Mentre il quadro internazionale si complica ulteriormente e le elezioni nazionali in Europa mandano segnali non univoci, ma a volte inquietanti, sembra farsi strada il convincimento che le elezioni europee del giugno 2024 si potrebbero rivelare un passaggio chiave verso un futuro incerto ma per fortuna ancora aperto. Basta volerlo e crederci.

La più esplicita tra gli “euro-ottimisti” è probabilmente la Direttrice dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) Nathalie Tocci, che non esita a intitolare il suo ultimo libro “Fuori dal tunnel”: “Dipingendo di verde la sua bandiera, l’Europa ha trovato la ricetta per contribuire a salvare l’umanità su questo pianeta e al tempo stesso per rilanciarsi dandosi una nuova ragion d’essere”.

Nobile proposito ma assolutamente irrealistico, lo bolleranno gli “scettici verdi” che, pur dissociandosi quasi sempre dal “negazionismo climatico” ormai poco credibile, tendono a considerare insostenibili, economicamente e socialmente, i costi della transizione ecologica ed energetica impostata dai programmi europei (“Green Deal”  e “Fit for 55”) .

Foto di Ralph da Pixabay

Sarà questo uno dei temi più caldi della prossima campagna elettorale europea. Vedremo come lo gestirà il Partito Popolare Europeo, attraversato dalle tensioni tra Manfred Weber e Ursula Von Der Leyen. Vedremo che ascolto riceveranno le Cassandre sovraniste o dei nuovi “partiti contadini”, spuntati come funghi in reazione a restrizioni ambientali europee. Vedremo se la generazione Erasmus e i militanti dei “Fridays for Future”  abbandoneranno la prevalente apatia politica per andare a votare a nome di una “EU Next Generation” dedicata allo sviluppo sostenibile. Vedremo, soprattutto, come queste posizioni si modificheranno o si consolideranno in funzione anche di vibrazioni per molti versi analoghe sul tema dell’accoglienza e delle migrazioni. Basta citare l’ultima Esortazione Apostolica di Papa Francesco sul cambiamento climatico, definito “un problema sociale globale che è intimamente legato alla dignità della vita umana.

Tutto si tiene. Serve allora un progetto politico, una tela di fondo da ampliare, rinnovare e rafforzare a misura delle sfide che attendono l’Europa. Vengono in aiuto due interessanti documenti, resi pubblici nelle settimane scorse, che speriamo alimentino il dibattito nella prossima campagna elettorale europea.

Il primo è il rapporto di un gruppo di lavoro di dodici esperti francesi e tedeschi sulla riforma istituzionale dell’Unione Europea  incentrata su tre obiettivi: accrescere la capacità di agire della UE, preparare i prossimi allargamenti e rafforzare lo Stato di diritto e la legittimità democratica dell’Unione.

Partiamo da quest’ultimo punto: “Lo Stato di diritto è un principio costituzionale non negoziabile per il funzionamento della UE ed una pre-condizione per aderirvi”. Bisognerà quindi rafforzare la “condizionalità di bilancio” (“Museruola alla magistratura? Niente fondi comunitari!”) e, appena possibile, rendere più severo l’art.7 del TUE, che già autorizza la sospensione dei diritti derivanti dai Trattati in caso di serie e persistenti violazioni dei valori comuni dell’Unione (rimpiazzare l’”unanimità meno uno” con la maggioranza dei quattro quinti in seno al Consiglio Europeo per decisioni su infrazioni allo Stato di diritto; forzare Consiglio e Commissione a prendere posizione in materia; sanzioni automatiche dopo cinque anni dall’attivazione della procedura). Ergo, andare verso una “tolleranza zero” dell’involuzione autoritaria di Ungheria, Polonia e sovranisti vari (inclusi quelli che hanno da ridire sull’applicazione diretta del diritto europeo, quando la norma nazionale confligge?).

Foto di Gordon Johnson da Pixabay

È bene essere chiari soprattutto nella prospettiva di futuri allargamenti, che non dovranno inficiare ulteriormente “la capacità della UE di prendere ed applicare decisioni su tutte le aree di competenza primaria europea, incluse le cooperazioni che, a seguito delle crisi succedutesi, sono diventate di fatto responsabilità UE (sanità, energia, migrazioni, gestione delle crisi finanziarie)”.

Un corollario inevitabile della non negoziabilità dei principi e dell’aspirazione a procedure decisionali rapide ed efficaci è l’accettazione del principio di “integrazione differenziata”. Il rapporto riprende ed aggiorna la teoria dei “cerchi concentrici” in Europa e ne propone quattro:

  • un“nucleo duro” tra coloro che sono disposti ad andare avanti nella “condivisione di sovranità” con nuove regole più stringenti, sostanzialmente imperniate sul passaggio dall’unanimità alla “doppia maggioranza” di Stati e popolazione;
  • chi si vuole fermare ai Trattati in vigore;
  • chi si limita ad un regime di associazione incentrato sul Mercato Unico ma svincolato dall’aspirazione ad “una sempre più stretta unione”;
  • chi vuol partecipare alla Comunità Politica Europea 2.0. per una convergenza geo-politica continentale senza un disegno di integrazione.

