In Italia i salari più bassi. Quella che era una sensazione è diventata una terribile realtà: la Penisola ha il primato degli stipendi più bassi delle nazioni occidentali. Più esattamente: i redditi reali del nostro paese sono addirittura inferiori a quelli del 1990. Il Belpaese, secondo un rapporto dell’Ocse (Organizzazione economica per la cooperazione e lo sviluppo) su dati Eurostat, è l’unico paese ad andare addirittura sottozero mentre tutti gli altri hanno visto aumentare i rispettivi redditi reali. Ugo Intini, ex direttore dell’Avanti!, in più articoli ha indicato un elemento ulteriore che aggrava la retrocessione del nostro paese: l’Italia negli anni ’80 aveva un reddito analogo a quello di Francia, Germania e Regno Unito, poi è seguito il collasso.
Del resto un’altra analisi del 2021 di OpenPolis su dati Ocse dava un analogo risultato: in Italia i salari più bassi, quello medio annuale era sceso del 2,9% in termini reali, rispetto al 1990 mentre quello in Germania e in Francia era salito di oltre il 30%. Le retribuzioni medie delle nazioni dell’Europa orientale, una volta nell’orbita dell’Unione Sovietica, si erano e si sono perfino raddoppiate.
Le analisi Ocse e OpenPolis fanno chiarezza sul delicato tema del tracollo delle retribuzioni italiane, del resto la drastica riduzione del potere reale d’acquisto dei salari era ed è una realtà quotidiana. È una bruttissima realtà continuamente verificata facendo la spesa al supermercato o comprando un’auto nuova. Si paga tutto molto più salato per due motivi: l’alta inflazione e un portafoglio sempre più povero. Così i consumi crollano. In molti non riescono più perfino a curarsi dovendo ricorrere alla sanità privata perché quella pubblica ha accessi difficili e lunghe liste di attesa.
Il 1990 è un anno chiave, è il penultimo di stabilità e di sviluppo della Prima Repubblica crollata nel 1992-1993 sotto i micidiali colpi di Tangentopoli. I magistrati di Mani Pulite promisero una nuova era di rigore morale e di sviluppo ma le cose non sono andate così. Sono seguiti 30 anni di disastri.
Il leaderismo e le leggi elettorali maggioritarie per assicurare la governabilità hanno deluso. Ha deluso anche il liberismo. Lo scontro politico si è radicalizzato. Né la Seconda Repubblica nata con le elezioni politiche del 1994 né la Terza affermatasi con le consultazioni del 2018 hanno realizzato le promesse mirabolanti annunciate. Destra, sinistra, populisti, riformisti si sono scontrati considerandosi “nemici” più che “avversari”.
Berlusconi, Fini, Bossi, D’Alema, Veltroni, Prodi hanno dato vita a governi brevi e fragili. Grillo, Conte, Di Maio, Salvini, Renzi, Letta hanno fatto anche peggio. Sono intervenuti i tecnici Dini, Monti e Draghi per guidare governi di grande coalizione. Ora Meloni, alla direzione di un esecutivo di destra centro, è nella stessa situazione: non realizza le impegnative promesse populiste annunciate nelle elezioni del 2022. E alla vigilia del voto europeo di giugno si ripetono gli scandali politici: in Liguria, Piemonte e Puglia. Si muove la magistratura facendo piovere una valanga di accuse di corruzione pubblica a livello regionale.
Da trent’anni si ripetono a valanga gli scandali politici legati a tangenti e al finanziamento illecito alla politica. Nel frattempo le grandi aziende fuggono dall’Italia. La ricerca e l’innovazione sono bloccate. Cresce il precariato, aumenta l’evasione fiscale. Gli stipendi, le pensioni, la sanità, la scuola affondano. La guerra in Ucraina e in Medio Oriente fa aumentare la paura dei cittadini.
In Italia i salari più bassi. Il dato è significativo. Il bilancio di 30 anni dei nuovi partiti è fallimentare. La Prima Repubblica dei grandi partiti democratici di massa, dell’Italia quinto paese industriale del mondo nel 1987, batte la Seconda e Terza dei partiti leaderistici, carismatici, populisti. Si tratta di partiti sempre meno credibili, sempre più leaderistici e populisti. Ma sempre più screditati e meno carismatici.