Alle porte del secolo più drammatico per l’Europa, il 17 febbraio 1885, nasceva in Italia Romano Guardini, e nell’anno successivo la sua famiglia dall’Italia si trasferiva in Germania, pur mantenendo forti legami con il Paese d’origine.
L’ambiente familiare ne doveva plasmare il carattere. Una particolare forma di introversione, non naturale ma derivata da una convivenza caratterizzata da rigidità e chiusura verso il mondo esterno, e la mancanza di un profondo rapporto affettivo con i genitori, ne segnarono l’intera esistenza con una costante malinconia.
«Il fondamento preciso della estraneità – scriverà più tardi nella sua autobiografia – era … l’atmosfera della nostra casa, che non ci lasciava mai uscire all’aperto.»
La teoria degli opposti e la ricomposizione della realtà
Tutta la sua vita, anche per l’attitudine, nella sua maturazione intellettuale, di volgere questa inclinazione in una feconda positività, sarà al contrario contrassegnata da una visione aperta, ricca interiormente e che eserciterà esteriormente negli scritti e nell’attività di insegnamento, che estenderà dalla teologia all’antropologia e alla riflessione politica affermando la necessità di una coincidentia oppositorum, ricomposizione della realtà in un’armonia dialogica degli opposti.
Nell’esistenzialismo di Kierkegaard, così come nel metodo fenomenologico di Husserl e di Scheler, Guardini trova la chiave per superare la visione unilaterale del pensiero moderno nelle sue diverse forme, come l’idealismo o il positivismo, elaborando una metafisica della bipolarità dell’essere. Il filosofo ha quindi il compito di ricostituire l’unificazione del sapere, perché l’uomo possa, nell’oscillazione dei poli contrapposti, riconquistare l’essere nella sua totalità e allo stesso tempo la libera personalità derivata dalla coscienza e dall’umanesimo moderni.
«L’intero vivere umano nella sua globalità come nei suoi aspetti particolari, qualunque sia il suo contenuto qualitativo più preciso e quali che siano le sue funzioni particolari, è strutturato in base all’opposizione per poter essere vivente. Il fenomeno dell’opposizione è un tratto fondamentale della vita umana. Qualunque sia il fenomeno di cui si tratti – anatomico-fisiologico o emotivo, intellettuale o volitivo, individuale o sociale – il fatto dell’opposizione è il modo con cui il fenomeno si dà, è la forma strutturale ed operativa della vita.» (R. Guardini, L’opposizione polare. Tentativi per una filosofia del concreto-vivente)
E con «opposizione» Guardini non intende «contraddizione»: «La teoria degli opposti è la teoria del confronto, che non avviene come lotta contro il nemico, ma come sintesi di una tensione feconda, cioè come costruzione dell’unità concreta», scrive nel 1967 in una lettera a Jacob Laubach, con riferimento alla dialettica amico-nemico di Carl Schmitt.
I poli opposti, come dinamico-statico, singolarità-totalità, originalità-regola, immanenza-trascendenza, unità-pluralità, rivelano il dinamismo unitario che costituisce la natura dell’essere. Polarità distinte ma complementari, al contrario dei contraddittori come essere-nulla, vero-falso, bene-male, giusto-ingiusto, per natura inconciliabili. Il destino dell’uomo si realizza nella libertà, che gli è data, di mantenere l’unità del vivente nella forma dell’opposizione polare o di distruggerla. L’essere è quindi bilaterale, non unilaterale come una certa visione della modernità, quando annulla un opposto nell’altro e confonde gli opposti con i contraddittori.
Questo fondamento ideale, che ne avrebbe influenzato anche l’impegno civile di opposizione al nazismo e la vocazione di uomo europeo, dà forma all’intera elaborazione teorica del pensatore italo-tedesco, «espressione … delle istanze primarie della vita dove le ragioni biografiche si potenziano e si intrecciano vivendo i problemi, scoprendone la pruridimensionalità e la conseguente necessità di un intervento concreto dialogante senza posizioni riduttive e dogmatiche». (M. Castellana, Romano Guardini: un cuore pensante della polarità)
L’amico Josef Weiger, ammirato e commosso, ricorda nei suoi Ricordi del 1952 «una discussione da studente in cui lui ha coniato una splendida parola che non ho mai dimenticato e che mi è apparsa vera innumerevoli volte: la verità è polifonica. Questo potrebbe essere il motto dell’opera della sua vita».
La riflessione sulla modernità e sul potere
L’ordinazione sacerdotale di Guardini avvenne nel 1910 e nel 1911, superando la contrarietà della famiglia, decideva di assumere la cittadinanza tedesca, considerando irreversibile nella sua formazione culturale la patria d’elezione.
La vita, l’opera, l’impegno culturale di Guardini formarono da allora la coscienza civile e religiosa di intere generazioni in Germania e in Europa, in particolare durante il nazismo. Egli fu tra gli ispiratori del movimento La Rosa Bianca.
La riflessione non solo teologica ma sulla modernità, sul potere e sull’Europa ne avrebbero fatto uno dei pensatori più originali del Novecento.
Aperto alle novità dell’epoca moderna ma cosciente dei limiti di una civiltà che, perdendo le proprie radici fondanti, può arrivare alla propria autodistruzione, ha approfondito i caratteri costitutivi delle epoche storiche che si sono succedute nella vicenda umana: dall’antichità classica al Medioevo e all’età moderna l’uomo, progressivamente, ha perso il senso della dipendenza per assumere quello della personalità capace anche di dominare con il potere della scienza la natura.
