Utopia significa letteralmente “da nessuna parte”. Tuttavia, il pensiero e la pratica utopica in realtà indicano invece un “da qualche parte”, un’espressione tangibile e definibile del “nulla”. Questa idea di “nulla” viene spesso presentata con un’immagine speculare positiva (utopia) o un’immagine deliberatamente distorta e negativa di realtà futuribili (distopia o antiutopia). L’idea di Utopia vanta una consolidata tradizione filosofica (Platone, Tommaso Moro) ma nella dilagante visione contemporanea del “qui e ora”, con le crescenti preoccupazioni sulla crisi ambientale globale, sul cambiamento climatico e sui conflitti internazionali, la visione utopica del futuro, in quanto visione positiva, viene gradualmente smantellata, dissolta o disillusa per lasciare spazio solo alla “distopia”. La fine dell’utopia è, tuttavia, forse prematura: proprio di fronte alle drammatiche sfide del presente emerge la forza del pensiero utopico come opzione per sviluppare la capacità di immaginare un futuro che si discosti significativamente da ciò che sappiamo essere una condizione generale e consolidata nel presente. In questa prospettiva l’Utopia diviene prima di tutto un approccio mentale, un way of thinking, per superare le barriere della “convenzione”, per spostarsi all’interno di una sfera dell’immaginazione in cui molte cose al di là della nostra esperienza quotidiana possono diventare fattibili. Questa capacità che è sostanzialmente inerente alla stessa natura umana, dato che gli esseri umani hanno un’idea del futuro nei confronti del quale si sentono sempre inadeguati e disarmati. Oggi più che mai abbiamo bisogno di un’immaginazione costruttiva che possiamo usare, nella scienza, nell’innovazione, nella cultura o nell’arte, per creare mondi possibili e futuri alternativi possibili.
L’impulso utopico Il pensiero utopico si fonda su due momenti inestricabilmente connessi: la critica e la visione costruttiva. La critica si rivolge ad alcuni aspetti della nostra condizione attuale che fondamentalmente devono essere ripensati perché considerati negativi: ad esempio le ingiustizie sociali, il cambiamento climatico o la devastazione ecologica. Dato che queste negatività devono essere corrette, il pensiero utopico ha bisogno dell’immaginazione per delineare quelle proposte che ci avvicinino a quel mondo che considereremmo “migliore”. Attraverso questa elaborazione si passa alla visione costruttiva dove, integrando ad esempio la sfera della scienza e della filosofia, si generano opzioni, scelte, prospettive, approcci alternativi che, essendo connessi ad un’idea di futuro, fungono da perno per la riflessione e il confronto. Critica e visione costruttiva, con l’integrazione di differenti domini del pensiero, fanno sì che l’Utopia non si ponga come un esercizio di fantasia o come mera fantascienza: essa diviene semmai una componente autentica attorno a cui si possono costruire futuri sviluppi politici, economici, sociali, scientifici e tecnologici. Per questo motivo il pensiero utopico, proprio perché capace di delineare futuri possibili, deve tener conto delle limitazioni materiali/immateriali per potersi trasformare in un’azione concreta potenziale: limiti nella disponibilità di risorse, di conoscenze o di tempo. La consapevolezza di queste limitazioni non è però un ostacolo alla possibilità di immaginare una traiettoria per un futuro “altro”, quanto un presupposto per tradurre i costrutti utopici in elementi concreti in grado di rendere manifesta la visione che essi incarnano.
Utopia come metodo Utopia è prima di tutto un way of thinking: pertanto uno dei presupposti per lo sviluppo del pensiero utopico è la creazione di un substrato culturale individuale e collettivo condiviso all’interno di comunità ampie. Maggiore è l’accesso alla conoscenza in modo equo e giusto tra le varie componenti di una popolazione, evitando così la diffusione di gap nell’accesso e uso della conoscenza (basati sul genere, origine etnica, reddito, posizione sociale, ecc.), maggiore è la possibilità che l’idea di Utopia diventi prima di tutto comprensibile. È più semplice ipotizzare un futuro distopico semplicemente esasperando i caratteri più negativi del presente piuttosto che immaginare un futuro utopico che rappresenti una soluzione di continuità con questi aspetti negativi del presente. Se quindi creatività e immaginazione sono i perni dell’Utopia in quanto metodo, si rende necessario il superamento delle “disuguaglianze cognitive” e una crescente e condivisa “comprensione” pubblica della scienza con una parallela comprensione degli impatti della scienza e della tecnologia, in senso molto ampio, sugli individui e sulla società nel suo complesso. Questa comprensione è quindi il presupposto per una rottura costruttiva di schemi consolidati, per una certa fluidità di pensiero, per una propensione a sviluppare un’adeguata flessibilità di fronte alle caratteristiche del proprio contesto. In questo modo si può sviluppare una capacità di generare “idee inusuali” che vanno dalla facoltà di vedere problemi e obiettivi in modo originale e diverso dal cosiddetto senso comune fino allo sviluppo di prospettive di analisi insolite e all’inclinazione a strutturare elementi noti in modo del tutto nuovo. È necessario quindi stimolare delle “attitudini” all’Utopia ovvero: • inclinazione all’ideazione; • tendenza a non fare valutazioni critiche premature verso idee nuove; • inclinazione ad accettare idee nuove e a non respingerle in via pregiudiziale; • tendenza a considerare con interesse il pensiero creativo e utopico anche quando può apparire insolito. La presenza di queste attitudini genera un atteggiamento decisamente più positivo nei confronti delle alternative e solitamente, maggiore è il numero delle alternative, maggiore è la possibilità di sviluppare visioni costruttive per il futuro.
