Se Berlusconi fosse ancora vivo avrebbe brindato per la gioia. Mediaset sorpassa la Rai. Nella Terza Repubblica, quella di matrice populista, si realizza il sogno vanamente inseguito per decenni dal fondatore di Mediaset, dell’impero Fininvest e di Forza Italia. Un sogno irrealizzato non solo nella Prima Repubblica ma anche nella Seconda, quella dominata dal Cavaliere.
La televisione privata proprietà della famiglia Berlusconi mette a tappeto quella pubblica nei primi nove mesi del 2023. Mediaset, secondo l’Agcom (l’Autorità di garanzia delle comunicazioni), negli ascolti medi giornalieri della fascia “intero giorno” è in testa con 3,03 milioni di spettatori (37,5% di share) contro i 3,01 milioni della Rai (37,2% di share).
Cologno Monzese esulta per il sorpasso sull’azienda radiotelevisiva pubblica avvenuto «per la prima volta nella storia della Tv». Lo definisce «Un risultato storico».
Viale Mazzini fa i conti in modo diverso, confrontando i rispettivi canali generalisti. Precisa: le tre reti generaliste Rai nel 2023 sconfiggono Mediaset perché «nel totale giorno, si assestano su un’audience media pari a 2.473 milioni di telespettatori corrispondente a uno share del 30,38%» contro «i 2.142 di Mediaset, share del 26,3%». E gli ascolti di prima serata danno ancora «più soddisfazioni».
Comunque la tv pubblica per la prima volta deve fare i conti con una vittoria di lungo periodo di Mediaset, come registra l’Agcom; sia pure per un soffio, sia pure in discesa per il calo degli spettatori rispetto al 2022 accusato da tutti e due gli antagonisti in crisi di idee e di programmi. Le televisioni da anni sono in crisi come i giornali.
È singolare la coincidenza. Il successo è capitato quando Silvio Berlusconi non c’è più. Il Cavaliere, quattro volte presidente del Consiglio, leader per decenni del centro-destra da lui unificato per la prima volta nella storia della Repubblica, è morto lo scorso giugno all’età di 86 anni.
Il “sorpasso” passa quasi sotto silenzio. Non dice una parola Antonio Tajani, segretario di Forza Italia e ministro degli Esteri. Non commenta Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, ex ministra nei governi Berlusconi. Resta muta la sinistra nelle sue multiformi espressioni politiche, cominciando dalla segretaria del Pd Elly Schlein e dal presidente del Movimento cinque stelle Giuseppe Conte.
Scatta una sorta di rimozione della novità. Eppure rivoluziona il mondo dell’informazione, dello spettacolo, della pubblicità. Il “sorpasso” è un fatto nuovo enorme anche per il mondo della politica italiana. Fin dalla fondazione c’è un legame stretto tra Mediaset e Forza Italia. Berlusconi sceglie i primi dirigenti del suo partito dai ranghi della sua tv, in particolare dal settore pubblicità. Prende le decisioni più importanti per il suo partito e per il suo governo in interminabili riunioni a Palazzo Grazioli, la sua casa di Roma. Il Cavaliere finanzia anche di tasca propria il partito appianando i deficit e così sembrano intenzionati a fare anche i figli eredi.
Di qui la definizione di “partito-azienda” affibbiato a Forza Italia dagli avversari. La sinistra di matrice Pci-Pds-Ds-Pd scatena negli anni una guerra epocale contro Berlusconi, diviene il suo nemico storico. Lo accusa di aver costruito un gigantesco conflitto d’interessi tra il suo ruolo politico e quello aziendale. Nanni Moretti gira un film con il feroce titolo de “Il Caimano”. Walter Veltroni e Massimo D’Alema attaccano a testa bassa. Poi, però, stemperano i toni. D’Alema da presidente del Consiglio assicura: «Mediaset è una risorsa dell’Italia». Beppe Grillo fa trionfare i cinquestelle anche con gli insulti chiamando Berlusconi “psiconano”. Ma né la sinistra riformista, né quella massimalista, né quella populista varano una soddisfacente regolamentazione del conflitto d’interessi né con il governo Prodi, né con l’esecutivo D’Alema, né con il ministero Conte.
Tra una guerra e un armistizio Mediaset “azienda partito” sconfigge la “Rai dei partiti”. Una volta i Tg e i programmi Rai dominavano la scena e il mercato. Fulvio Damiani ai congressi dei partiti evitava i caotici assalti finali ai segretari. Si metteva fuori dalle resse degli altri giornalisti. Faceva oscillare il microfono per le interviste e si limitava a dire: «Qui il Tg1!». Davanti a Damiani c’era sempre la fila per un’intervista.