Nelle cronache del Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre, l’attenzione s’è concentrata sul sì – non scontato – all’avvio dei negoziati per l’adesione all’Ue dell’Ucraina. E’ un risultato per molti versi positivo, ma che non basta a promuovere i leader dei 27: la stragrande maggioranza delle decisioni sono state rinviate ed è emersa la tentazione di annacquare in un allargamento dai tempi incerti qualsiasi prospettiva di approfondimento dell’integrazione europea.
Il premier ungherese Viktor Orban, lasciando la sala al momento del sì ai negoziati con l’Ucraina, ha dato via libera alle trattative, ma ha però bloccato, subito dopo, gli aiuti di cui Kiev ha subito bisogno – come di quelli americani, del resto, anch’essi bloccati -. La decisione sul bilancio Ue pluriennale slitta a gennaio, quella sul Patto di Stabilità sarà di nuovo discussa dall’Ecofin – ma, dice il premier italiano Giorgia Meloni, che si tiene in mano la carta del Mes, “le posizioni sono distanti” -.
Nelle conclusioni del Consiglio europeo, l’ultimo del 2023 e l’ultimo della presidenza di turno spagnola del Consiglio dei Ministri dell’Ue, c’è scritto che i capi di Stato e/o di governo dei 27 hanno “adottato conclusioni sull’Ucraina, il Medio Oriente, l’allargamento e le riforme, il quadro del bilancio pluriennale 2021-’27, la sicurezza e la difesa, l’immigrazione e altri temi, le relazioni con la Turchia, la lotta contro l’anti-semitismo, il razzismo e la xenofobia e l’agenda strategica”.
Ma, in realtà, le conclusioni adottate sono, quasi sempre, dichiarazioni senza concretezza o rinvii. Un esempio: sul Medio Oriente, il capo della diplomazia europea Josep Borrell alza le mani: dopo 70 giorni di guerra tra Israele e Hamas, l’Ue non ha una posizione comune. Del resto, il voto dell’Assemblea generale dell’Onu il 12 dicembre ne era stata plateale conferma: la maggior parte dei 27, fra cui Francia e Spagna, favorevoli a un cessate-il-fuoco; alcuni astenuti, fra cui Germania e Italia; due contrari, Rep. Ceca e Austria.
Dopo Consiglio europeo: le prospettive dell’allargamento
Il sì all’avvio dei negoziati di adesione dell’Ucraina è “un segnale di speranza per gli ucraini e tutto il nostro Continente”, dice Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, mentre la guerra va stancamente avanti, fronte in stallo, bombardamenti ogni notte, la paralisi dell’inverno alle porte ed il sostegno dell’Occidente che s’attenua. Chi prevedeva che Orban mettesse in ginocchio l’Unione e che il presidente russo Vladimir Putin facesse sentire il suo peso al tavolo dei 27 è stato smentito. Ma il premier ungherese, bloccando gli aiuti, conserva – scrive Eunews – “la possibilità di ricattare l’Ue”. Il sì ai negoziati con l’Ucraina è parallelo a quello per la Moldavia. La Georgia s’è vista attribuire lo statuto di Paese candidato, che prima avevano Kiev e Chisinau. Le trattative con la Bosnia sono più vicine: partiranno quando Skopje avrà completato le riforme – domani o mai, chi lo sa -. Ora, ci sono dieci Paesi alle porte dell’Unione, nove se si considera che la pratica della Turchia è da tempo su un binario morto: i sei dei Balcani occidentali – Serbia, Montenegro, Macedonia del Nord, Bosnia, Albania e Kosovo – e Ucraina, Moldavia, Georgia.
Scrive Politico: “La spinta all’allargamento conferma che l’Ue conserva e utilizza il suo maggiore asset politico, il potere di attrazione”. E’ una calamita di Paesi bisognosi di ancoraggio democratico e sostegno economico. Ma, attirandoli, logora il suo potere di coesione interna.
L’ok ai negoziati per l’adesione dell’Ucraina è salutato dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky come “una vittoria per tutta l’Europa”. Zelensky era reduce da colloqui frustranti a Washington, dove i leader repubblicani del Congresso gli hanno detto che per la sicurezza dell’America i confini con il Messico contano di più di quelli dell’Ucraina, Alla vigilia del Vertice, Zelensky aveva chiesto ai leader europei di “non tradire la parola data”: dopo l’invasione, la teoria di esponenti dei 27 giunti a Kiev a promettere sostegno ed aiuti è stata quasi incessante. Le più presenti, le presidenti della Commissione europea Ursula von der Leyen e del Parlamento europeo Roberta Metsola, ormai rivali nella corsa a guidare l’Esecutivo comunitario dal 2024 al ‘29.