Oggi è l’epoca della società di massa, nella quale l’uomo è soggetto di funzioni determinate dalla tecnica e dalla pianificazione – qualcosa che non è più alla portata dell’esperienza ma in quella della conoscenza – ma è anche «persona finita, che come tale esiste, anche quando non lo voglia, anche quando rinneghi la propria natura … Persona che ha la stupenda e terribile libertà di conservare o di distruggere il mondo, e persino di affermare e realizzare sé stessa o di abbandonarsi e perdersi». (R. Guardini, La fine dell’epoca moderna)
La questione dell’uomo contemporaneo è quindi quella, decisiva, di avere potere sul proprio potere, la questione, come scrive nel saggio La fine dell’epoca moderna, di «una etica dell’uso della potenza».
Europa, compito e destino
E, nella particolare attenzione dedicata al ruolo del nostro continente nel contesto mondiale, si rivelano, fin dall’inizio dell’esperienza di educatore in Germania, nell’affrontare il tema del rapporto tra dimensione nazionale ed Europa – appartenendo egli a due patrie, due mondi culturali e spirituali differenti, ora alleati ora in conflitto – il compito e il destino dell’uomo europeo contemporaneo.
Per Guardini «l’immagine europea dell’uomo è determinata nel modo più profondo dal cristianesimo», quella radice della libertà fondamento dell’Occidente che verrà negata nel primo dopoguerra dalla costruzione neopagana e anticristica dello Stato nazionalsocialista.
Passando in esame la storia, la cultura e i valori europei, egli sottolinea l’importanza vitale di preservare le radici spirituali e morali del continente e avverte che la perdita di queste radici porterebbe inevitabilmente a una crisi di identità e significato per l’Europa.
L’Europa è il continente cui è affidato il compito: «Essa ha avuto tempo per perdere le illusioni. … all’Europa autentica è estraneo l’ottimismo assoluto, la fede nel progresso universale e necessario. I valori del passato sono ancora in essa così viventi che le permettono di sentire che cosa sta in gioco. Essa ha già visto rovinare tanto di irrecuperabile; è stata colpevole di tante lunghe guerre omicide, da essere capace di sentire le possibilità creatrici, ma anche il rischio, anzi la tragedia dell’umana esistenza. Nella sua coscienza c’è certamente la forma mitica di Prometeo, che porta via il fuoco dall’Olimpo, ma anche quella di Icaro, le cui ali non resistono alla vicinanza del Sole e che precipita giù. Conosce le irruzioni della conoscenza e della conquista, ma in fondo non crede né a garanzie per il cammino della storia, né a utopie sull’universale felicità del mondo. …
L’Europa ha creato l’età moderna; ma ha tenuto ferma la connessione col passato. Perciò sul suo volto, accanto ai tratti della creatività, sono segnati quelli di una millenaria esperienza. Il compito riservatole, io penso, non consiste nell’accrescere la potenza che viene dalla scienza e dalla tecnica – benché naturalmente farà anche questo – ma nel domare questa potenza. L’Europa ha prodotto l’idea della libertà – dell’uomo come della sua opera -; ad essa soprattutto incomberà, nella sollecitudine per l’umanità dell’uomo, pervenire alla libertà anche di fronte alla sua opera.» (R. Guardini, Europa. Realtà e Compito, discorso per il conferimento del Praemium Erasmianum a Bruxelles il 26 aprile 1962)
Ma se la verità è l’interpretazione della realtà considerando la totalità dei fattori, segno di una visione aperta e non integralista, questo vale per ogni ambito: «Guardini elabora la sua teoria come risposta ai problemi del suo tempo, negli anni ’10-’20, ma il risultato è un modello che trascende il contesto storico di allora. Quando l’autore, nel 1964, a quattro anni dalla sua morte, vorrà segnalare i motivi dell’attualità del suo lavoro giovanile ne indicherà tre: l’aver offerto un “principio strutturale” dell’intera realtà; la valorizzazione del ruolo femminile rispetto all’ingiusto predominio del polo maschile; la fondamentale distinzione tra opposizione e contraddizione contro i monismi e i panteismi romantici.» (M. Borghesi, Romano Guardini. Antinomia della vita e conoscenza affettiva)
E non deve sorprendere, considerando l’uomo, che una tale apertura fosse presente fin dal 1923, all’inizio della sua avventura di docente, come testimonia il brano seguente: «La coscienza di popolo sembra subire una trasformazione. Quella nuova, in ascesa, sembra distinguersi dalla precedente “coscienza nazionale”. [… ] Il popolo si libera dall’individualismo. Si afferma risolutamente, ma al tempo stesso si inserisce in un tutto più elevato. Così per i popoli sembra nascere una coscienza di unità occidentale. Nelle anime sembra diventare viva la volontà di giungere ad una comunità spirituale europea. La volontà esistenziale sembra dilatarsi, non sentir più come sufficiente una comunità di popolo che escluda gli altri popoli. Essa esige un più altro grado di vitalità, vuole un livello comunitario di maggiore ampiezza e di più vasta possibilità». (R. Guardini, Formazione liturgica)
Immagine di apertura: Guardini tra i giovani nei giardini del castello di Rothenfels, in Baviera, negli anni Venti, Wikimedia Commons