“Non vogliono toccare il tasto della verità su un individuo che è un dittatore, un bullo, che ha sparato a zero su tutti”. Così Chris Christie, ex governatore del New Jersey, mentre descriveva Donald Trump e allo stesso tempo ammoniva Nikki Haley, Ron DeSantis, e Vivek Ramaswamy. I tre avversari di Christie per la nomination del Partito Repubblicano presenti all’ultimo dibattito in Alabama fino adesso non hanno voluto criticare Trump. Christie ha continuato dicendo che l’ex presidente per i suoi comportamenti non è “qualificato” per un secondo mandato.
Come si sa, Trump non ha partecipato a nessuno dei dibattiti per le primarie del Partito Repubblicano, ma si trova al primo posto con un 50 percento dei consensi. Il resto degli elettori repubblicani che non voterebbe per Trump è quella fetta di elettorato che gli altri quattro candidati cercano di accaparrarsi. La strada di Christie alla nomination è stata quella di affrontare direttamente Trump, asserendo che l’ex presidente è un “vigliacco” che si rifiuta di partecipare ai dibattiti, e confrontarsi direttamente con i suoi avversari. L’ex presidente ha già indicato che considerando il suo margine di vittoria, secondo i sondaggi, il Partito Repubblicano dovrebbe conferirgli la nomination, prima che incomincino le primarie il 15 gennaio del 2024 in Iowa. Quasi tutti i sondaggi piazzano Trump al primo posto per la nomination repubblicana. Ciò vuol dire che gli altri quattro candidati avrebbero a disposizione quegli elettori repubblicani che non possono tollerare l’ex presidente. Il problema per i candidati che hanno partecipato ai dibattiti è la guerra fra di loro invece di ampliare la “torta” per strappare voti al primo della classe. Christie ha spiegato che la popolarità di Trump sia dovuta al silenzio dei suoi tre avversari che legittima “la condotta” dell’ex presidente.
Christie invece nel corso della campagna ha centrato il bersaglio mettendo a nudo il pericolo di Trump. Va ricordato che l’ex governatore del New Jersey era stato uno dei primi sostenitori dell’allora tycoon nella campagna del 2016 che alla fine vide Trump conquistare la Casa Bianca. Si credeva che l’ex presidente lo avesse ricompensato con un posto nella sua amministrazione. Infatti, Christie aveva richiesto il ministero di Giustizia ma gli fu rifiutato. La ragione? Il veto imposto dal genero di Trump Jared Kushner, arrabbiatissimo con Christie, come questi dice nel suo libro del 2019. Christie da procuratore federale aveva condotto il processo nel 2005 che mise in carcere il padre di Jared, Charles Kushner, per corruzione. Nel 2020 però Trump gli concesse la grazia. Nonostante tutto Christie rimase fedele e nel 2020 aiutò Trump a prepararsi per i dibattiti con Joe Biden. Christie ruppe con Trump dopo l’elezione del 2020 quando l’allora presidente si rifiutò di accettare il risultato che diede le chiavi della Casa Bianca all’attuale presidente.
Gli attacchi di Christie al carattere di Trump e la sua ineleggibilità alla presidenza non sono stati seguiti dagli altri tre candidati. Haley e DeSantis si sono limitati a dire che ci vuole una nuova generazione di leadership, suggerendo che Trump dovesse mettersi da parte. Al dibattito in Alabama DeSantis ha dichiarato che eleggere un presidente quasi ottantenne sarebbe poco saggio. Ci vuole un giovane (lui?) che possa completare due mandati. Ramaswamy, l’imprenditore che non ha nemmeno votato nelle elezioni del 2008, 2012, e 2016, invece, non solo non ha attaccato Trump ma ha fatto dichiarazioni con echi dell’ex presidente. Secondo Ramaswamy, l’elezione del 2020 è stata caratterizzata da frode e gli insurrezionisti degli attacchi al Campidoglio il 6 gennaio 2021 erano funzionari del governo contrari a Trump.
La strategia di Christie di attaccare frontalmente Trump non ha funzionato per lui. Quella di Haley e DeSantis nemmeno. Alcuni mesi fa sembrava che il governatore della Florida fosse divenuto l’anti-Trump ma recentemente ha perso terreno. Haley, invece, è riuscita a dare filo da torcere a DeSantis e sembra essersi conquistata credibilità come possibile rivale di Trump. Il supporto finanziario del gruppo Americans for Prosperity del miliardario Charles Koch potrebbe essere una delle chiavi al suo successo.
Il problema principale per i quattro candidati sul palco è la loro divisione del 50 percento degli elettori disponibili. Ci sono già delle voci che Christie potrebbe però gettare la spugna e offrire il suo supporto a Haley, come suggerirebbe la sua difesa dell’ex governatrice del South Carolina, attaccata duramente da Ramaswamy. La decisione di Christie avverrà probabilmente dopo l’esito delle primarie in New Hampshire il 23 gennaio 2024.
Nel dibattito in Alabama Christie ha dichiarato che Trump sarà condannato nei suoi processi criminali in corso e come tale non sarà eleggibile a votare. Sarà condannato, secondo Christie, non dal lavoro del procuratore speciale Jack Smith, ma dai testimoni, ex collaboratori dell’ex presidente, come Mark Meadows, ex chief of staff, e Mike Pence, vice presidente durante l’amministrazione di Trump. Al momento non si sa come andranno a finire i processi, in buona parte per la strategia di Trump di ritardarli il più a lungo possibile. Smith se n’è reso conto e ha chiesto alla Corte Suprema di decidere se Trump è coperto da immunità per possibili reati commessi durante la sua presidenza. La Corte Suprema ha accettato la richiesta e una decisione dovrebbe avvenire nelle prossime settimane. Alcuni analisti hanno visto la mossa di Smith come rischiosa poiché tre dei togati sono stati nominati proprio da Trump. Non si prevede però che la Corte Suprema decida che un presidente abbia immunità totale facendolo divenire un re con poteri assoluti.
Un candidato presidenziale con 91 capi di accusa non si era mai visto in America. Il fatto che il Partito Repubblicano possa nominare un individuo che potrebbe andare in carcere ci dice molto sullo stato di uno dei due maggiori partiti degli Usa. Potrebbe vincere l’elezione dal carcere? L’ultimissimo sondaggio di Reuters/Ipsos ci dice però che Joe Biden è avanti di 4 punti in Wisconsin, Pennsylvania, Arizona, Georgia, Nevada, North Carolina and Michigan, i cosiddetti “swing states”, stati in bilico che spesso decidono l’esito delle presidenziali americane.
Foto di apertura: Rogier Hoekstra da Pixabay