Dopo Consiglio europeo: i 27 tra allargamento e approfondimento, con il rovello migranti
Secondo la Cnn, che fa eco a pareri espressi da leader europei, ma che talora analizza i fatti europei in modo non molto articolato, la decisione “manda un forte messaggio al presidente Vladimir Putin, mentre stava diffondendosi la sensazione che il sostegno occidentale all’Ucraina stesse stemperandosi”. Ma l’apertura dei negoziati di adesione non significa che l’Ucraina stia per entrare nell’Unione: la strada è ancora lunga e gli ostacoli non mancano, a partire dalle riforme necessarie per garantire la stabilità economica e una democrazia funzionale nel Paese profondamente segnato dalla corruzione. “Ci vorranno anni perché l’adesione diventi effettiva”, riconosce la Cnn, mentre c’è voluta l’invasione russa perché l’Ucraina fosse accettata come Paese candidato: Kiev ci puntava da almeno un decennio, dai tempi del rovesciamento del presidente filorusso Viktor Janucovich.
Nell’immediato, però, l’Ucraina ha “disperato bisogno” – scrive l’Ap – dei 55 miliardi circa di euro di aiuti finanziari congelati dal veto ungherese per tirare avanti un altro anno di economia di guerra (così come ha bisogno degli oltre 60 miliardi di aiuti militari americani bloccati dai repubblicani). Michel assicura che il Vertice si riunirà di nuovo a gennaio per stanziare i fondi.
Più che dalle guerre, molti leader europei paiono ossessionati dai migranti: assecondano le paure degli elettori senza avere soluzioni da offrire. Negli Stati Uniti Donald Trump, nipote di migranti, dice che “gli immigrati avvelenano il sangue dell’America”; e il presidente Joe Biden patisce l’attenzione per un problema che non sa come risolvere. Lo stesso avviene in Europa: in Francia, Emmanuel Macron avverte il suo consenso erodersi, mentre l’opposizione cavalca, da destra, ma anche a sinistra, la questione; in Italia, il governo di destra ne fa un cavallo di battaglia, nonostante che, in un anno al potere, non abbia affatto migliorato la situazione. Il Vertice europeo non produce né idee né decisioni.
Dopo Consiglio europeo: per l’Italia, checché ne dica, non è un ‘momento tricolore’
L’Italia come ne esce? Meloni parla di “bilancio in chiaroscuro” e ammette: “Non abbiamo ottenuto tutto quello che volevamo”, anche se sostiene che, sui migranti, gli altri leader la stanno seguendo. A parte la retorica filo-governativa del ‘siamo i meglio’, la stagione internazionale non è tricolore: l’Italia prende scoppole nella corsa all’Expo Universale 2030 – terzo posto, quando il secondo pareva scontato – e nella corsa alla presidenza della Bri – terzo posto, dietro ai candidati spagnolo e danese -. E la Corte costituzionale albanese sospende la ratifica dell’intesa con l’Italia sui migranti, in attesa di pronunciarsi sul ricorso dell’opposizione, secondo cui l’accordo viola la Costituzione e le convenzioni internazionali sottoscritte da Tirana.
Secondo la Ragioneria generale dello Stato, l’intesa con l’Albania costerebbe all’Italia almeno 300 milioni di euro, cinque volte più dei Cpr sul suolo italiano. La commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovi, chiede all’Italia di “difendere meglio i diritti dei migranti, delle donne e dei richiedenti asilo” e di abolire le norme “che ostacolano la ricerca e il salvataggio da parte delle Ong”.
Alla vigilia del Vertice, le risoluzioni della maggioranza al Senato e alla Camera non ripropongono la questione della revisione dei Trattati posta dal Parlamento europeo, perché il governo esprime parere negativo su quel punto. Ai leader dei 27, Metsola ricorda l’esigenza di fare le riforme, come chiede l’Assemblea di Strasburgo. Non del tutto negativa la valutazione del Movimento europeo che, alla vigilia, insisteva sul fatto che “un’Unione europea efficace democratica e solidale deve essere fondata su tre pilastri finora assenti nell’azione delle istituzioni europee e dei governi nazionali: creazione di beni pubblici europei, superamento dei Trattati di Lisbona e ampio consenso popolare”. Il Movimento europeo si attende che questi concetti siano iscritti nell’agenda strategica 2024-’29, da varare dopo le elezioni europee del giugno prossimo.
Le conclusioni del Vertice sono giudicate “un piccolo passo” nella direzione auspicata, ma la strada è lunga e non è affatto detto che la direzione sia quella giusta. La richiesta è di riaprire, subito dopo il voto, ill cantiere della conferenza sul futuro dell’Unione nel quadro di una fase costituente.
Foto di apertura di Simon da Pixabay