Garantire il diritto universale all’acqua e salvaguardare l’acqua come bene comune pubblico della vita – così come altri diritti e beni pubblici mondiali – richiede una trasformazione radicale dell’attuale sistema dominante, sempre più improntato ai valori di un capitalismo di mercato predatorio e bellicoso, fonte di disuguaglianze e d esclusioni mondiali.
Questa è la conclusione generale del seminario di lavoro “Chi finanzierà i beni comuni pubblici mondiali negli anni a venire? Focus sull’acqua e il diritto all’acqua”, organizzato dall’ Agorà degli Abitanti della Terra e dalla Coordination Eau de France, nell’ambito della conferenza European Common Space for the Alternatives, tenutasi a Marsiglia dal 26 al 28 aprile.
Al centro di questa conclusione ci sono quattro obiettivi principali, evidenziati dal seminario come elementi chiave delle trasformazioni strutturali che devono essere realizzate:
1. I diritti “universali” alla vita, compreso il diritto all’acqua, non sono negoziabili. Non esiste insolvenza quando si parla di diritti. Non possiamo accettare che i “diritti” alla vita siano condizionati finanziariamente e soggetti alla logica del dominio del più forte.
2. Non mancano la tecnologia e la finanza, che vanno pensate, prodotte e utilizzate come strumenti per raggiungere gli obiettivi della sicurezza collettiva e individuale dell’esistenza, della salute e del benessere di tutti gli abitanti della terra (compresi ovviamente piante e animali), della pace.
3. Ciò di cui le nostre società hanno drammaticamente bisogno è la responsabilità, la cura comune per la vita, la solidarietà, in e attraverso una democrazia effettiva. Il potere di decidere sul mondo, sulle sue agende prioritarie e sulle scelte per il futuro non deve più essere nelle mani dei predatori e delle loro attività distruttive. Questa è la sfida fondamentale della democrazia reale a livello locale, nelle comunità umane , negli Stati e su scala planetaria.
4. L’educazione alla vita, compresa l’educazione ai beni comuni pubblici globali, alla conoscenza e ai saperi su cui si costruisce il futuro della e per la vita, deve essere liberata dallo spirito di competitività per la sopravvivenza e dall’asservimento agli “imperativi” tecnologici e finanziari.
Per mancanza di spazio, questo articolo tratta solo il primo obiettivo, riservando la trattazione degli altri obiettivi agli articoli in preparazione.
La realizzazione dei diritti umani e sociali universali non rientra nella sfera delle relazioni mercantili
Contrariamente alla prassi imposta e legalizzata dalle forze dominanti negli ultimi 40 anni, i diritti alla vita, solennemente proclamati nel 1948 dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, non fanno parte delle relazioni commerciali tra esseri umani. Non sono negoziabili tra produttori/venditori e utenti/acquirenti, come se fossero un’automobile o un iPhone.
Il diritto all’acqua esiste perché noi esistiamo. Lo stesso vale per gli animali e le piante. È un bene vitale “naturale”. Nessuno può esserne escluso. È un obbligo a cui nessuno Stato può sottrarsi, altrimenti commette un atto criminale. Anche il diritto internazionale di guerra stabilisce che rifiutare di fornire acqua potabile ai prigionieri è un crimine. Tuttavia, sempre più impregnate di una cultura economica di mercato capitalista, le autorità politiche pubbliche del mondo occidentale hanno accettato che anche i costi monetari associati alla produzione e alla distribuzione dell’acqua potabile (compresi i servizi igienico-sanitari) debbano essere coperti direttamente dai “consumatori”, e non più dalla comunità/Stato. A tal fine, hanno stabilito che il prezzo da pagare per l’accesso all’acqua debba essere fissato, come per qualsiasi altro bene, secondo il principio capitalistico del recupero da parte del produttore/distributore dei costi totali (compresa la remunerazione del capitale investito, cioè il profitto).
I diritti sono diventati finanziariamente condizionati. Siamo entrati nel mondo della solvibilità. Una tariffa sociale non è un rimedio.
