Pietro Ragni, nato a Taranto nel ’58 è sposato con Loreta, padre di Ilaria e nonno di Edoardo; vive, da quasi 50 anni, a Roma, dove si laureò in Fisica. Ha insegnato elettronica a scuola, fisica all’università, poi è stato ricercatore, esperto di radioprotezione, ora è dirigente tecnologico al CNR e direttore di un Consorzio interuniversitario. Ha coordinato vari progetti di ricerca e di formazione ed è valutatore per le Agenzie nazionali di Erasmus Plus.
Come mai scrivi poesie, da quando lo fai?
La prima poesia che scrissi è del 1971, avevo tredici anni. Lo so perché durante il lockdown, avendo un po’ di tempo libero, sono andato, per la prima volta, dopo cinquant’anni, a rileggere tutte le poesie giovanili. Per fortuna, avendo una pessima calligrafia, le avevo battute a macchina fino a quando non ho potuto disporre di un pc. Ho pure scoperto, con infinita tenerezza, che mia mamma le aveva lette e in alcuni casi aveva fatto piccole aggiunte o modifiche. Il bello è stato che da una parte ho rivissuto, tramite quei testi, il diario della mia vita di adolescente e poi di giovane uomo, dall’altra mi sono reso conto che alcune poesie erano belle e ancora valide.
A prescindere da questo ritrovamento “archeologico”, continuo tuttora a scrivere poesie. È per me un bisogno primario, un impulso che nasce da pensieri sorti durante il giorno, da ricordi, da brandelli di sogni, da scorci di chiacchierate, da concetti letti in nuovi libri. Appena posso, ovunque mi trovo scrivo; a volte l’ho dovuto fare su sottobicchieri, su biglietti del bus, anche su scontrini d’acquisto. Poi ci sarà da fare un’operazione di rilettura, correzioni, attenzione alla punteggiatura, nuove correzioni. Quasi mai il testo resta come è nato; voglio alla fine raggiungere l’obiettivo più importante: ottenere un testo che possa dire qualcosa di non banale all’eventuale lettore, un messaggio che viaggerà nel tempo e nello spazio per giungere nelle mani di chi forse potrà apprezzarlo.
Quali sono i poeti e gli scrittori a cui ti ispiri?
Mi fai una domanda cui mi è difficile rispondere con immediatezza. Mi piace leggere cose diverse, ho una biblioteca di migliaia di libri di cui sono molto orgoglioso (il 90% letti). Direi che da ragazzo mi colpirono molto gli ermetici, mi sembrava fossero più veri nelle emozioni che trasmettevano, liberi dagli stilemi del passato, immediati. Pensa che per l’esame al liceo scrissi una tesina su Montale, che aveva appena ricevuto il Nobel. Seconda grande sorgente di ispirazione fu la Beat generation, grazie alle bellissime traduzioni della Pivano (colei che ci fece conoscere anche Spoon River) di Allen Ginsberg, Jack Kerouac e degli altri. Ho avuto la fortuna di essere adolescente in anni bellissimi, ma anche di avere tante sollecitazioni culturali in famiglia e nella scuola. Ora spesso scrivo ispirato non solo dai libri, ma anche dalla natura, dalla filosofia, anche dai principi fisici che si riverberano sulla vita quotidiana.
Florilegio è il tuo primo libro pubblicato?
In ambito scientifico e formativo ho scritto o curato numerosi libri e decine di articoli scientifici o di divulgazione, ma non avevo mai pubblicato per il pubblico un libro di poesie.
In passato avevo già fatto stampare, privatamente, da un amico tipografo, una ventina di copie di quattro libri di poesie; nel 2021 ha stampato per me altri due libretti con le poesie giovanili, sempre in poche copie per amici e parenti. Nel frattempo ho iniziato a collaborare con TUTTI Europa ventitrenta, condividendo la sua rinascita a fine 2020 ed ho pubblicato alcune delle mie poesie più recenti.
