Nei mesi scorsi l’impegno della Chiesa di Roma per l’Ucraina si è orientato nel ricercare un dialogo che parta dalle enormi conseguenze umanitarie. Un ruolo insostituibile quello della Chiesa, in questi tempi storici che sono stati chiamati del pomeriggio del cristianesimo. Ad esso ho dedicato un mio commento su questo sito, seguito da un altro più specifico sulle missioni del Cardinale Zuppi come delegato del Papa a Kiev, Mosca e Washington. La sequenza dei tre viaggi di Zuppi è proseguita la scorsa settimana con una quarta tappa a Pechino. E proseguirà con una quinta tappa, la già annunciata seconda missione a Mosca.
Recentissima anche la visita in Mongolia di Papa Francesco, l’ultimo dei suoi 43 viaggi apostolici all’estero. Mentre sorvolava lo spazio aereo cinese, il Papa ha inviato un messaggio al Presidente cinese, ricevendone una risposta di auspicio per un più intenso dialogo.
Ma naturalmente il viaggio in Mongolia di Papa Francesco non è stato solo preparatorio della missione in Cina del Cardinale Zuppi. Con esso si è nuovamente esplicitata la vicinanza della Chiesa di Roma con realtà del mondo percepite come lontanissime fino a pochi decenni fa. Una lontananza del tutto relativa, misurata dal continente europeo. Ovvero da dove affondano le radici e dove si è costruita gran parte dell’identità storica della Chiesa Cattolica. Che però, già nel suo nome riconosce l’universalità come sua necessaria ed essenziale identità.
Momenti significativi di tale più completa attuazione dell’universalità della Chiesa si riconoscono nei numerosi viaggi dei pontefici del dopo Concilio Vaticano II. Per citarne solo qualcuno dell’attuale Papa, si può ricordare l’inaugurazione dell’Anno Santo 2015 nella città di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, “paese al centro del mondo”.
E poi il viaggio del 2022 tra le comunità indigene canadesi, con la richiesta di perdono per le prevaricazioni culturali e spirituali del colonialismo cristiano. E ora questo viaggio in Mongolia, “paese giovane e antico, moderno e ricco di tradizione, che sa guardare in alto, verso la luce del bene, e che lascia nelle sue ger, le tipiche case itineranti, un cerchio aperto alla sommità”.
Rimanendo nel continente asiatico, ma in tempi diversi dai nostri, non è fuori tema ricordare la trentennale missione del gesuita Matteo Ricci. In Cina dal 1582, arrivò per gradi nel 1601 fino alla corte dell’Imperatore, fondando a Pechino la prima missione cattolica. Oltre che la conoscenza della religione cristiana, Matteo Ricci introdusse in Cina aspetti fondamentali della scienza occidentale, come la geometria euclidea, la cartografia e l’astronomia. La tomba a Pechino di Matteo Ricci, figura tuttora in Cina di grande popolarità, è sopravvissuta a varie ondate di distruzioni rivoluzionarie. A Matteo Ricci è stato attribuito il titolo di Venerabile da Papa Francesco il 17 dicembre 2022.
Molto più di recente, ancora un gesuita e ancora uno scienziato, Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) trascorse nello scorso secolo molti anni in Cina e nella Mongolia interna. Papa Francesco, durante la messa che ha celebrato nella capitale Ulaanbaatar, ne ha ricordato una preghiera, pronunciata in un vicino deserto, e che riconosce la presenza di Dio in ogni luogo del mondo.
Ancora più di recente, lo scorso 27 agosto 2022 Papa Francesco ha nominato Cardinale il cuneese Giorgio Marengo, missionario in Mongolia già da molti anni. Si tratta del più giovane tra i 211 cardinali del mondo. Autore del libro Sussurrare il Vangelo nella terra dell’eterno Cielo blu, con in copertina una ger mongola, l’abitazione itinerante citata dal Papa, sotto il cielo luminoso.
Nei commenti sul viaggio del Papa in Mongolia non sono mancate le espressioni di dubbio e di perplessità. In una lunga intervista televisiva, Mykhailo Podolyak, capo consigliere del presidente ucraino Zelensky, ha affermato che”il Papa non può avere alcun ruolo di mediazione, essendo filo-russo e quindi non credibile”. A livello giornalistico, Federico Rampini dal Corriere della Sera rincara la dose, anche rifacendosi a commenti apparsi sul Washington Post.
Tra le molte risposte che sono state date a questi infelici commenti, vorrei citare solo l’articolo di Enzo Bianchi su Repubblica dell’11 settembre, dal titolo “Perché il Papa non è filo-russo”. Con molta semplicità (e autorevolezza), Bianchi ci ricorda che “il Papa non agisce e non può agire come i poteri politici di questo mondo perché il suo compito è profondamente diverso”.
Quanto al Cardinale Zuppi, è lo stesso Cardinale a rispondere alle diffuse perplessità sull’utilità delle sue missioni di pace: “Certamente. Dopo di che, se non fai niente non fallisci, ma non fai niente!”
Secondo il comunicato ufficiale della santa Sede, gli incontri a Pechino del Cardinale Zuppi hanno avuto per oggetto “la necessità di unire gli sforzi per favorire il dialogo e trovare percorsi che portino alla pace. È stato inoltre affrontato il problema della sicurezza alimentare, con l’auspicio che si possa presto garantire l’esportazione dei cereali, soprattutto a favore dei Paesi più a rischio”.
A poche ora dal suo rientro da Pechino, è già in agenda un secondo viaggio a Mosca, su esplicito invito del ministro degli esteri Lavrov. Con la precisazione che “le autorità russe sono pronte a parlare con lui”. Su questa seconda missione in Russia, interessante l’editoriale di Paolo Mieli, dal titolo “La tela possibile”, sul Corriere della Sera del 18 settembre.
L’offensiva di pace voluta da Papa Francesco rimane un’operazione difficilissima. Ma forse qualche speranza l’abbiamo. Una ce la fornisce la storia, se non dimentichiamo che talvolta la sua evoluzione non è determinata solo da rapporti di forza militari, politici, economici, …
E per fare un esempio, ecco una buona domanda di storia antica. Perché, nel conflitto con la superpotenza militare di Sparta, sarà la perdente Atene, sconfitta nella lunghissima guerra del Peloponneso, a sopravvivere nella memoria dei secoli?
A questa domanda, lo storico Alessandro Barbero così ha risposto: l’aveva già capito Erodoto prima che accadesse, il Partenone a Sparta non c’era, e neanche le tragedie!
Immagine di copertina: Yurta, Mongolia, Steppa, pixabay