Chi combatte la battaglia per conservare ai nostri figli il mondo che abbiamo avuto noi?

Ho indirizzato questa breve lettera agli attivisti di Ultima Generazione, dopo aver partecipato ad alcuni loro incontri, sia in presenza che online. La gran parte di loro sono giovani che delle proteste e delle rivolte degli anni 1970 hanno soltanto sentito parlare.

Inutile ricordare che le proteste di quegli anni erano molto più cruente di spruzzare coloranti sui palazzi del potere o interrompere per una ventina di minuti la circolazione su alcune grandi arterie.

Tutti coloro che appartengono alla mia generazione, e che fossero soltanto capaci di concentrarsi sui fastidi che generano tali proteste, mi facciano il favore di non leggere questa lettera.

Foto di Kushal Das – CC BY-SA 4.0, commons.wikimedia.org

Nella storia molti sono stati gli episodi di disobbedienza civile, che costituivano reati secondo le leggi allora vigenti. È un luogo comune che persino i terroristi, quando hanno vinto, siano stati considerati eroi: lo stato di Israele deve la sua nascita ad atti terroristici di sangue, poi coloro che li avevano compiuti sono oggi considerati eroi della patria. Infine non si deve dimenticare che Ultima Generazione è stata preceduta dal Movimento di Greta Thumberg – la mia giovane eroina – e dal grande movimento europeo Extiction Rebellion. Mi sono interessato di Ultima Generazione per due ragioni: in primo luogo perché si batte contro il cambiamento climatico, un problema gigantesco e ancora molto ignorato, soprattutto in Italia, e in secondo luogo perché è animato prevalentemente da giovani. A più di 70 anni di età ho una grande esperienza di attivismo politico. Appartengo a una generazione che ha contestato il sistema di potere negli anni 1968/70. Ci sono però talune essenziali differenze con il mondo di oggi e il suo ambiente politico.

La protesta si riconduceva ad un sistema ideologico strutturato, credibile e diffuso, come quello del comunismo o addirittura del maoismo. Il partito al potere, essenzialmente la Democrazia Cristiana, era anch’esso portatore di un sistema ideologico, quello del Cattolicesimo sociale, e cioè un liberalismo progressista; gli si contrapponeva il Comunismo, allora rappresentato dall’Unione Sovietica e dalla Cina. I due sistemi erano agli opposti, ma ambedue rappresentavano visioni della vita e della società ed erano animate da leader con una vera cultura della politica. Se i metodi della protesta erano illegali venivano perseguiti, ma esisteva fra il comunismo e il liberalismo di allora, un dibattito realmente politico. Oggi le ideologie sono crollate, ma soprattutto è crollata la cultura e la qualità delle classi politiche –tutte le classi politiche – che non hanno risposte né visioni sui grandi temi perché agiscono occasionalmente, lavorando più per i social media che per la società.

Oggi, grazie ai sistemi dell’informazione, il controllo della società, dei suoi gruppi e delle singole persone, è particolarmente facile ed efficace. Gli apparati di sicurezza sanno tutto, di cosa si intende fare e di come si intenda farlo. Grazie ai social media e alle comunicazioni via internet è particolarmente facile “profilare” tutti noi, non solo per venderci prodotti e servizi, ma anche per sapere cosa pensiamo e cosa facciamo. Prevenire o impedire le proteste è molto più facile che negli anni ’70, così come colpire i più vulnerabili fra gli attori della protesta.

I media, principali giornali e televisioni (RAI, Mediaset e Urbano Cairo) sono sempre più asserviti al sistema di potere. Anche quando sembrano ospitare opinioni diverse, si tratta del teatrino fra poliziotto buono e poliziotto cattivo, perché, come si vede nei talk show, quelli che parlano sono solo i membri delle stesse cricche, che parlano, scrivono, e si lodano fra loro. E non bisogna dimenticare che i più giovani fra loro hanno più di 50 anni. Essere ammessi a parlare in TV non serve a nulla, se non a partecipare al teatrino (allo spettacolo). Quando sono stati invitati i rappresentanti di Ultima Generazione, è stato facile farli apparire come i soliti ragazzi privilegiati che protestano, mettendo in ombra i loro fondamentali obiettivi per concentrarsi sui “terribili” danni che causano ai palazzi del potere e alla circolazione stradale.

