C’è chi non ci crede, ha il diritto di farlo, ma non può stravolgere la realtà. In Italia la libertà di stampa non gode di buona salute. È colpa del governo di centro destra ? Rispondere si, da un lato è semplicistico, dall’altro vuol dire non andare a fondo di questioni che si sono accavallate, stratificate. Per fortuna il panorama informativo italiano è vasto e non c’è media che non arrivi ai cittadini. Passare, tuttavia, dal 41° al 46° posto nella classifica di Reporters sans frontières, dopo Mauritania, Namibia, Sud Africa, è il segnale più evidente delle condizioni in cui i media di casa nostra lavorano. Già il 41° posto era un castigo universale, arretrare ancora ci incupisce. Cosa consente ai media italiani di sopravvivere davanti alla proliferazione di migliaia di strumenti simil-informativi ? Le aziende editoriali vivono di introiti pubblicitari, di finanziamenti pubblici, di vendite, di ascolti, di click e, non ultimo, della costante riduzione dei costi. Tagliare i costi per un giornale equivale ad abbassare la qualità del prodotto, ma tant’è.
In altra occasione abbiamo scritto qui, di quanto il potere politico sia interessato a questi aspetti che coinvolgono vieppiù i giornalisti. La separazione tra chi fa informazione (professionale) e chi no (blogger, influencer, ecc) non è più percepita dal pubblico. Si sta come in una giostra con lucine e attrazioni che girano, luccicano, salgono, scendono, senza sosta. Un impazzimento di news, talk show, post, video, polemiche, minacce incontrollate. Per questo è auspicabile che si aprano quante più sedi possibili – Associazioni, circoli, Fondazioni- per comprendere i pericoli della disinformazione. Per affrontare la melassa indistinta di veline, articoli civetta, false inchieste, copia e incolla.
Diciamo chiaro che ci sono giornalisti che si prestano al gioco della velina, della fonte taroccata, del miserevole do ut des. Lo fanno per incauta celebrità, per vanagloria in competizione con il confidente. È un punto di discussione. Quasi allo stesso modo, ci sono giornalisti-editori di se stessi, laddove sfugge la differenza di ruolo, tra il pensare a non fallire e l’informare liberamente. Si può essere editori di se stessi, averne la forza, ma senza ipocrisia e avendo rispetto solo per il lettore. “La maggior parte dei giornalisti italiani gode di un clima di libertà. Ma a volte cedono all’autocensura, sia per conformarsi alla linea editoriale della loro testata, sia per evitare una causa per diffamazione o altre forme di azione legale” si legge nel Rapporto 2024 di Reporter.
Torniamo, allora, alla domanda iniziale: cosa c’entra la destra oggi al potere in Italia, con tutto questo ? La risposta è: il clima sociale e politico che costruisce giorno dopo giorno. Un milieu dove la dialettica politica ed economica diventa uno scarto della democrazia. Un clima nel quale la premier, piuttosto che rispondere alle domande dei giornalisti, registra video che fa passare come informazione. Un clima dove si selezionano le testate “in condizioni di intervistare” la premier medesima, ministri e leader. Un clima dove si adottano provvedimenti che contrastano con il diritto dei cittadini a conoscere i fatti e che cercano di annullare anni di lotte per trasparenza, accesso agli atti, libertà di esposizione. Un clima, infine, nel quale le querele temerarie sono degne soltanto della più famosa espressione del Marchese del Grillo.
Poi in Parlamento passa una norma secondo la quale non è più possibile pubblicare il testo delle ordinanze di custodia cautelare: divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza fino al termine dell’udienza preliminare. Scatta un arresto, ma fino al processo non si possono divulgare i perché dell’arresto e le prove. Il cittadino non deve sapere e via a sostegno del bavaglio, con la lista degli imputati eccellenti “distrutti dalla stampa “. Sul campo ci sono i cronisti ? E vai con giustizia a orologeria, Tangentopoli, Calciopoli, trattativa Stato- Mafia, Berlusconi, Mannino assolto, Renzi assolto, … una formidabile batteria anticronisti nelle mani di un rabbioso deus. Non si fa domande, chiede il conto. È lecito ricordare qualcosa almeno in un ambito ? Come avremmo scoperto i disastri ambientali, le morti, le Terre dei fuochi, le ecomafie, i veleni di Seveso, dell’Ilva di Taranto, i fanghi rossi Montedison, le nubi tossiche, moribondi per amianto, i denari sottratti alle casse dello Stato e via discorrendo, se non avessimo fatto nomi e cognomi ? Ci sono (ci sono sempre stati) magistrati, politici, dirigenti, banchieri, industriali, Agency, che passano (vendono) notizie. Persino i gerarchi fascisti avevano redattori amici. I cronisti vanno alle fonti vere, sentono persone di ogni orientamento, studiano documenti, per fare del buon giornalismo. Non bastavano vicende complesse politiche, economiche, sanitarie, i condizionamenti delle organizzazioni criminali, di lobby e consorterie a pesare sul lavoro dei giornalisti, ci voleva anche una stagione di controriforme per farci sentire il venticello della censura. Si, la parola terrorizza, ma senza libertà di informazione, diritto di replica, difesa giudiziaria e mediatica, autodifesa, si spalanchiamo le porte alla censura! Dove vogliamo arrivare ?
Il voto popolare ha premiato Giorgia Meloni e la coalizione a sostegno: è un fatto. C’è qualcuno che ritiene che non ne abbiamo preso atto ? Ma dopo quel mandato è iniziata una partita mai vista prima. Modificare quel clima di cui si diceva, renderebbe la destra stessa meno paurosa e ambigua nel rapporto con i cittadini. La metterebbe dinanzi al dovere di tutelare tutte le voci, obbligandola a fare una scelta di campo precisa nell’interesse di chi la ritiene in grado di guidare un paese grande come l’Italia. Essere contro è un’altra cosa. Ma finché quel clima non cambierà vuol dire che chi ha vinto teme la libera stampa, la circolazione delle idee e il racconto dei fatti. La stampa, nonostante limiti e difetti, continuerà a battersi per difendere un principio irrinunciabile della democrazia.