Scienza e Utopia Il progresso della ricerca scientifica è attualmente considerato in primo luogo come un elemento strategico nel sostenere la crescita economica e sociale a tutti i livelli della società. Le tecnologie risultanti da questo progresso oggi hanno una centralità senza pari nella vita quotidiana dei cittadini, ad esempio nel campo medico, farmaceutico, del benessere o nella dimensione digitale. D’altra parte, questa stessa immagine genera atteggiamenti contraddittori e ambivalenti nell’opinione pubblica, principalmente a causa della complessità dei processi tecnologici e innovativi coinvolti. Il rapporto tra scienza e società rappresenta quindi un nodo critico, considerando il crescente scetticismo pubblico sui benefici dell’innovazione scientifica e tecnologica e una sempre più diffusa convinzione che il progresso scientifico non sempre cammina di pari passo con il progresso sociale. Inoltre, i costi e i benefici dell’innovazione non sempre vengono distribuiti in modo uniforme tra gruppi sociali, generi e territori. Migliorare e accrescere la consapevolezza del pubblico significa migliorare la trasparenza e la responsabilità nella produzione e nell’uso delle conoscenze scientifiche nonché contribuire allo sviluppo di un ambiente cognitivo e intellettuale in cui le persone siano incoraggiate anche a condividere e portare il loro know-how e le loro capacità alla risoluzione di problemi comuni. Diffondere la conoscenza implica anche il riconoscimento che non solo l’industria e il mondo del business ma anche la società civile nel suo complesso presenta una domanda e dei bisogni di ricerca: non solo un flusso di conoscenza dall’alto verso il basso, dalla scienza alla società, ma anche dalla società alla scienza. Questo secondo livello è un contributo fondamentale per comprendere meglio le aspettative potenziali della società nei confronti della ricerca e dell’innovazione, volte a promuovere la progettazione della ricerca e l’innovazione inclusiva e sostenibile per il futuro. Questo significa riconoscere che: • la conoscenza è sempre più generata in contesti fondamentalmente applicativi (la scienza tende a diventare sempre più scienza “applicata”); • la scienza è sempre più transdisciplinare, cioè attinge e integra componenti empiriche e teoriche da una gamma più ampia di campi; • la conoscenza è generata in una varietà di luoghi sempre più ampia, non solo nelle università e nell’industria, ma anche in altri tipi di generatori e hub di conoscenza; • gli operatori della scienza sono diventati più consapevoli delle implicazioni sociali del loro lavoro (in modo più “riflessivo”), perché l’opinione pubblica è diventata più consapevole dei modi in cui la scienza e la tecnologia influenzano i loro interessi e valori.
Conclusioni Il realismo è, senza dubbio, il peggior nemico dell’Utopia. Indubbiamente è innegabile che in particolare la scienza deve fare costantemente i conti con il realismo per evitare il rischio di finire nell’idealismo o nella metafisica fine a sé stessa. Questo non significa però che l’Utopia, in quanto visione, approccio e metodo, debba scomparire dall’orizzonte del pensiero a vantaggio della distopia nonostante i foschi segnali di un futuro sconfortante che si sta delineando per l’umanità. Al contrario, il pensiero utopico, con il supporto della scienza e della tecnologia, può apparire come un percorso utile a contrastare le spinte ad anestetizzare ogni tipo di creatività, pensiero critico e ingegno umano, soprattutto in vista della creazione di un mondo migliore o almeno alternativo. Oggi viviamo in una realtà del tutto priva dello spirito utopico, con la progressiva scomparsa dell’elemento utopico dal pensiero e dall’azione umana. Tuttavia, se Utopia, Scienza e Creatività possono integrarsi all’interno di una visione unitaria, allora si potrebbero generare dei preziosi contributi al superamento dell’idea di destino cieco e irreversibile, restituendo all’umanità la possibilità di plasmare la storia e decidere positivamente del proprio futuro.