Lo spostamento a destra del complesso dell’elettorato è evidente. Non è tale da modificare radicalmente gli equilibri consolidati in seno al Parlamento europeo, è la spia di una tendenza o, se si vuole, di una controtendenza rispetto ad un europeismo che molti elettori percepiscono come artificioso se non velleitario. Il malcontento verso i governi nazionali e le istituzioni europee cerca la risposta semplice ma percepibile nella galassia nazional-populista, come la chiama Marc Lazar. La destra è una sostanziale astrazione quanto se non più della sinistra, bisogna ricorrere alla moda italiana dei trattini, centro-destra e centro-sinistra, per cercare di capire e lasciare alle estremità i partiti che difficilmente inclinerebbero al centro.

Alcuni commentatori scorgono la risposta nel malessere economico e sociale. Eppure, le cifre danno un’Europa in ripresa dopo il blocco della pandemia. La decisione della BCE di ridurre i tassi dovrebbe aiutarla, per non parlare di Next Generation EU laddove si applica.

Altri la scorgono nel rigetto di una politica migratoria così facile da consentire l’ingresso a elementi indesiderati se non collusi con il terrorismo. Che poi gli attentati in Europa siano a volte opera di concittadini è una sottigliezza che sfugge al grande pubblico. Come sfugge la fatica di integrare comunità con costumi  diversi da quelli della maggioranza.

Il separatismo islamista è evidente specie in Francia, è fra le cause profonde della vittoria del Rassemblement National. In luglio la probabile coabitazione fra il Presidente Macron ed il Primo Ministro Bardella, in attesa delle presidenziali 2027, potrebbe trovare un punto di convergenza su questo terreno. In Francia alligna un diffuso antisemitismo, peraltro camuffato da antisionismo nelle espressioni di sinistra, il che è motivo di inquietudine ospitando la Repubblica una folta comunità ebraica.

Sul voto pesa l’effetto guerra. La guerra alle nostre porte spaventa i cittadini. La minaccia russa di ricorrere all’arma nucleare, che sia tattica o strategica poco importa, è presa sul serio. I dirigenti europei, a cominciare dall’Alto Rappresentante,  ripetono che viviamo in una fase di alta tensione. La guerra in Europa sarebbe una possibilità concreta, attrezziamoci dunque al conflitto con le risorse agli armamenti ed addestrandoci alla resistenza. Il ventilato ritorno alla leva obbligatoria rincara la dose.  La Russia è l’avversario strategico, lo si ripete in qualsiasi circostanza. Si tratta dello stesso paese che, fino a gennaio 2022, corteggiavamo come sodale negli affari e nella proiezione internazionale.

E invece: la Russia è altro, la Cina è altro, rinvigoriamo la NATO, concediamo all’Ucraina la pista veloce per aderire all’Unione europea. Tutte decisioni, o intenzioni di decisioni, che sostengono la resistenza ucraina e rafforzano il contrasto con Mosca. Sono proprio le destre ad usare il linguaggio del compromesso, mentre le élites al potere sono schierate con la dominante strategia occidentale. Nelle destre gli elettori trovano il conforto cui aspirano per preservare i decenni di pace nel Continente.

La Russia condiziona il voto europeo con la disinformazione e con il sostegno alle tesi sovraniste. I primi commenti da Mosca sono prudenti: ben venga l’avanzata delle destre “non russo-fobiche”, resta una maggioranza filo-ucraina che non lascia sperare in un cambio di passo. Significativo è il caso del RN:  non fa mistero della inclinazione al compromesso. La Russia è presa a modello organizzativo e ideologico. L’autorità che slitta verso l’autoritarismo, la tutela dei valori tradizionali  che slitta verso la restaurazione. Una riedizione della controriforma cristiana volta a contenere la deriva del politicamente corretto, della indiscriminata mescolanza delle genti, dei generi, dei valori fondamentali.

 

L’indebolimento della coalizione arcobaleno in Germania a favore della destra può essere letto nello stesso segno. La Germania paga il prezzo economicamente più alto del contrasto con la Russia.

In linea generale l’asse franco-tedesco esce provato dalle urne. Macron reagisce  con il rilancio da poker delle elezioni anticipate. Spera in una didattica istituzionale nei confronti di Bardella allorché questi si troverà a trattare con i partner europei. In Germania il Cancelliere rifiuta l’appello dei Democristiani a tornare alle urne, ma sa di avere giorni difficili davanti. Poiché il Partito Popolare esce maggioritario dal voto, ha il diritto di esprimere il candidato alla presidenza della Commissione. Ursula von der Leyen dovrebbe succedere a se stessa. Ha il pregio di essere tedesca, il torto di appartenere allo schieramento  avverso. Scholz dovrà recuperare su un altro piano. Con la presidenza del Consiglio europeo ad un socialista come il portoghese Costa? Con l’allineamento della Commissione al pensiero di Berlino?

Le elezioni europee, e le legislative francesi a seguire, sembrano preludere al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. I motivi di fondo si somigliano. Cercare la via del compromesso con la Russia all’insegna del senso degli affari, contenere l’espansionismo cinese, frenare anche con le maniere forti i flussi migratori indesiderati. Insomma: ristabilire l’ordine messo in discussione da slogan suggestivi quanto poco meditati.

Il New Green Deal della prima Commissione von der Leyen andrà sotto osservazione. Protestano gli agricoltori, protestano gli industriali dell’automobile per la scelta “acritica” dell’elettrificazione, protestano le categorie più disparate. Anche i detentori delle rendite marginali, ad esempio i titolari delle concessioni balneari di casa nostra, hanno motivo di dolersi delle rigidità europee. Tutti, sia pure con motivazioni diverse, anelano non alla dissoluzione dell’Unione ma alla sua diversa calibratura a favore degli interessi nazionali se non particolari. Che, al dunque, gli interessi nazionali possano entrare in competizione fra loro, è questione da valutare caso per caso. Importa affermare il principio della progressiva valorizzazione del momento nazionale.

Si è scritto in premessa che il fronte tradizionale regge all’urto dei nuovi numeri. Il blocco di Popolari,  Socialisti e Democratici, Liberali avrebbe la maggioranza per esprimere il  presidente della Commissione. I giochi a Strasburgo possono riservare sorprese. Alcuni parlamentari potrebbero votare diversamente, perderli potrebbe inficiare il successo di Ursula. La candidata deve cercare la sponda nello schieramento conservatore. Strizzare l’occhio non al blocco di destra nel suo insieme, ma a singoli partiti al suo interno. Il ruolo di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni, che annuncia di volere tenere la presidenza dei Conservatori, potrebbe essere decisivo.

La nomina del Presidente della Commissione è procedura complessa, richiede il passaggio al Consiglio europeo, che vota secondo il sistema vigente in seno al Consiglio: una maggioranza qualificata di stati membri e popolazioni.

Le speculazioni sulle nomine è un esercizio intrigante e prematuro. Due sono già gli appuntamenti in agenda: un vertice informale dei Ventisette dopo Borgo Egnazia e la sessione formale a fine giugno.