Devo proprio ringraziare, con tanto affetto, te se sono arrivato a pubblicare Florilegio. Ti piacquero alcune mie poesie su TUTTI e ne parlasti con Monica Di Leandro, la proprietaria dell’omonima casa editrice. Ci incontrammo ed entrambe mi incoraggiaste a scegliere alcune delle migliori fra le mie poesie (ecco perché il titolo) per articolare un libro. Dopo un po’ di traversie ora è nato il mio primo libro di poesie ed è stato presentato al Salone del libro di Torino 2024, proprio in queste settimane.
Come hai organizzato le poesie che hai riportato in questo tuo primo libro?
Sono sincero nel dire che non ci avevo pensato a lungo, le avevo suddivise in gruppi per qualche colleganza, avevo fatto lo stesso con i libri per gli amici. Ex post mi sono reso conto che la partizione in Florilegio corrisponde ad una mia personale convinzione. Penso che tre siano gli eventi che rendono bella la vita e degna di essere vissuta: l’amore, la bellezza e la conoscenza.
L’amore per me si traduce in volere il bene ad una persona e desiderare la sua compagnia (in alcuni casi anche sessuale); in questo ambito sono nate le poesie raccolte in “Parole Sussurrate”, dedicate a donne amiche o amate e poi a mia moglie e, dopo ancora, a mia figlia. La bellezza per me è offerta dalla natura e da alcune opere dell’uomo; in “Istantanee” vi sono i versi ispirati da questi grandi doni, ad iniziare dall’incontro con il mare. Per la conoscenza il discorso è più complesso; ogni rapporto ci regala qualcosa, la nostra conoscenza aumenta di un poco ogni giorno e lo si deve alla lettura di buoni libri, allo studio professionale, all’esempio e alla testimonianza di persone per noi importanti e agli accadimenti che ci capitano. Ho avuto la fortuna di avvicinarmi a tante sorgenti di conoscenza, prime furono le figure dolcissime ed illuminanti dei miei genitori, poi anche le frasi lette nei libri, i principi fisici studiati, alcuni eventi rilevanti e particolari nel quotidiano vivere. Tutte sono state occasioni per pensare, approfondire e scrivere qualche verso che, illustrando la mia nuova consapevolezza potesse suggerire al lettore nuove idee o volontà di conoscere di più. Queste piccole luci le trovate in “Impulsi vitali” e in “Stati d’animo”.
L’ultima sezione del libro è dedicata all’amico e nemico che ci è affianco dal primo vagito all’ultimo respiro: il tempo. Un oggetto o un luogo, una lapide o una barca o l’insonnia improvvisa ci fanno scoprire più vicino questo alone adimensionale che ci contorna e ci accompagna. Dobbiamo scegliere come comportarci rispetto al suo flusso inarrestabile; non ha senso provare ad ignorarlo.
Se dovessi scegliere una poesia sola per “raccontare” questo primo libro, quale sarebbe?
Mi hai costretto a una veloce rilettura e ad una scelta difficile; molte hanno un forte significato per la mia vita, per quella dei miei cari, alcune mi piacciono in modo particolare. Alla fine ho deciso per la poesia che ha titolo “Fortuna”. La scrissi nel 2002, da poco avevo scoperto i “Carmina Burana” di Orff che mi avevano affascinato ed ispirato per quei versi. Rileggendola mi sembra che tecnicamente è armoniosa, rilucono alcune rime al mezzo ed alcune belle immagini.
Il testo racconta il momento in cui io, come tanti fra noi, decisi che non ha senso rimanere in balia del fato. Nella vita tutto muta, al temporale segue l’arcobaleno, ma è vero anche l’inverso. Per cui bisogna essere artefice della propria vita, bisogna saper dire “Ora non più!”. Si può provare a nascondersi o a fuggire dalla Fortuna, ma invece la svolta arriva quando si decide: “ti affronterò con il mio sorriso e lo sguardo sereno, Fortuna”. La vita cambia allora, è nelle tue mani, puoi far bene o sbagliare, ma sarà tua responsabilità, poi semmai la Fortuna “ti sorriderà”.
