Abbiamo cercato in precedenti articoli di delineare un quadro delle posizioni che le varie famiglie politiche continentali stanno assumendo sui temi chiave del processo d’integrazione europea, in vista anche delle elezioni del giugno 2024.
Da questo quadro emerge che il “business as usual” (o peggio ancora il rimpatrio di competenze dall’Unione agli Stati membri!) non sono opzioni praticabili, visti il numero e la complessità delle sfide che investono il Vecchio Continente. Cambiamento climatico, migrazioni, guerre, pandemie, equità intergenerazionale sono problemi sui quali è già difficile per l’Unione Europea incidere sensibilmente a livello globale, figuriamoci se gli Stati membri dovessero affrontarli in ordine sparso.
Serve allora un quadro istituzionale adeguato, che ora non c’è, anche perché, al di là della compattezza politica tutto sommato dimostrata dall’Europa in alcune crisi recenti (Covid, Ucraina, energia), le risposte messe in atto sono state, in ragione delle varie urgenze, per lo più adottate, passando sostanzialmente sopra il Parlamento Europeo e, a fortiori, emarginando totalmente i meccanismi di democrazia partecipativa che, in teoria, la Conferenza sul Futuro dell’Europa (2021-2022) aveva attivato e responsabilizzato.
Mentre il Consiglio Europeo, e tutto l’apparato intergovernativo che lo sostiene, hanno, di fatto, ignorato le raccomandazioni emerse dalla Conferenza, il Parlamento Europeo, dopo oltre un anno di studio e preparazione, sta ora lavorando abbastanza intensamente su di esse. In particolare, la Commissione Affari Costituzionali ha adottato il 25 ottobre un progetto di rapporto per la revisione dei Trattati di Lisbona, che dovrà essere discusso ed approvato dalla Plenaria del Parlamento Europeo nella imminente sessione di novembre. Il rapporto è stato presentato da un gruppo di lavoro diretto da Guy Verhofstadt (liberale fiammingo, del gruppo Renew) e composto da altri quattro europarlamentari (tutti tedeschi!) del Partito Popolare, dei Socialisti e Democratici, dei Verdi e della Sinistra Unita. Tutti questi gruppi hanno quindi votato a favore. Contro si sono schierate invece le destre dei Conservatori e Riformatori Europei (da noi Fratelli d’Italia) e di Identità e Democrazia (da noi la Lega).
Tra le più rilevanti novità che il progetto di revisione dei Trattati introduce ci limitiamo a menzionare l’allargamento delle competenze dell’Unione Europea (soprattutto in materia di ambiente e clima), l’elaborazione di un nuovo, più ambizioso Protocollo Sociale, l’estensione del voto a doppia maggioranza qualificata (Stati e popolazione), l’incremento delle aree su cui legiferare in regime di co-decisione tra Consiglio e Parlamento.
Ci piace soprattutto la proposta di invertire l’iter per la designazione del Presidente della Commissione Europea: mentre ora viene scelto dal Consiglio Europeo ed approvato dal Parlamento, dovrebbe in futuro essere il Parlamento a farsi carico della individuazione del candidato più in sintonia con la volontà politica dell’elettorato ed il Consiglio Europeo limitarsi ad un avallo più o meno notarile della decisione.
Non ci sarà verosimilmente nella Plenaria di novembre un dibattito particolarmente approfondito sul rapporto ma è già molto significativo che il Parlamento Europeo si appresti a “rompere il ghiaccio” su un tema, quello della riforma dei Trattati che, a quasi quindici anni da Lisbona, sembrava essere diventato un tabù. Ora, non c’è più il rischio di irretire ulteriormente Londra, i sovranismi segnano battute d’arresto ma, soprattutto, il “contratto di governo” adottato a Berlino nel 2021 delinea una scelta chiara da parte dell’esecutivo del principale partner europeo .
D’altronde, la riforma dei Trattati si impone anche perché gli sviluppi geo-politici in atto hanno riportato in alto nell’agenda dell’Unione Europea il tema di futuri allargamenti. Abbiamo già sofferto nel recente passato di adesioni un po’ affrettate, senza una sufficiente metabolizzazione dei valori e dell’identità da difendere e promuovere. Non possiamo permetterci diluizioni o rallentamenti ulteriori. E si dovrà quindi necessariamente superare anche il limite dell’unanimità, che diventa ricatto o potere di veto, laddove avremmo invece bisogno di processi decisionali democratici, snelli e trasparenti.
Speriamo bene. Ma bisogna cominciare a lavorare affinchè il Parlamento Europeo che scaturirà delle elezioni del giugno 2024 sia effettivamente determinato a proseguire, con tutto il coraggio e l’impegno che servirà, lungo la strada che sembra dischiudersi per la riforma dei Trattati. Per sostenere i candidati e le famiglie politiche che vorranno coerentemente adottare una linea politica europeista, abbiamo sintetizzato in un decalogo gli impegni che chiederemmo loro di sottoscrivere:
- Promozione e difesa dei valori fondamentali
- Rispetto degli obiettivi del “Green Deal”
- Autonomia strategica aperta
- Nuovo protocollo sociale: sanità, istruzione, previdenza, accoglienza
- Completamento dell’Unione Economica e Monetaria con i capitoli bancari e fiscali
- Rendere permanente lo “EU Next Generation EU”
- Modifiche dei Trattati prima del prossimo allargamento
- Funzione costituente e iniziativa legislativa del Parlamento Europeo
- “Doppio cappello” per il Presidente della Commissione Europea
- Ratifica delle modifiche ai Trattati dopo referendum unico europeo
La spiegazione più dettagliata dei singoli punti di questo decalogo figura in un articolo separato qui accanto.
Nei mesi prossimi, ci impegneremo ad “ingaggiare” su questo decalogo tutti i candidati e i gruppi politici che riusciremo ad avvicinare. Crediamo che, solo ritornando a “pensare in grande” e ricorrendo alla brutale chiarezza di “provocazioni” come quelle ora proposte, sarà forse possibile ridestare interesse nell’elettorato, sempre più stanco del cicaleccio e dell’improvvisazione. Chi vorrà unirsi a noi per promuovere questa campagna o sostenere impegni convergenti sarà il benvenuto.
Foto di apertura di succo da Pixabay