Il mancato pagamento del prezzo comporta l’interruzione dell’acqua. In altre parole, i cittadini che diventano insolventi cessano di essere titolari del diritto all’acqua. Di fronte alle proteste contro questa negazione del diritto, più di vent’anni di lotte socio-economiche e politiche e diverse sentenze di tribunali civili che hanno denunciato l’illegalità dei tagli, le autorità pubbliche sono state costrette a cambiare la loro politica. Hanno pensato di fare la cosa giusta introducendo tariffe sociali per le persone a basso reddito, i “poveri”. Lungi dal risolvere il problema, lo hanno semplicemente spostato. Dal regno dei diritti, lo hanno trasferito nel regno della pietà, della compassione collettiva, dell’aiuto. Ciò significa che il diritto all’acqua non è più parte integrante della “sicurezza sociale”, ma ancora una volta, come in passato, fa parte delle “opere sociali” dei “benefattori”, dell’“assistenza sociale”.
Nelle società ricche, cosiddette “sviluppate”, i “poveri” cessano di essere cittadini in virtù della loro insolvenza. Questa caratteristica appartiene ai “ricchi” che, essendo solvibili, hanno accesso al diritto. Così si è portati a credere che nelle nostre società la questione del diritto alla vita sia soprattutto una questione di gestione delle disuguaglianze basata sull’aiuto da “chi ha avuto successo” a “chi ha fallito”! Questo non è solo ingiusto, è palesemente falso.
Un’altra tariffazione. L’esempio di Lione
Un altro sistema di tariffazione, almeno più giusto, è quello recentemente adottato dall’area metropolitana di Lione. Nel 2023, i leader politici di Lione hanno deciso di passare a un sistema a gestione pubblica e hanno creato la società “L’eau publique du Grand Lyon” (1,4 milioni di abitanti serviti). Un cambiamento davvero storico (sì, è possibile!) se si pensa che l’acqua a Lione è stata gestita per più di un secolo e mezzo dalla potente Lyonnaise des Eaux che, insieme alla Générale des Eaux di Parigi, ha segnato la storia della gestione dell’acqua in Francia e nel mondo, basata su un modello privatizzato, mercantile, e tecnocratico. Lyonnaise des Eaux e Société Générale de l’Eau sono state le punte di diamante di Suez e Veolia, che nel corso degli anni sono diventate le due principali società di servizi idrici al mondo. In linea con questo cambiamento, i leader politici lionesi hanno adottato un sistema di tariffazione in base al quale la prima rata di utilizzo dell’acqua, corrispondente a 12 m³ per famiglia abbonata, significa ricevere gratuitamente 30 litri al giorno per persona, cioè più della metà dei 50 litri al giorno per persona considerati dalle agenzie specializzate dell’ONU come quantità sufficiente a definire il diritto all’acqua.
A quando la gratuita? Oltre la “nuova” definizione del diritto all’acqua da parte dei poteri dominanti
L’innovazione di Lione rappresenta un importante passo avanti, dimostrando che, laddove esiste la volontà politica, la gratuità dei diritti ai beni e servizi essenziali per la vita, cioé la presa a carico dei costi connessi da parte della collettività/lo Stato, é economicamente possibili e praticabili. Tuttavia, c’è ancora un ultimo passo da compiere per realizzare il principio della gratuità. Esso consiste nell’abbandono chiaro e preciso della nuova definizione di diritto all’acqua – e ai beni e servizi pubblici essenziali per la vita, come il cibo, la salute, la casa, l’istruzione, i trasporti pubblici, la conoscenza….) – imposta dai dominanti al mondo intero a partire dagli anni Novanta.. Secondo loro , “Diritto all’acqua “significa “accesso all’acqua potabile su base equa e a un prezzo abbordabilel: Questa definizione nega i diritti universali espressi nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Insiste sull’equità, mentre la cultura dei diritti si basa sulla giustizia; specifica che è condizionato al pagamento di un prezzo abbordabile, mentre l’economia dei diritti si basa sull’assunzione di tutti i costi da parte della comunità. La nuova definizione è entrata a far parte del vocabolario ufficiale delle Nazioni Unite ed è stata formalmente inserita nell’Agenda 2030. Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile 2015-2030.
La gratuità è possibile. Sembra che stia tornando in auge….
