Giorgia Meloni è in affanno. L’ultima scivolata è l’intesa con l’Albania sui migranti. Il paese delle Aquile accetta di accogliere due centri italiani a spese di Roma per la gestione dei migranti.
Apriranno le porte dalla prossima primavera per ricevere 3.000 migranti al mese (36.000 l’anno) salvati in mare dalle navi della Marina Militare italiana. Per Palazzo Chigi si tratta di “un accordo storico”. Servirà ad «espletare celermente le procedure di trattazione delle domande di asilo o eventuale rimpatrio». Per le opposizioni invece vengono violati i diritti costituzionali: è “una deportazione”, rischia di essere «la Guantanamo italiana» (il riferimento è al carcere di massima sicurezza nella base navale militare statunitense a Cuba). Malumori ci sono nello stesso governo: i due vice presidenti del Consiglio Salvini e Tajani, per motivi diversi, frenano. La commissione europea esaminerà il caso, ma sembra nutrire forti dubbi sulla legalità dell’operazione.
È una iniziativa senza precedenti, a rischio di flop. La questione degli immigrati clandestini è il primo assillo della Meloni. La presidente del Consiglio ha provato a risolverlo firmando un accordo con la Tunisia per frenare le partenze dei migranti per l’Italia ma l’intesa con Tunisi è fallita. Non è andato meglio il progetto di rivedere le regole europee sulla distribuzione dei migranti e sul controllo dei confini marittimi della Ue nel Mediterraneo. Di qui l’intesa con l’Albania per risolvere il problema degli sbarchi, il no ai clandestini è uno dei cavalli di battaglia della destra. Il protagonismo della Meloni, però, non piace molto a Salvini: da sempre la battaglia contro l’immigrazione clandestina è al centro dell’azione del segretario della Lega.
Crescono le difficoltà di Meloni. Cgil e Uil scioperano contro le scelte del governo di destra-centro su sanità, istruzione, pensioni, salari, tasse. Le opposizioni sollevano critiche radicali. Le trattative con l’Unione europea sulla revisione del patto di stabilità per l’euro sono ancora in alto mare. Il rischio è grosso: senza un accordo da gennaio torneranno in vigore le vecchie regole finanziarie molto rigorose, estremamente penalizzanti per l’Italia con un altissimo debito pubblico sulle spalle.
Ce la farà la Meloni a sopravvivere? In qualcuno spunta l’idea di un Draghi bis. Carlo Calenda dà per finito l’esecutivo Meloni. Il segretario di Azione lo stronca come «del tutto inadeguato» per i pessimi risultati.
Guarda al futuro, in due occasioni ipotizza la nascita di un esecutivo tecnico. Azzarda a “Cinque minuti” su Rai1: «Credo che occorra arrivare a un governo di larghissima coalizione». All’assemblea nazionale di Azione a Roma profetizza: «Quando il governo non ce la farà più, si farà un governo tecnico». Il leader centrista non fa il nome di chi potrebbe succedere come presidente del Consiglio a Meloni ma fu lui a lavorare con successo assieme a Renzi per far giungere Mario Draghi a Palazzo Chigi all’inizio del 2021. Con Draghi il Pil (Prodotto interno lordo) dell’Italia aumentò dell’8,1% nel 2022, con Meloni le stime danno una crescita del reddito nazionale dello 0,9% nel 2023.
L’economista Draghi è corteggiatissimo. È stato un nonno pensionato solo per pochi mesi e ora lavora per scrivere un rapporto sulla competitività della Ue, un compito affidato dalla presidente della commissione europea Ursula von der Leyen. Si tratta di un incarico importante ma a termine, poi l’ex presidente della Bce (Banca centrale europea) ed ex presidente del Consiglio potrebbe dedicarsi ad altri impegni.
L’imprevisto è in agguato. Silvio Berlusconi nel 2011 fu spodestato a Palazzo Chigi da un governo di larghe intese guidato dal tecnico Mario Monti, Giuseppe Conte fu sostituito nel 2021 dal tecnico Mario Draghi. A Montecitorio è ricorrente il tam-tam di un esecutivo tecnico di grande coalizione. Appare l’ombra di un nuovo ministero Draghi. Un governo tecnico? L’ipotesi è stata seccamente respinta dalla Meloni: «Sicuramente non cadrò per un complotto, non succederà quello che è successo ad altri prima di me».