Il salto di qualità tra il secondo ed il primo gruppo, auspicato dal rapporto, presuppone due momenti: qualcosina si potrebbe già fare “hic et nunc” ma il grosso presuppone modifiche costituzionali da negoziare realisticamente dopo le prossime elezioni europee: “Il cammino verso le modifiche dei Trattati deve includere un ampio dibattito pubblico, partendo dai risultati della Conferenza sul Futuro dell’Europa. I progetti per il futuro della UE e le proposte di riforma dovranno avere uno spazio preminente nella campagna elettorale per il Parlamento Europeo 2024 e le linee guida politiche della nuova Commissione dovranno riflettere queste priorità. Occorrerà mobilitare vari strumenti di democrazia partecipativa per coinvolgere in questo processo i cittadini, tanto degli Stati membri quanto dei Paesi candidati”.

Sottoscriviamo questo appello!  E lo facciamo anche se immaginiamo qualche naso arricciato per un documento redatto solo dal direttorio franco-tedesco. Non si tratta forse più della sfavillante locomotiva di qualche anno fa ma rimane pur sempre il cuore dell’Europa e poi, ammettiamolo, gli assenti hanno sempre torto, specie coloro che si autoescludono, volendo ribaltare il tavolo perché “è finita la pacchia!”

Del resto, convergono sostanzialmente con il “paper” franco-tedesco  anche le 32 eminenti personalità europee (di cui 12 italiane: Giuliano Amato, Marco Buti, Elena Carletti, Giancarlo Corsetti, Emma Marcegaglia, Marcello Messori, Mario Monti, Romano Prodi, Francesco Profumo, Lucrezia Reichlin, Eleanor Spaventa e Guido Tabellini) che hanno sottoscritto il 4 ottobre un manifesto dal titolo “L’Unione Europea al tempo della Nuova Guerra Fredda”:Si sta formando un nuovo ordine mondiale e, se l’Unione Europea rimane una costruzione lasciata a metà, non giocherà alcun ruolo nel darvi forma”, quindi,  “per dare una nuova possibilità al multilateralismo”, bisogna superare “un processo decisionale che produce avanzamenti notevoli solo durante le crisi maggiori ma che è poi soggetto a cambi di rotta quando la pressione scema”, ergo “serve una nuova sintesi che porti a un nuovo contratto politico”.

Gli autori del manifesto lo definiscono “un graduale e pragmatico federalismo” perché ritengono che “sia giunto ormai il momento di riconoscere che il nazionalismo è contrario all’interesse nazionale, che la sovranità nazionale degli Stati membri è inefficace se non è ridefinita in termini di sovranità europea e che la fornitura di beni pubblici europei è cruciale per soddisfare le domande nazionali di sicurezza economica, sociale e politica”.

Viene allora proposta un’agenda basata su sette elementi:

  • una riforma fondamentale del bilancio UE, sorretto da credibili risorse proprie per fornire beni pubblici europei nella tripla transizione verde, digitale e sociale;
  • nuove regole fiscali per perseguire una convergenza economica e sociale;
  • la costruzione di un mercato finanziario europeo integrato;
  • una politica industriale che promuova il cambio di paradigma verso innovazione e valorizzazione delle risorse umane;
  • il rilancio di una politica di aiuti di Stato che non persegua il “made in Europe” ma il “made with Europe”;
  • un salto di qualità nella politica migratoria europea attraverso una strategia comune di educazione ed addestramento per l’inclusione nei mercati europei del lavoro;
  • una politica di sicurezza e difesa UE all’interno della NATO ma con sufficiente autonomia e visibilità.

Foto di Simon da Pixabay

Per dare concretezza a questi orientamenti, servirà ovviamente “ripensare il sistema di voto nel Consiglio UE” e ipotizzare, “in aree ben definite, dove c’è la necessità, ma non ancora l’accordo, di spingere oltre la frontiera dell’integrazione, di procedere a geometria variabile o con club di Stati membri”. Per applicare pienamente quest’agenda, il manifesto valuta che “serviranno modifiche dei Trattati ma passi importanti possono essere compiuti anche prima”. Essenziale sarà però prima “spiegare ai cittadini europei che il dar vita ad istituzioni UE più efficaci ed efficienti non è una oscura prerogativa di Bruxelles ma uno sviluppo decisivo per salvaguardare il futuro delle nostre comunità, ed in particolare quello delle giovani generazioni. La campagna per il prossimo Parlamento Europeo offre questa opportunità, che non dovrà essere sprecata”.

Fin qui le idee e le proposte che stanno emergendo e che ci auguriamo daranno spessore e vivacità alla preparazione della prossima tornata elettorale. Torneremo in un prossimo articolo a soffermarci su quanto il Parlamento Europeo in carica sta elaborando a futura memoria sulla riforma dei Trattati, in conseguenza delle indicazioni emerse dalla Conferenza sul Futuro dell’Europa 2021-2022. Nella sessione di novembre è previsto un importante dibattito in materia. Speriamo proprio che … la montagna non partorisca un topolino!

 

Foto di apertura: British Library su Unsplash