L’obiezione di coscienza ha una lunga tradizione storica che affonda le sue radici nel rifiuto di alcuni cattolici di prendere le armi e servire il re o l’imperatore uccidendo. Da allora molto tempo è passato e ai nostri giorni il caso più emblematico fu quello del rifiuto di prestare servizio militare ma prima della riforma in tema (la prima quella della legge Marcora) chi obiettava veniva processato e condannato, cioè si assumeva la responsabilità di disobbedire a una legge dello Stato pagandone le conseguenze. Il primo processo penale di notevole risonanza fu quello a Pietro Pinna, svoltosi nel 1949. Pietro Pinna, che si appellava semplicemente ai principi della non violenza, fu condannato a 10 mesi di reclusione con il beneficio della condizionale da parte del Tribunale militare di Torino, poi a otto mesi da quello di Napoli. La notorietà che assunse il caso Pinna portò alla prima presentazione del progetto di legge relativo al riconoscimento dell’obiezione di coscienza da parte di Umberto Calosso, deputato del PSDI, e Igino Giordani, parlamentare della DC. Cominciò un dibattito ventennale – non privo di asprezze, polemiche e accuse di viltà, scarso patriottismo e alto tradimento – sull’obiezione di coscienza, che si concluse con il suo riconoscimento nel 1972. Si passò poi al riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza con la sostituzione del servizio militare con il servizio civile ad opera soprattutto della LOC e del Partito Radicale.
E ora veniamo al tema dell’aborto che prevede per legge appunto la possibilità di esercitare l’obiezione di coscienza da parte dei sanitari. Con l’introduzione della legge 194 viene riconosciuto il diritto del sanitario di obiettare e di non eseguire interventi abortivi ma la stessa legge impone al Servizio Sanitario Nazionale l’obbligo di sostituire i medici obiettori con altri sanitari in modo da garantire su tutto il territorio nazionale il pieno esercizio del diritto ad abortire. All’ospedale civile dell’Annunziata di Cosenza, in Calabria, i ginecologi sono tutti obiettori di coscienza. Nell’ospedale calabrese l’interruzione di gravidanza è possibile solo due volte alla settimana quando è presente il medico “a gettone” che pratica l’IVG. “A più di sei mesi dalle dimissioni dell’unico ginecologo non obiettore dell’Annunziata, il servizio è ancora carente e procede a singhiozzo. Ma questo non è l’unico caso e va detto che il 65% dei medici si è dichiarato obiettore. Tuttavia il report “Mai dati” dell’associazione Luca Coscioni, curato da Chiara Lalli e Sonia Montegiove, chiarisce che la situazione in alcune zone del paese è ancora peggiore, perché i dati della relazione ministeriale non sono aggiornati. Secondo il report, in Italia sarebbero 72 gli ospedali che hanno tra l’80 e il 100 per cento di obiettori di coscienza tra il personale sanitario; ventidue gli ospedali e quattro i consultori con il 100 per cento di obiettori tra tutto il personale sanitario, 18 gli ospedali con il 100 per cento di ginecologi obiettori e infine 46 le strutture che hanno una percentuale di obiettori superiore all’80 per cento. In Molise solo l’ospedale di Campobasso pratica l’aborto con un solo medico che non è potuto andare in pensione perché nessuno lo sostituisce. Ora vorrei sottolineare con forza che lo Stato ad oggi non assicura un servizio sanitario così importante e delicato per motivi di convenienza e ancor più per motivi religiosi confermando ancora una volta il potere della Chiesa sullo Stato e consentendo dolore a molte donne in una materia così delicata.