Con la modifica dell’articolo 92 della Costituzione si introduce l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Secondo il testo della riforma, il capo del governo è eletto contestualmente alle elezioni politiche per il rinnovo di Camera e Senato e il suo mandato dura cinque anni. A differenza di quanto previsto oggi, la persona che diventa presidente del Consiglio deve essere per forza un parlamentare.
È previsto inoltre un premio di maggioranza pari al 55 per cento dei seggi in Parlamento per la coalizione che esprime il presidente del Consiglio, per garantire maggiore stabilità al governo. Su questo punto, però, il governo deve ancora presentare la sua proposta per cambiare la legge elettorale.
Con la modifica dell’articolo 88 si elimina poi la possibilità per il capo dello Stato di sciogliere anche solo una delle due camere. La riforma prevede inoltre una norma definita “anti-ribaltone”, per impedire in futuro la formazione di governi tecnici o con altre maggioranze rispetto a quelle vincitrici alle elezioni. Con la modifica dell’articolo 94 della Costituzione, se il presidente del Consiglio eletto non ottiene la fiducia del Parlamento, il presidente della Repubblica gli rinnova l’incarico e, qualora non ottenga di nuovo la fiducia, scioglie le camere. In caso di dimissioni, impedimento o sfiducia delle camere, il presidente della Repubblica può affidare l’incarico di formare un nuovo governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare della maggioranza, solo per realizzare il programma di governo e le dichiarazioni programmatiche approvate dal presidente inizialmente eletto. Se il governo non ottiene la fiducia, il capo dello Stato scioglie le camere.
È prevista infine la cancellazione del secondo comma dell’articolo 59, eliminando la possibilità per il presidente della Repubblica di nominare nuovi senatori a vita. Quelli attualmente in carica mantengono il loro incarico fino alla scadenza del mandato, mentre per gli ex presidenti della Repubblica rimane comunque il diritto di diventare senatore a vita. La nuova maggioranza presenta la sua proposta in linea con l’ideologia che la connota mista a quel sano populismo tipico della tradizione della nostra destra. Ma qui c’è di più, c’è una profonda ignoranza della nostra Costituzione e dei meccanismi che regolano le riforme costituzionali e toccherà ancora una volta ai cittadini difendere la nostra Costituzione.
La scelta del costituente, per chi abbia voglia di leggere il dibattito di allora, fu figlia della nostra storia e fu dettata dalla convinzione di voler evitare scelte populiste dopo la tragedia del ventennio fascista. Oggi i figli, o i nipoti, di quella tradizione ripropongono il concetto di premierato avulso dalla nostra storia e dall’anima del dettato costituzionale. Lo fanno maldestramente noncuranti, o inconsapevoli, che i sistemi costituzionali sono meccanismi complessi che non possono essere cambiati a pezzetti ma se si modifica una parte è necessario modificare altre parti del sistema.
Prima osservazione: il primo ministro dovrà essere per forza un parlamentare con la conseguente esclusione di possibili grandi personalità che potrebbero onorare il nostro paese. Insomma per dirla con una moderna locuzione W la casta!
Seconda considerazione: chi vince le elezioni avrà il 55% dei seggi, cioè si modifica il volere degli elettori per assicurare alla maggioranza il governo assoluto del parlamento con evidente disprezzo delle aule parlamentari e delle minoranze.
Poi si passa ai poteri del Presidente della Repubblica e sarebbe lecito, secondo la logica di questa riforma, abolire questa carica. Invece ci si limita a umiliarla disegnandone i limitati poteri fin dall’inizio. In sostanza il capo dello Stato non può sciogliere le camere e può, nei casi previsti, dare l’incarico a un altro parlamentare di maggioranza al solo scopo di realizzare il programma di governo.
Mi riesce difficile commentare tanta è l’assoluta ignoranza di chi ha scritto questa norma.
Forse il premier dimissionario intendeva attuare un programma diverso? Il programma del governo non potrà mutare nel corso di cinque anni? Il parlamento a cosa servirebbe?
Si passa poi alla eliminazione dei senatori a vita e qui mi sono espresso molte volte. Non avremmo avuto Toscanini, De Sanctis, Trilussa, Sturzo, Parri, Montale, De Filippo, Bobbio, Abbado, Piano, Rubbia, Segre e altri. Davvero vogliamo eliminare questa indubbia ricchezza che ha onorato il Senato della Repubblica?
In conclusione, un pasticcio evidente e una logica populista. Speriamo che i cittadini cassino questo imbroglio.
Foto di apertura: il Capo dello Stato, Enrico De Nicola, firma la Costituzione italiana – Foto di Pubblico dominio, commons.wikimedia.org