Foto di Stefan Keller da Pixabay

Tutte le volte che ho parlato di Ultima Generazione con molti ambienti che si considerano qualificati e informati, mi si è fatto presente che moltissimo, tutto il possibile, per combattere il cambiamento climatico, si sta già facendo, in Italia e in Europa. Lo ha detto, per esempio, Chicco Testa in un talk show (che ovviamente rappresenta le grandi multinazionali energetiche, dalle quali questi manager ricevono quasi sempre straordinarie remunerazioni, che certo non ci permettono di considerare imparziali le loro opinioni). Occorre quindi contestare in modo serio che questa affermazione sia vera, essendo però anche in grado di indicare azioni praticabili e soprattutto quelle che siano concretamente in grado di combattere il cambiamento climatico, senza colpire come al solito, i più deboli. E questo è certamente qualcosa che dovrebbe accompagnarsi alle proteste di Ultima Generazione.

È conseguentemente ovvio che questa modestissima politica non abbia nessuna capacità e nessun interesse ad aprire un dibattito ideologico. Quindi, come sta facendo, se la prenderà con i metodi, proponendo la narrazione che siccome i metodi sono illeciti e anzi creano danno alla comunità, di fatto essi prevalgono, nascondendo gli obiettivi.

Allora, ho fatto presente ai miei amici di Ultima Generazione, che, prima di progettare azioni concrete, di qualsiasi tipo, occorrerebbe una analisi più approfondita su alcune questioni.

Nonostante i disastri climatici che tutti vedono, inondazioni, incendi, spostamenti di popolazioni dovute al clima, la società, soprattutto quella italiana, sembra molto poco reattiva: non abbiamo neppure un partito ecologista. Due possono essere le cause:

  • da un lato la rassegnazione (tanto non si può fare niente, ormai il mutamento climatico è irreversibile)
  • dall’altro – ciò che è molto più sfidante – la percezione che imboccare un reale cambiamento, significherebbe farne pagare il prezzo come al solito ai più deboli. (se si blocca la circolazione dei veicoli inquinanti, si colpisce necessariamente chi non ha i soldi per cambiare il suo).

Ho insegnato e insegno la progettualità europea da moltissimi anni: se non si conoscono le ragioni di un fenomeno, come la scarsa sensibilità ai problemi dell’ambiente, non si possono trovare i giusti mezzi, le giuste azioni per contrastarlo o prevenirlo. Quindi per poter allargare la base del consenso alle attività di Ultima Generazione, occorre prima di tutto dibattere di una strategia politica generale che non si limiti a presentare la gravità del fenomeno cambiamento climatico. Senza una visione strategica e politica che possa coinvolgere la maggior parte delle componenti sociali, le proteste saranno facilmente classificabili come “capricci” di piccoli gruppi di giovani più o meno privilegiati, che creano soltanto fastidio. Infine non bisogna mai dimenticare che uno dei rischi più forti per i piccoli gruppi che si fanno portatori di cambiamenti, è che finiscano per sentirsi piccole comunità di “martiri”, rinunciando alla capacità di incidere sulla società, che è ovviamente la sfida più lunga e difficile.

Da quando è nata, Ultima Generazione si è dedicata ad azioni di disobbedienza civile, che certamente attirano l’attenzione dell’opinione pubblica, concentrandola però su specifici atti di protesta: manca ancora molto una attività di comunicazione politica volta ad aggregare il consenso sugli obiettivi, e cioè sul dramma della distruzione dell’ambiente che costituisce indiscutibilmente un gigantesco problema per le future generazioni.

Sono molto vicino ai giovani di Ultima Generazione, perché finalmente i più giovani ricominciano a farsi sentire in una società che li ignora, non fa niente per loro, e li costringe ad emigrare. Certo occorrerà una crescita nella diffusione degli obiettivi e nella diversificazione dei metodi di protesta, ma forse dovremo, una volta di più, ai nostri giovani, l’istanza di un cambiamento che appare sempre più essenziale.

Foto di apertura di Enrique da Pixabay