi di euro per la rigenerazione e riqualificazione dell’area di Tor Vergata, l’utilizzo (finalmente!) delle vele di Calatrava come Polo della conoscenza, un parco energetico solare da 150.000 metri quadrati, il prolungamento della linea C della metro, che arriverebbe in periferia e altri interventi nei trasporti e per il verde. E infine, e forse potrebbe essere la volta buona dopo oltre quarant’anni, la chiusura dell’anello ferroviario oltre all’insediamento di imprese innovative. Chissà se poi, colti dall’entusiasmo della vittoria a qualcuno verrà voglia (e convenienza) di eliminare alcuni scheletri quali le mai realizzate Città dei giovani agli ex Mercati generali e la Città dei Bambini all’ex Fiera di Roma. Per non parlare degli stadi della Roma e della Lazio. Chissà! E chissà se nel frattempo non venga qualche idea concreta per risolvere il problema della casa per 23.000 famiglie e dei servizi per le periferie. Anche qui: Chissa!
Tutto questo porterebbe certamente perlomeno un forte rilancio di immagine e di sviluppo della città e di una parte dei cittadini (nelle periferie chissà) e un impatto economico generale che, dai calcoli fatti dai promotori, sarebbe molto forte. Secondo Il Sole 24 Ore, l’impatto economico di breve periodo sarebbe di ca 18,3 miliardi di euro. Sono stati stimati gli arrivi di oltre 23 milioni di visitatori e 30 milioni di presenze, di cui quasi la metà stranieri. Buone notizie anche per l’export, con un incremento di 5,5 miliardi di euro. Paragonato all’Expo 2015 di Milano si potrebbe dire che “non c’è male”. Quando chiuse si sono calcolati 1,3 miliardi di euro di valore aggiunto per il turismo aggiuntivo e, secondo un’analisi della Bocconi, un indotto che ha prodotto un Pil pari a 6 miliardi di euro, di cui 4,1 miliardi nel solo anno 2015 (pari a circa lo 0,25% del totale del Pil italiano del 2015).
Fantastico, bellissimo, sublime. Anche se comunque trascinato da un evento non programmato in un progetto-città. Ma se l’Expò non ci sarà che succederà?
C’è un piano B per la città? Ci saranno ancora gli investimenti per 10 miliardi di euro? O finora tutti i temi critici di cui molti si presumeva di risolvere con il PNRR sono stati rinviati al 2030 con l’ipotetico Expo? (vedi anello ferroviario tanto per fare un esempio). Novembre è dietro l’angolo, le speranze di aggiudicazione a leggere i principali giornali non sono alte (per essere ottimisti), il 2030 è solo tra sei anni (considerando il 2023 al termine). C’è un piano alternativo per sviluppare la città?
Ecco allora che si pone ancora una volta il tema base di Roma: la necessità di avere un Piano strategico a medio-lungo termine una visione (come Londra, Parigi, Berlino), al quale semmai collegare l’opportunità di organizzare eventi internazionali e non il contrario. Quindi nell’auspicio che non si rimandi il tutto al 2033 (bimillenario della nascita di Cristo) occorrerebbe che già da ora chi di dovere (Il Comune, la Regione, il Governo) programmino un progetto per Roma, comunque utile anche se dovessimo vincere l’Expo, ma comunque imprescindibile se vogliamo dare una speranza ai romani. Il dibattito pluriennale in Parlamento sulla legge per Roma Capitale può essere il contenitore dove prima ci sia inserito l’obiettivo dello Stato per la sua capitale e le funzioni che si vorrebbero salvaguardare e valorizzare, le relative risorse e quindi, conseguentemente i poteri amministrativi per raggiungerlo e esercitarle. Se volessero fare una legge seria e concreta.
Soffocata dai gravi problemi della quotidianità, Roma sembra aver rinunziato – e non da oggi – a riflettere sul suo futuro. Eppure, non si governa una città come questa senza un progetto di lungo respiro, senza fissare obiettivi di qui a qualche decennio, l’intervallo necessario perché le scelte di oggi possano svilupparsi appieno. Partire da alcuni dati di base (cosa è Roma) e da alcuni scenari attesi (cosa sta succedendo e succederà nel futuro prossimo e oltre) e confrontarsi con esperti, persone di cultura, imprenditori, manager, politici e cittadini per costruire un progetto sul futuro della città considerando peraltro la sua storia incredibile ed unica nel mondo e il suo ruolo attuale di capitale del Paese.
Nel saggio “Roma il coraggio di cambiare” (Gangemi 2021) ho provato a fare alcune ipotesi dalle quali partire così come a porre al centro del tema la necessità di avere coraggio, competenze e capacità politica e tecnica. Occorre risvegliare un’opinione pubblica che appare ormai indolente, quasi rassegnata a una prospettiva di declino.
A Per Roma, un’associazione civica presieduta da Marco Ravaglioli insieme con Roberto Corbella (il segretario Generale) e Carlo Cafarotti e a tutti gli amici del Consiglio abbiamo avviato un progetto denominato “Roma 2030-2050 – Per un futuro della città eterna” per contribuire a fare di Roma una comunità innovativa, sostenibile e moderna.
Abbiamo già tenuto due seminari con il CNEL, il primo sulla “Legge per Roma Capitale”, il secondo su “La cultura chiave per il futuro”. Ne seguiranno altri sui diritti e la partecipazione, sulla sostenibilità e tecnologie e sulla città attuale verso la città futura. Sono inoltre previsti una raccolta dei progetti e delle proposte per la Roma futura, una serie di incontri da tenersi nelle sedi di aggregazione e dibattito culturale principalmente a cominciare dalle librerie e un programma di sensibilizzazione degli studenti delle scuole medie e dei licei di ciascun territorio lanciando concorsi sulle tematiche della città futura.
L’obbiettivo un po’ ambizioso (ma altrimenti è inutile farlo) è quello di portare alle soglie del 2025 ad avere una serie di proposte per realizzare un progetto per la Roma del 2050 da mettere a disposizione della politica e delle istituzioni.
È una goccia nell’oceano, è uno stimolo per sensibilizzare chi deve e può a immaginare, insieme a tutti noi cittadini romani, un futuro auspicabile e possibile per le città.
A prescindere dall’Expo e da qualsiasi altro evento internazionale.
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