Con la sua decisione di non candidarsi alle prossime elezioni europee il leader della Lega Matteo Salvini ha preso una decisione saggia ma forse non per tutti gli stessi buoni motivi che possono sembrare.
Infatti se l’attuale Presidente del Consiglio UE Charles Michel ha creato scompiglio nelle alte sfere annunciando che si candiderà alle prossime europee (lasciando anticipatamente il suo incarico come spiega Giovanni Brauzzi in un suo articolo in questa stessa rubrica), Salvini ne ha creato almeno altrettanto a livello nazionale annunciando di non candidarsi.
Per cominciare Salvini ha anticipato gli annunciati vertici di maggioranza mettendo lievemente in difficoltà i suoi partners di governo che avevano detto voler decidere insieme sulle candidature dei tre leader, o tutti o nessuno. Un po’ malignamente si potrebbe pensare che Salvini abbia cercato di sventare il rischio di passare da assenteista, di cui era già stato platealmente accusato in passato.
Per questo la decisione può sembrare motivata dall’intento di prendere sul serio sia le promesse fatte all’elettorato così come il lavoro del parlamentare europeo. In realtà al momento la decisione sembra essere più motivata da considerazioni di carattere nazionale, legate alla stabilità di governo, alla sua leadership nella Lega o addirittura alla scelta di altri candidati in altre consultazioni locali.
In effetti in questi giorni si parla molto di candidature per le prossime europee in tutte le diverse aree politiche da destra a sinistra, ma nessuno sembra voler mai ricordare quali siano i buoni motivi per mandare dei rappresentanti a Strasburgo.
In effetti il criterio proposto da alcuni a livello nazionale per esempio per certi governatori di Regione o amministratori locali, chi ha fatto bene deve essere riconfermato, non sembra essere applicabile alle candidature per il Parlamento europeo dove sembra prevalere esclusivamente il criterio della conta dei voti, la conta italiota come l’ha chiamata con un certo disprezzo Emma Bonino in una intervista a Repubblica. Per questo, nel contesto della classe politica italiana, il successo o l’insuccesso alle prossime europee sembra avere un interesse e un valore esclusivamente per il suo riflesso sulla politica nazionale. E bisogna sforzarsi a fare delle deduzioni per intravedere che se Elly Schlein dichiara che sarebbe allettata da una candidatura alle europee sta probabilmente dimostrando una certa affezione per l’assemblea di Strasburgo mentre se Salvini snobba la candidatura europea lo fa anche dimostrando la sua scarsa considerazione per questa istituzione.
Perfino Romano Prodi che è stato sia europarlamentare che Presidente della Commissione UE, ha recentemente sconsigliato le candidature multiple cioè in diversi collegi perché, in modo del tutto generico, svilirebbero la democrazia.
Insomma nessuno parla mai nello specifico della funzione o dell’utilità dei parlamentari europei e tanto meno di quali posizioni politiche andrebbero concretamente a rappresentare una volta eletti.
Inoltre tutto questo gran parlare non deve illudere nessuno sul fatto che come al solito, e a differenza dalle consuetudini di altri paesi europei, nessun partito italiano comunicherà la lista dei candidati fino all’ultimo momento cioè alla scadenza del primo maggio – secondo la legge 18/1979 e successive modifiche – lasciando poco più di un mese per conoscere i candidati e soprattutto i loro programmi.
Bisogna ammettere che il problema non è solo politico ma è in parte determinato anche dalle norme e dal sistema elettorale di queste consultazioni in cui i candidati vengono eletti con i voti raccolti in cinque macro regioni, cioè che raggruppano più regioni ciascuna, e che non hanno nessun riferimento alla realtà di queste aree, il Nord Est, Nord Ovest, Centrale, Meridionale e Insulare.
Questo rende le campagne ancora più complicate in così poco tempo, molto faticose e costose (con potenziali risvolti inquietanti) e non favoriscono il rapporto sia durante la campagna che dopo l’elezione dei parlamentari con i cittadini che li hanno eletti. Ed è anche a causa di questo sistema che spesso vengono selezionate delle candidature con profili più popolari, in base alla notorietà, piuttosto che più adatti a svolgere i compiti dell’europarlamentare. Questo sistema non favorisce neanche il merito perché chi è stato un buon parlamentare, assiduo, capace di far politica, capace di negoziare, di farsi ascoltare e rispettare da altri parlamentari di altri gruppi politici e di altri paesi, non è per niente garantito di poter essere ricandidato o rieletto.
Mentre il nostro paese avrebbe un grande bisogno di poter contare su europarlamentari competenti, dedicati e capaci, che sappiano lavorare in un contesto multinazionale quale è il Parlamento europeo, per rappresentare al meglio le istanze e gli interessi del nostro paese.
E se uno si interessasse e conoscesse come vanno le cose a Bruxelles, saprebbe che questo ruolo è sempre più importante, secondo la prassi e anche se non nelle regole scritte, perché il processo legislativo europeo è sempre di più il frutto di buoni negoziati nelle Commissioni Parlamentari, nel dialogo con le altre due istituzioni, la Commissione e il Consiglio, e che una buona Direttiva o Regolamento europeo sono sempre più spesso il frutto di un negoziato ben condotto tra posizioni politiche e nazionali in seno all’eurocamera.
L’Italia avrebbe quindi un gran bisogno di investire su una classe politica veramente europea ma le premesse del chiacchiericcio attuale sulle candidature non fa ben sperare e sembrano indicare che nessuno si curi veramente di creare le premesse per una campagna elettorale in cui si discuta di temi di rilevanza europea nel vero interesse del nostro paese.
Foto di apertura di Kasa Fue – CC BY-SA 4.0, commons.wikimedia.org