Quella della piena consapevolezza del proprio vivere è una decisione difficile, forse azzardata, come anche quella di pubblicare, con le proprie poesie, frammenti di sé stesso e di offrirli anche a persone che non mi conoscono, che non mi conosceranno, se non attraverso i miei versi. Però è giusto così, una gioia per me, un infinitesimo dono per gli eventuali lettori.
Ci sono state prime reazioni?
La prima è stata del carissimo amico tarantino, Paolo Ciocia, che lesse in anteprima il libro e mi scrisse la bella prefazione in cui ha rilevato molte sfaccettature dei miei versi. Amici o parenti hanno letto solo alcune delle poesie, mi ha fatto molto piacere quel che mi disse una di loro: “hai espresso con bellissime parole quello che io sento dentro di me e non sarei riuscita a formulare in quella maniera”. Si riferiva alla poesia “A mia madre”.
Non pochi fra colleghi e collaboratori sono rimasti sorpresi: “un manager, un convinto razionalista come te, scrive anche poesie?” In effetti posso immaginare che chi mi conosce per ragioni professionali non sospetti in me una vena lirica, ma penso che la stessa vena è dentro ciascuno di noi; forse alcuni la ritengono futile, forse se ne vergognano, forse pensano di non avere gli strumenti tecnici opportuni per scrivere. Una carissima collega mi ha scritto: “le ho trovate inaspettate (le poesie); vere anche dal punto di vista tecnico.” Sono sicuro che dentro ciascuno di noi le muse hanno il loro spazio e la loro importanza, anche se non si scrive nulla; cerchiamo di dar loro vita.
Perché, secondo te, ha ancora senso scrivere – e leggere – poesie nel 2024?
Scrivere aiuta a fermare i concetti, a “fotografare” avvenimenti e reazioni emotive. Può essere visto come un esercizio compiuto su sé stesso, per registrare stati d’animo che altrimenti sarebbero persi. In particolare la poesia è un testo relativamente breve che prova a trasmettere con immediatezza uno stato d’animo, una scoperta, una gioia o un dolore. Un concetto simile lo troviamo in Autopsicografia di Pessoa che delinea una bella spiegazione sia della nascita della poesia, sia della sua fruizione; gli haiku giapponesi sono un esempio celebre di poesie-shock che sono usate anche per ragioni terapeutiche. Per cui direi che la poesia, per ciascuno di noi, può essere un aiuto, un incoraggiamento, occasione di svago: è un dono che modifichiamo ed arricchiamo dentro noi stessi ogni volta che leggiamo i suoi bei versi.
Quando scrivo un testo lascio libero corso al mio impulso interno, poi però le mie parole, le mie poesie, non sono più mie: appartengono a chi le legge. Sinceramente penso che ogni lettore di fatto riscrive dentro di sé la poesia che scorre sotto i suoi occhi, ne condivide il contenuto, ritiene che parla per il suo cuore oppure pensa che siano solo gradevoli suoni che saranno persi nel vento. Immagino e mi auguro che non resti indifferente!
In conclusione la mia risposta alla tua domanda è un triplice sì. Scrivere poesie ha senso per chi lo fa, è un gesto quasi necessario, un regalo a sé stesso. Per tutti leggere poesie può essere piacevole e utile, cose nuove imparate, emozioni condivise. Per chi scrive leggere testi di altri è anche necessario per confrontarsi e per imparare; un aiuto a migliorare. Un bel gioco, per il lettore, potrebbe essere quello di scoprire che qualcuno ha scritto esattamente quanto è inconsapevolmente riposto fra le proprie idee ed emozioni.
Cosa ti aspetti per il futuro?
Niente di programmato, nessun obiettivo da raggiungere ad ogni costo. Se le poesie di Florilegio hanno un valore forse lo decideranno i lettori o l’editore o accadimenti inattesi. La mia speranza è che, almeno in qualche lettore, susciteranno un sorriso, un ricordo, un’emozione, una curiosità. Mi auguro di continuare, anche con l’avanzare dell’età, ad avere la voglia di leggere e conoscere cose nuove; ad avere la capacità di sorprendermi e di provare nuovi entusiasmi. Se sarà così, continuerò a giocare con le parole, mie amiche da sempre.