È quanto sta accadendo negli ultimi anni, in particolare in Francia, nel settore dei trasporti pubblici. Più di 41 comuni/città (tra cui Aubagne, Dunkerque e recentemente Montpellier) hanno reintrodotto il principio della gratuità (parziale o totale, per i residenti della città o anche per chi è di passaggio). Per quanto riguarda le città europee, più di 50 hanno fatto lo stesso passo: da Tallinn in Estonia a Bologna in Italia (quest’ultima è stata la pioniera assoluta nel 1973!) Il governo tedesco ha appena deciso di lanciare un programma nazionale a favore del trasporto pubblico gratuito a partire dal 2025.
Il caso dei trasporti pubblici dimostra anche che la sfida principale della ripubblicizzazione dei beni e dei servizi pubblici risiede principalmente nell’accettazione o meno da parte dei governi (politicamente, culturalmente…) della responsabilità di garantire il diritto all’acqua e ad altri beni e servizi essenziali alla vita per tutti i loro abitanti, attraverso la finanza pubblica. Ciò non potrebbe che essere in linea con la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 28 luglio 2010, che ha formalmente riconosciuto, per la prima volta nella storia dell’umanità, il diritto universale all’acqua potabile e ai servizi igienici come diritto in sé e non più implicitamente come strumento per la realizzazione di altri diritti.
La posta in gioco è alta. In primo luogo, perché ad oggi solo 15 Paesi al mondo hanno inserito il diritto all’acqua nella loro Costituzione, e solo uno di essi, la Slovenia, è europeo. Sono davvero pochi. In secondo luogo, va notato che la risoluzione delle Nazioni Unite è stata approvata da una maggioranza di 142 Stati, con una feroce opposizione da parte di 41 Stati, guidati da Stati Uniti, Regno Unito, Giappone, Russia, 10 altri Stati membri dell’Unione europea dell’epoca e 28 altri Stati. Infine, negli ultimi 40 anni, la stragrande maggioranza dei Paesi ha sistematicamente sviluppato e attuato politiche idriche che negano o riducono chiaramente l’acqua come diritto. Mi riferisco alla mercificazione dell’acqua, alla liberalizzazione e alla deregolamentazione dei mercati dei servizi idrici in base alle regole del mercato unico europeo (1992 e 2006) e della nuova Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) creata nel 1994.Faccioi riferimento anche alla bancarizzazione delle risorse idriche e alla finanziarizzazione dell’acqua da parte della Borsa di Chicago nel 2020 e dell’intero mondo naturale, ridotto a un insieme di “capitali naturali”, da parte della Borsa di New York nel 2021 e sancito dalla COP15-Biodiversità delle Nazioni Unite nel dicembre 2022 a Montreal. (9) In breve, i diritti alla vita, e in particolare all’acqua, sono stati sacrificati sull’altare delle cosiddette “ragioni” economiche e tecnologiche.
Le disposizioni costituzionali e le risoluzioni internazionali hanno poco peso di fronte al potere dei creditori finanziari. È vivo il ricordo del sacrificio dei diritti umani e sociali imposto alla Grecia dalla famigerata troika, composta da rappresentanti dei creditori (UE, BCE e FMI) che non hanno alcuna legittimità elettiva. Il sacrificio sarà sempre ricordato come un esempio paradigmatico di ingiustizia e di predazione dei diritti e dei beni di un intero Paese colpevole di insolvenza. La tragedia globale del debito/indebitamento di quaszi tutti i paesi del mondo ne è, ahimè, una spietata conferma.
Debbono accettare i cittadini di oggi, di fronte all’abdicazione dei poteri politici pubblici, il fatto che non hanno più altra scelta a parte la rivolta sociale, che affidarsi allo strumento della giustiziabilità dei diritti? Certo, si tratta di uno strumento importante ed efficace di azione dei cittadini, finché la magistratura e le sue istituzioni restano ispirate ai valori dello Stato di diritto. Ma non è sufficiente.
Un piccolo appello ai candidati al Parlamento europeo
Un altro futuro dipende dalle scelte politiche e, in una democrazia rappresentativa, dalle scelte fatte dai rappresentanti eletti dal popolo, dai parlamenti. In un anno segnato da numerose elezioni politiche in numerosi paesi importanti del mondo, non è forse responsabilità dei nuovi parlamentari porre fine alla morsa globale della finanza sui diritti e sui beni comuni globali? Come cittadini della Terra che vivono in Europa, possiamo sperare che il nuovo Parlamento europeo operi questa “rivoluzione per la vita”? Se non ora, quando?