La guerra distrugge, l’Architettura costruisce e nei progetti di ricostruzione produce vita, condivisione, e si oppone radicalmente al concetto distruttivo della guerra. Gli scenari che quotidianamente vediamo in Ucraina e ora in Israele sono ineffabili. Non riusciamo nemmeno più a descrivere gli orrori e le devastazioni prodotte da conflitti chiaramente generati da maxi interessi economici e di potere cui speravamo non dover più assistere in un mondo che dovrebbe invece proiettarsi verso scenari di pacifica convivenza.
Tralasciando l’indescrivibile tragedia della popolazione coinvolta, e considerando il costruito, le guerre lasciano solo macerie, resti indistinti di edifici crollati con tutti i loro contenuti e i loro ricordi. Tutto è in frantumi, insieme alle vite e gli affetti di chi abitava gli edifici distrutti. Le case crollano per le guerre, crollano insieme ai valori e alle ideologie che incarnano, ma vengono distrutte anche le biblioteche, le Università, gli ospedali, gli aeroporti e i Musei, tutte le garanzie di una società civile. Tutte le devastazioni cui oggi assistiamo denunciano la fragilità del nostro mondo, la violenza e la desolazione ci devono solo stimolare a ricominciare usando la ragione. La ricostruzione sopra le rovine dopo ogni guerra deve prefigurarsi come l’indirizzarsi verso la realizzazione di un nuovo mondo, un nuovo modo di guarire il territorio ferito e di risanarlo.
L’Architettura possiede questo potere, di ricucire e di creare, di cancellare le ferite della storia e di ricostruire con orgoglio le strutture fisiche dove ricominciare ad abitare e a vivere con nuove speranze. E la ricostruzione ha molti obiettivi. La precedente struttura urbana costituita da strade, edifici e punti di riferimento, frutto del lavoro di molte generazioni, non potrà essere ricostituita come prima, ma dovrà diventare una nuova realtà urbana proiettata verso nuove fruizioni. I grandi monumenti testimoni del passato e custodi della continuità storica dovranno essere restituiti nella loro integrità, ma sarebbe un errore ripristinare il tessuto urbano abitativo nella condizione precedente le devastazioni. Bisogna saper cogliere l’occasione, mirare a un nuovo futuro e guidare la progettazione strutturando gli edifici secondo nuovi stili di vita.
Risolvere l’emergenza abitativa, ridare un rifugio sicuro e dignitoso a chi ha perso la propria casa andrà risolto progettando contemporaneamente le nuove infrastrutture con sistemi tecnologicamente avanzati. Tutti i processi creativi dell’ Architettura dovranno essere indirizzati non a cancellare i ricordi distrutti dalla violenza, ma a progettare rinnovando e costruendo città aggiornate e rivitalizzate in un nuovo ordine civile. I problemi della ricostruzione comportano anche di considerare le esigenze della riconversione degli spazi, dello spostamento dei detriti e del riutilizzo/riciclaggio delle macerie lasciate al suolo dai conflitti, e piegheranno la progettualità alle esigenze della sperimentazione di nuove tecnologie finalizzate allo slancio ricostruttivo. Molte nazioni si sono già esposte nel manifestare il proprio impegno (e interesse) per gli interventi di ricostruzione post-bellici. Quindi sarà necessario fare anche i conti con le esigenze della politica, sarà indispensabile che le elucubrazioni tecniche e intellettuali e artistiche agiscano unitariamente alle visioni politiche e sociali dei nuovi equilibri, per iniziare a creare nuove memorie.
Tutte le foto sono dell’autrice
Foto di apertura: Kiev, Ucraina